Principi sui limiti di applicazione della Business Judgment Rule e sui riflessi della transazione stipulata con un condebitore solidale
Gli amministratori di società di capitali devono operare scelte gestorie volte alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale, rispettando le regole, anche tecniche, di corretta gestione; analogo dovere incombe anche sui liquidatori che, nello svolgimento dei loro compiti, devono agire per raggiungere il massimo risultato economico che può essere ottenuto dalla liquidazione dei beni sociali e ciò per perseguire non solo l’interesse dei soci ma anche quello dei creditori sociali. La c.d. Business Judgment Rule, la regola secondo cui è preclusa la possibilità di sindacare nel merito gli atti di gestione compiuti dall’amministratore, opera esclusivamente quando le decisioni operative sono assunte secondo i principi di corretta gestione societaria e quando gli atti di gestione sono conformi alla legge e allo statuto sociale, non sono contaminati da situazioni di conflitto di interesse dei gestori, sono assunti all’esito di un procedimento di raccolta di informazioni propedeutiche alla decisione gestoria adeguato all’incidenza sul patrimonio dell’impresa e sono razionalmente coerenti con le informazioni e le aspettative di risultato emerse dal procedimento istruttorio.
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Insindacabilità nel merito delle scelte di gestione dell’amministratore e responsabilità dei direttori generali
Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.
La valutazione sulla responsabilità dell’amministratore non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute. La sua responsabilità ben può discendere, però, dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele, o la non osservanza di quei canoni di comportamento, che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto ad un tal genere di impresa, ed il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti.
La disciplina prevista per la responsabilità degli amministratori si applica ai direttori generali esclusivamente se la posizione apicale di tale soggetto all’interno della società, sia o meno un lavoratore dipendente, sia desumibile da una nominale formale da parte dell’assemblea o anche del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria. In particolare, l’art. 2396 c.c. non contiene alcuna definizione di direttore generale legata al contenuto intrinseco delle mansioni, con la conseguenza che la responsabilità di un tale soggetto non può che essere ricollegata alla sua posizione apicale all’interno della società che deve essere necessariamente desunta dal dato formale della nomina da parte dell’assemblea od anche da parte del consiglio di amministrazione, in base ad apposita previsione statutaria, che indichi i compiti demandati.
D’altra parte, proprio perchè il legislatore non ha inteso fornire alcuna indicazione sulla mansioni svolte dal direttore generale, con la conseguenza che esse devono ricavarsi dall’atto di nomina, non è configurabile alcuna interpretazione estensiva o analogica che consenta di allargare lo speciale ed eccezionale regime di responsabilità di tale figura ad altre ipotesi, salva la ricorrenza dei diversi presupposti dell’amministratore di fatto.