Confondibilità tra marchi e misure cautelari
L’accertamento circa la confondibilità tra marchi e segni in conflitto non deve essere compiuto in via analitica, attraverso la separata considerazione dei singoli elementi di valutazione, ma deve compiersi in via globale e sintetica, avendo riguardo all’insieme dei relativi elementi salienti grafici, visivi e fonetici, nonché di quelli concettuali o semantici, ove esistenti e deve, inoltre, fondarsi sull’impressione complessiva prodotta dai marchi a confronto, in considerazione dei loro elementi distintivi e dominanti, tenuto conto delle normali diligenza e avvedutezza dei consumatori e del normale grado di percezione delle persone alle quali il prodotto è destinato.
Nell’indagine in ordine a una contraffazione, destinata a rilevare soltanto in relazione agli elementi essenziali del marchio, l’interprete deve preventivamente individuare il “cuore”, ossia l’idea fondamentale che è alla base e connota il marchio di cui si chiede la tutela e in cui si riassume la sua attitudine individualizzante, dovendosi ritenere inidonee a escludere l’illecito tutte le variazioni e modificazioni, ancorché rilevanti e originali, che lascino sussistere la confondibilità del nucleo ideologico-espressivo.
Quando un marchio è composto da elementi verbali e figurativi, i primi risultano, in linea di principio, maggiormente distintivi dei secondi, dacché il consumatore-tipo di riferimento, che solitamente dimostra un livello di attenzione medio rispetto ai prodotti e ai servizi in questione, opererà più facilmente riferimento al prodotto di cui trattasi citandone il nome, anziché descrivendo l’elemento figurativo del marchio.
L’eventuale qualificazione del segno distintivo come marchio debole non preclude la tutela nei confronti della contraffazione in presenza dell’adozione di mere varianti formali, in sé inidonee ad escludere la confondibilità con ciò che del marchio imitato costituisce l’aspetto caratterizzante, non potendosi, invero, limitare la tutela del marchio debole ai casi di imitazione integrale o di somiglianza prossima all’identità, cioè di sostanziale sovrapponibilità del marchio utilizzato dal concorrente a quello registrato anteriormente.
Ai fini della concessione della descrizione delle scritture contabili, il pericolo di dispersione o rimozione deve ritenersi a priori scongiurato dalla sussistenza in capo ad un imprenditore commerciale, di un obbligo legale di tenuta e conservazione, ai sensi dell’art. 2220 c.c., il quale impone la conservazione delle scritture contabili, nonché delle fatture e della corrispondenza commerciale per la durata di almeno dieci anni dalla data dell’ultima registrazione.
Ai fini della concessione dell’inibitoria, la natura permanente dell’illecito e la progressiva estensione della sua idoneità lesiva implicano un rapporto non già inversamente, bensì direttamente proporzionale tra l’urgenza di eliminazione del protrarsi della situazione dannosa e il decorso del tempo.
L’invalidità della delibera di approvazione del bilancio e la prova delle scritture contabili
Il termine previsto dall’art. 2364 c.c. – richiamato dall’art. 2478 bis c.c. per le società a responsabilità limitata – fa riferimento non all’approvazione del bilancio, bensì alla convocazione della relativa assemblea dei soci. Inoltre, la delibera di approvazione del bilancio di una società per azioni non è invalida per esser stata adottata dopo la scadenza del termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale, stabilito dall’art. 2364, co. 2, c.c., o del termine più lungo, non superiore a sei mesi, dalla detta chiusura, fissato nell’atto costitutivo, conformemente alle previsioni dell’ultima parte della disposizione citata.
La violazione dei canoni di cui all’art. 2423, co. 2, c.c. comporta l’illiceità della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione di norme imperative in materia contabile. Nondimeno, la nullità della delibera può essere rilevata solo nella misura in cui la violazione determini una divaricazione tra il risultato effettivo d’esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il bilancio dà invece contezza; oppure in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte
L’omessa indicazione della evoluzione prevedibile della gestione negli esercizi futuri riguarda informazioni che sono strutturalmente incompatibili con una eventuale invalidità del bilancio posto che ovviamente non risulta, neppure in astratto, idonea a incidere sulla validità del bilancio consuntivo dell’esercizio trascorso. In particolare, la relazione sulla gestione disciplinata dall’art. 2428 c.c., che si caratterizza per una funzione di illustrazione ampiamente valutativa della situazione economico/gestionale della società non scevra da proiezioni previsionali, non è oggetto di delibera assembleare in quanto non propriamente parte del bilancio d’esercizio, ed invece costituisce un “collegato” al bilancio per espressa scelta normativa. Ne discende che una mancanza che lo riguarda non può formalmente figurare come vizio determinante l’illiceità dell’oggetto di deliberazione assembleare del bilancio. Tuttavia, la delibera di approvazione del bilancio è comunque nulla allorquando i vizi informativi che affliggono la relazione sulla gestione siano tali da rendere non chiaramente intelligibile o addirittura da falsare sul punto il bilancio stesso, come potrebbe avvenire per le informazioni relative alla situazione finanziaria della società che la relazione sulla gestione necessariamente deve dare, situazione finanziaria che è, invero, anch’essa oggetto della rappresentazione veritiera e corretta che il bilancio deve rendere ex art. 2423 c.c.; in tal caso, infatti, siffatta carenza si tradurrebbe in un vizio del bilancio. In ogni caso, tali vizi informativi possono comportare l’invalidità del bilancio se e in quanto la loro capacità decettiva sia tale da inficiare chiarezza, correttezza e veridicità delle corrispondenti voci di bilancio.
L’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo. Pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato. In particolare, le suddette scritture non potranno ricondursi all’ambito dell’art. 2730 c.c. (confessione stragiudiziale), non consistendo necessariamente nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante e non essendo rivolte a un’altra parte, precisando che ad esse non può neppure assegnarsi valore di presunzione assoluta, giacché la ratio della norma di cui all’art. 2709 c.c. non si riconnette a un interesse generale preclusivo della prova contraria, in mancanza del quale le presunzioni deve ritenersi abbiano sempre valore di presunzione relativa, così da essere compatibili con i principi e le garanzie sancite dagli artt. 3 e 24 Cost. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.
Sul valore probatorio delle scritture contabili nell’azione di responsabilità contro l’organo amministrativo
Le scritture contabili redatte dall’organo amministrativo, ivi compresi i c.d. “mastrini” che raccolgono le annotazioni dei singoli conti corrispondenti ai diversi rapporti intrattenuti dalla società, fanno prova contro l’amministratore per il semplice fatto che ne è l’autore e che è gravato dall’obbligo specifico della loro esatta e corretta tenuta.
La rilevanza probatoria delle scritture contabili
A norma dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione – senza distinguere i libri obbligatori per legge e quelli richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa da quelli meramente facoltativi – fanno sempre prova contro l’imprenditore, mentre per valere a suo favore occorre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2710 c.c., ossia: (i) che siano regolarmente tenuti, nonché bollati e vidimati; (ii) che riguardino rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa; (iii) che si facciano valere in una controversia con un altro imprenditore. Le risultanze delle annotazioni contabili fanno sorgere una presunzione iuris tantum contraria all’imprenditore, poiché egli può liberamente contrastare le proprie registrazioni con qualunque mezzo di prova. Ed invero, l’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato.
Il medesimo principio vale anche per l’utilizzabilità delle scritture contabili a favore dell’imprenditore nei rapporti con l’altro imprenditore inerenti all’esercizio dell’impresa, la cui efficacia probatoria, non avendo esse valore di prova legale, è rimessa dall’art. 2710 c.c. al libero apprezzamento del giudice di merito.
Possiedono l’efficacia probatoria di cui all’art. 2709 c.c. anche i bilanci delle società per azioni, redatti ed approvati conformemente agli artt. 2423-2435 c.c., i quali quindi possono costituire utile prova delle obbligazioni sociali. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima, è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.
Obbligo di tenuta delle scritture contabili, illegittima prosecuzione dell’attività, finanziamento soci
La violazione dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili da parte degli amministratori non è di per sé sola sufficiente ad integrare un materiale pregiudizio nella sfera patrimoniale della società tale da giustificare sic et simpliciter il riconoscimento del risarcimento del danno che assumerebbe in questo modo natura e finalità sanzionatoria rispetto alla violazione formale, essendo a tal precipuo fine necessario che un danno si sia prodotto e che sia a tale condotta eziologicamente connesso.
Dopo il verificarsi di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale non può più considerarsi destinato quale era in precedenza alla realizzazione dello scopo sociale, onde gli amministratori non possono più utilizzarlo a tal fine, ma sono abilitati a compiere soltanto agli atti correlati strumentalmente al diverso fine della liquidazione dei beni, restando ad essi inibito il compimento di nuovi atti di impresa atti a porre a rischio il diritto dei creditori sociali a soddisfarsi sul patrimonio sociale.
Il finanziamento del socio deve essere postergato quando, secondo un giudizio di prognosi postuma, nel momento in cui venne concesso, era altamente probabile che la società, rimborsandolo, non sarebbe stata in grado di soddisfare regolarmente gli altri creditori.
Responsabilità dell’amministratore per il mancato versamento dei contributi previdenziali, mancata tenuta delle scritture contabili e distrazione di beni
È onere dell’amministratore fornire prova quanto all’impiego, in coerenza con gli scopi della società, degli importi che il curatore non ha rinvenuto nelle casse sociali. Infatti, la natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore sociale consente alla società che agisca per il risarcimento del danno, o al curatore in caso di sopravvenuto fallimento di quest’ultima, di allegare l’inadempimento dell’organo gestorio quanto ai fatti distrattivi, una volta dimostrati, restando, infatti, a carico del convenuto l’onere di dimostrare l’utilizzazione delle somme nell’esercizio dell’attività di impresa.
L’omessa tenuta o conservazione delle scritture contabili è condotta che non può essere assunta, in sé stessa, quale fonte di un diritto al risarcimento ove non si dimostri che essa è stata causa di violazioni che hanno prodotto un danno alla società, ai creditori o ai terzi, indicando le ragioni che hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo.
Le spese di giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia una volta che sia stata rigettata la domanda principale, vanno poste a carico della parte che, rimasta soccombente, abbia provocato e giustificato la chiamata in garanzia, trovando tale statuizione adeguata giustificazione nel principio di causalità, che governa la regolamentazione delle spese di lite, anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo, e salvo che l’iniziativa del chiamante si riveli palesemente arbitraria.
Sorte dei contratti e dei debiti nelle vicende circolatorie dell’azienda
È ammissibile l’introduzione, in sede di prima udienza di trattazione, della domanda nuova risarcitoria fondata sulla responsabilità del cessionario d’azienda ex art. 2558 c.c., ove risponda all’esigenza dell’attore di difendersi dall’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata rispetto alla domanda di condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’inadempimento di un contratto eseguito dal cedente.
Ai sensi dell’art. 2558 c.c., la successione dell’acquirente dell’azienda nei contratti stipulati per l’esercizio dell’impresa, ancora in corso al momento della cessione, si verifica come effetto legale del trasferimento dell’azienda solo “se non è pattuito diversamente” ed è, quindi, impedita dalla diversa volontà delle parti, che abbiano espressamente pattuito l’esclusione di determinate posizioni contrattuali dall’oggetto della cessione d’azienda.
L’art. 2560, co. 2 c.c. regola la successione nei c.d. debiti puri relativi all’azienda, quelli cioè derivanti da fonte extracontrattuale o da contratti a prestazioni corrispettive in cui il terzo abbia già eseguito integralmente la propria prestazione: di tali debiti l’acquirente è solidalmente responsabile solo se risultanti dai libri contabili obbligatori, rivestendo l’annotazione del debito nelle scritture contabili obbligatorie dell’alienante dell’azienda natura di elemento costitutivo della responsabilità solidale dell’acquirente.
La responsabilità solidale tra cedente e cessionario dell’azienda prevista dall’art. 2560, co. 2 c.c. può essere applicata estensivamente, con finalità di protezione del creditore, solo nella particolare ipotesi in cui la cessione d’azienda sia stata utilizzata come strumento fraudolento per spogliare la società debitrice di ogni attivo e precludere al creditore il soddisfacimento del proprio diritto.
Irregolare tenuta delle scritture contabili
La fittizia esposizione di un debito verso i soci, e l’emersione della medesima posta quale perdita nell’esercizio successivo costituisce certamente indice della scorretta ed irregolare tenuta delle scritture contabili, che debbono rispecchiare lo stato dei conti della società e registrare con trasparenza ed esattezza le operazioni compiute, attività doverosa che rientra nei compiti dell’amministratore e la cui mancanza o lacunosa tenuta, è suscettibile di esporre il medesimo alle responsabilità verso la società e i creditori della stessa; non appare superfluo ricordare la funzione che le scritture contabili rivestono, non solo nella ricostruzione a posteriori della ragioni della crisi della società, ma anche nella quantificazione dell’eventuale danno, secondo quanto previsto dall’art. 2486 c.c.
Principi in tema di abbandono della domanda, responsabilità dell’amministratore, efficacia probatoria delle scritture contabili
Se, dalla valutazione complessiva del comportamento processuale di parte attrice, deve desumersi la rinuncia tacita alla domanda proposta nei confronti di parte convenuta, derivandosi la chiara – ancorché implicita – volontà di abbandonare la domanda stessa, si deve ritenere che l’abbandono della domanda equivale a rinuncia dell’azione che, diversamente dalla rinuncia agli atti del giudizio, non richiede l’accettazione della controparte né l’adozione di particolari formalità, se non (nell’ipotesi di rinuncia integrale alla pretesa azionata nei confronti del convenuto) il rilascio al difensore di un mandato che gli consenta anche di disporre del diritto sostanziale.
La responsabilità dell’amministratore nei confronti della società fallita ha natura indiscutibilmente contrattuale e, quindi, una volta delineata dal Curatore la violazione, da parte del convenuto, dell’obbligo fondamentale della destinazione all’impiego sociale delle risorse derivanti dall’attività di impresa mediante prelievi ingiustificati analiticamente indicati, è onere dell’amministratore dimostrare di aver esattamente adempiuto al suo mandato, provando la destinazione specifica di ciascun prelievo.
Le scritture contabili redatte dall’organo amministrativo, ivi compresi i c.d. “mastrini” che raccolgono le annotazioni dei singoli conti corrispondenti ai diversi rapporti intrattenuti dalla società, fanno prova contro l’amministratore per il semplice fatto che ne è l’autore e che è gravato dall’obbligo specifico della loro esatta e corretta tenuta; costituiscono efficaci elementi di prova, quindi, non solo le annotazioni contabili a lui sfavorevoli ma anche le eventuali “omissioni” o erronee appostazioni, che, comunque, si traducono nella violazione dell’obbligo di regolare tenuta delle scritture contabili.
Efficacia probatoria delle scritture contabili
Nel caso di rapporti di debito/credito tra i soci e società che attengono al rapporto societario, qualora il tema dell’assenza di quietanze firmate dai soci destinatari dei rimborsi di somme erogate a titolo di finanziamento risulti espressamente affrontato in sede assembleare, prevale – sul principio della libera valutazione da parte del giudice di merito dei libri e delle scritture contabili, e quindi anche del bilancio, dell’impresa soggetta a registrazione ai sensi dell’art. 2709 c.c. – il principio di vincolatività delle delibere assembleari nei confronti di tutti i soggetti legati dal rapporto sociale, compresi i soci eventualmente dissenzienti che non abbiano proposto rituale impugnazione.