Sull’invalidità della scissione
Il disposto dell’art. 2504-quater, comma 1, c.c., richiamato con riferimento alle operazioni di scissione dall’art. 2506-ter, comma 5 c.c. – a mente del quale: “eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione a norma del secondo comma dell’art. 2504, l’invalidità dell’atto di fusione non può più essere pronunciata”, restando salva unicamente la possibilità per i soci o i terzi danneggiati dall’operazione di ottenere una tutela risarcitoria – impone che, una volta adempiuta l’iscrizione dell’operazione straordinaria nel registro delle imprese, qualsivoglia rimedio diretto a invalidare l’operazione medesima è precluso. L’unico spazio di manovra per i soggetti che si ritengono lesi dall’operazione è compreso, dunque, tra l’assunzione della delibera con cui è stata approvata la fusione o la scissione e l’ultimo adempimento degli oneri di pubblicità; successivamente a tale momento, ai soci o ai terzi che si assumono danneggiati dall’operazione medesima non resta che il diritto al risarcimento dei danni. Tale meccanismo risponde a chiare esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi e di certezza dei traffici giuridici e non soggiace ad eccezioni di sorta. L’iscrizione nel registro delle imprese della scissione costituisce, dunque, una preclusione di carattere assoluto, rendendo inattaccabile l’operazione iscritta.
Scissione non proporzionale c.d. “estrema” o totale soggettiva
Non si versa nell’ipotesi di scissione asimmetrica ex art. 2506 comma 2, qualora, ai soci coinvolti nella scissione siano assegnate azioni o quote di anche solo una delle società beneficiarie, a nulla rilevando che essi siano del tutto esclusi dalla società scissa di partenza e/o da alcuna delle beneficiarie. Pertanto, la scissione rientra nella più ampia definizione di scissione non proporzionale ex comma 4 dell’art. 2506-bis, approvabile con il voto a maggioranza e non unanime, la quale può anche assumere i connotati di una scissione non proporzionale “estrema”(detta anche totale soggettiva) ove i soci della scissa sono spalmati in società beneficiarie diverse e anche quando non mantengano più, nel caso di scissione parziale, partecipazioni della società scissa.
La norma sulla scissione asimmetrica, di cui all’art. 2506 comma 2, è infatti di stretta interpretazione letterale e richiede la contemporanea sussistenza sei seguenti requisiti: che la scissione sia parziale e che alcuno dei soci della società scissa sia assegnatario solo di azioni o di quote della società scissa e sia contemporaneamente escluso dalla partecipazione a tutte le beneficiaria.
Scissione asimmetrica e manifestazione del consenso unanime ex art. 2506, co. 2 c.c. in sede non assembleare
Nella “scissione asimmetrica” – ossia quella in cui ad alcuni soci non vengono distribuite azioni o quote di una delle società beneficiarie della scissione, ma azioni o quote della società scissa – il consenso unanime richiesto dall’art. 2506, co. 2 c.c. si atteggia a diritto individuale dei soci ad accettare un particolare trasferimento di ricchezza che non rispetta il criterio della proporzionalità dell’assegnazione delle quote fra le varie società coinvolte.
Il consenso unanime condiziona l’efficacia ma non l’assunzione della delibera di approvazione del progetto di scissione asimmetrica, e non configura perciò un “co-elemento procedimentale della delibera”. Non è richiesto alcun quorum unanimistico all’adozione della decisione inerente alla scissione: ciò che è necessario è il consenso individuale del solo socio che subisce il sacrificio della perdita della propria qualità di socio di una delle società risultanti dall’operazione.
Il consenso prestato dal singolo socio, chiamato dunque a manifestarlo uti singulus e non uti socius, serve a realizzare la sua estromissione da una o più delle società partecipanti alla scissione, e potrebbe essere manifestato anche in sede non assembleare, purché in tempi, modalità e forme compatibili con la certezza degli effetti dell’operazione, anche a tutela dei terzi. La pacifica manifestazione del consenso all’operazione di scissione del socio in sede di accettazione della proposta giudiziale ex art. 185-bis c.p.c. non consente quindi più al medesimo di ritornare sui propri passi, al fine dilatorio di bloccare la riorganizzazione degli assetti societari.