Requisiti per la tutela ai sensi dell’art. 98 c.p.i. di un’informazione commerciale e liceità della condotta dell’ex dipendente che contatta clienti e fornitori dell’ex datore di lavoro
Affinché un’informazione commerciale possa dirsi tutelata ai sensi dell’art. 98 c.p.i., è necessario che di essa si dia specifica contezza, anche quanto al suo contenuto, non essendo sufficiente affermare in termini astratti che essa sussisterebbe e risponderebbe ai requisiti di cui al più volte citato art. 98 c.p.i.
Non può in alcun modo reputarsi illecito il comportamento dell’ex dipendente che, assunto presso impresa concorrente, prenda contatti con clienti e fornitori della ex datrice, ben potendo rientrare detta attività nel legittimo sfruttamento del normale bagaglio di esperienze acquisite dal dipendente nel corso della sua attività presso la precedente datrice di lavoro.
Profili problematici tra affitto di ramo d’azienda e concorrenza sleale
Sottrazione di informazioni asseritamente segrete per la produzione di una maschera da scherma tutelata come marchio di forma registrato
La parte che intenda tutelare una privativa non titolata in giudizio deve dare contezza e prova di tutti i suoi presupposti, così come previsti dall’art. 98 D.Lgs. n. 30/2005, ovvero che dette informazioni siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme e nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; che abbiano valore economico in quanto segrete; siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete, dovendosi intendere per misure ragionevolmente adeguate quelle che impediscano che coloro che detengono le informazioni le portino a conoscenza di terzi o che impediscano ai terzi di accedervi direttamente.
I Tribunali di uno Stato membro, compresi i Tribunali dei marchi UE, possono essere aditi per chiedere, relativamente a un marchio UE o a una domanda di marchio UE anche in difetto di registrazione, le misure cautelari previste dalla legislazione di detto Stato per un marchio nazionale, cosicché la tutela cautelare può essere riconosciuta anche sulla scorta della mera domanda di registrazione, purché ne ricorrano i presupposti secondo disciplina comunitaria, tenuto conto che il difetto di registrazione, esclude soltanto che l’affermata privativa possa considerarsi sorretta da presunzione di validità, secondo il dettato dell’art. 127 comma 1 del citato Reg. UE n. 1001/2017.
Nella valutazione del carattere distintivo che la forma del prodotto deve avere o acquisire al fine di valere in sé come marchio, è bene chiarire la necessità di non incorrere in un equivoco, posto che il carattere distintivo della forma non deve differenziare il prodotto dagli altri, in una sorta di considerazione del carattere individuale proprio dei modelli, ma deve differenziarsi dal prodotto in modo idoneo a mandare un messaggio ulteriore rispetto alle qualità del prodotto medesimo, cosicché l’eventuale successo riscontrato sul mercato dal prodotto, idoneo di per sé ad attribuire alle sue fattezze valore individuale, può essere eventualmente valutato come causa efficiente dell’assunzione del carattere distintivo della forma medesima, forma cioè atta ad assumere il significato di marchio.
Fumus boni iuris di un provvedimento di descrizione e misure di protezione dei segreti industriali
Nell’ambito della valutazione del fumus boni iuris utile per l’emanazione di un provvedimento di descrizione, il diritto di cui deve riscontrarsi la verosimile fondatezza non è tanto quello sostanziale oggetto della domanda di merito, quanto quello processuale alla acquisizione della prova richiesta. Tale “diritto alla prova”, tuttavia, non può derivare sic et simpliciter dalla utilità della prova stessa in relazione alla domanda prospettata e non può prescindere dalla verosimiglianza dell’esistenza di un diritto industriale (e non di altro, come il diritto alla lealtà concorrenziale, di per sé considerato).
Ai fini della tutela dei segreti commerciali ex art. 98 c.p.i., vengono in rilievo il presupposto della segretezza delle informazioni tecniche e commerciali – che devono essere conosciute dal solo imprenditore che chiede tutela, non da altri – e quello della loro secretazione, consistente nella adozione di misure atte a impedirne la divulgazione (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto insufficiente la dicitura “Divulgazione e riproduzione vietata senza nostra autorizzazione scritta” inserita nei cartigli apposti sui disegni tecnici della ricorrente).
Descrizione e segreti commerciali
Il criterio valutativo da seguire ai fini della decisione sulla conferma o revoca della descrizione disposta inaudita altera parte verte unicamente sull’accertamento della sussistenza del fumus e del periculum. Il fumus boni iuris deve essere apprezzato, in via diretta, in relazione al diritto processuale alla prova e, soltanto in via indiretta e in misura attenuata, in relazione al diritto sostanziale di cui si invoca la tutela e, dunque, con riferimento alla verosimile fondatezza della domanda preannunciata.
Onde ricevere la tutela di cui agli artt. 98-99 c.p.i., le informazioni tecniche e commerciali devono rispondere cumulativamente ai requisiti:
a) della “segretezza”: deve, cioè, trattarsi di informazioni che, singolarmente, o nel loro insieme, o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, non siano generalmente note o facilmente accessibili agli esperti o agli operatori del settore, ossia siano tali da non potere essere assunte dall’operatore del settore, in tempi e a costi ragionevoli, e la cui acquisizione da parte del concorrente richieda, perciò, sforzi o investimenti;
b) del “valore economico”, nel senso non già e non soltanto del possesso, da parte di esse, di un valore di mercato intrinseco, quanto piuttosto della derivazione, dal relativo utilizzo, di un vantaggio concorrenziale che consenta di mantenere o aumentare la quota di mercato;
c) della “secretazione”, necessario essendo che tali informazioni siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure – organizzative, tecniche e giuridiche – da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete e, in particolare, idonee a impedire la divulgazione delle stesse informazioni a terzi.
Chi invoca l’art. 98 c.p.i. ha l’onere, trattandosi di diritto non titolato, di allegare e provare la ricorrenza in concreto di tutti i presupposti richiesti dalla norma, nonché di indicare e descrivere dettagliatamente le informazioni segrete per le quali invoca tutela, non potendosi accordare la tutela del c.p.i. in difetto di un’allegazione specifica dei dati che sarebbero oggetto di secretazione: ciò in quanto, in difetto di tale specifica individuazione, il convenuto non sarebbe posto nelle condizioni di svolgere le sue difese e il giudice non avrebbe la possibilità di valutare la sussistenza o meno dei requisiti previsti dalle norme richiamate.
Le informazioni aziendali, i processi produttivi e le esperienze tecnico-industriali e commerciali, ove non costituenti oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà industriale come segreti industriali, possono comunque essere tutelate contro la relativa sottrazione e il relativo impiego in abuso del diritto alla concorrenza, purché:
– si sia in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non secretati, superanti la capacità mnemonica ed esulanti dall’ordinario bagaglio esperienziale di un singolo individuo al punto da configurare una banca dati idonea a fornire un vantaggio competitivo al concorrente che ne acquisisca la disponibilità, nonché connotati dal carattere della riservatezza nell’ambito dell’attività aziendale in cui sono impiegate e, come tali, insuscettibili di divulgazione e di utilizzazione al di fuori del contesto aziendale, ancorché sprovviste dei summenzionati requisiti di protezione di cui all’art. 98 CPI;
– sia provato l’utilizzo, nell’esercizio di impresa in concorrenza, di mezzi non conformi al principio di correttezza professionale;
– tale condotta sia potenzialmente foriera di danni concorrenziali, potenziali o attuali.
La concorrenza sleale per assunzione di un dipendente chiave dell’impresa concorrente e il rischio di illecita sottrazione e detenzione di informazioni riservate
Per integrare una condotta di concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3 c.c., non è sufficiente l’utilizzo, da parte dell’ex dipendente presso il nuovo datore di lavoro, del bagaglio di cognizioni ed esperienze acquisite in costanza del precedente rapporto di lavoro, trattandosi di conoscenze divenute ormai parte della personalità del dipendente, che da lui possono essere legittimamente portate a supporto di migliori nuove possibilità lavorative.
Pertanto, laddove non si travalichi il limite della segretezza delle informazioni o di eventuali patti di non concorrenza validi, per il periodo successivo al rapporto di lavoro, non costituisce concorrenza sleale – bensì sviluppo fisiologico delle relazioni professionali – lo sfruttamento da parte dell’ex dipendente delle competenze e conoscenze lecitamente acquisite grazie alle precedenti esperienze lavorative.
In materia di segreti commerciali, affinché possa trovare applicazione la disciplina di cui agli artt. 98-99 c.p.i., volta ad apprestare una tutela contro la illecita acquisizione, rivelazione, detenzione ed utilizzazione di informazioni segrete e/o riservate, sono richieste tre condizioni cumulative: a) la segretezza dell’informazione; b) il valore economico dell’informazione in quanto segreta; c) l’adozione da parte del detentore di misure ragionevolmente adeguate a mantenere segreta la stessa.
Ne deriva che la tutela predisposta dalle suddette norme non può essere invocata laddove vi sia una divulgazione della notizia, anche in occasione di conferenze o presentazioni tecnico commerciali ovvero laddove le informazioni non possano qualificarsi, ab origine, come “segreto commerciale”, in quanto “non definibili come formulazioni frutto di soluzioni formali nuove o originali o che necessitino di informazioni tecniche non diffuse e non note nel settore”.
Concorrenza sleale per indebito utilizzo del know-how e di notizie riservate afferenti all’attività dell’impresa concorrente fornitrice di servizi di sicurezza e vigilanza privata
In tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile dell’illecito è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità tra due o più imprenditori, derivante dal contemporaneo esercizio di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, e quindi la comunanza di clientela, la quale non è data dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che sono in grado di soddisfare quel bisogno. La sussistenza di tale requisito va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e quindi su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini e succedanei rispetto a quelli offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale. La diversità di dimensioni imprenditoriali non è tuttavia idonea ad escludere il presupposto del rapporto di concorrenza tra le parti.
Può configurarsi un atto di concorrenza sleale in presenza del trasferimento di un complesso di informazioni aziendali da parte di un ex dipendente di imprenditore concorrente, pur non costituenti oggetto di un vero e proprio diritto di proprietà industriale quali informazioni riservate o segreti commerciali, ma è necessario che ci si trovi in presenza di un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non segretati e protetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito
Storno di dipendenti e appropriazione di segreti industriali
In tema di responsabilità civile, nell’ipotesi in cui la parte convenuta chiami in causa un terzo in qualità di corresponsabile dell’evento dannoso, la richiesta risarcitoria deve intendersi estesa al medesimo terzo anche in mancanza di un’espressa dichiarazione in tal senso dell’attore, poiché la diversità e pluralità delle condotte produttive dell’evento dannoso non dà luogo a distinte obbligazioni risarcitorie, non mutando l’oggetto del giudizio, essendo peraltro irrilevante, ai fini di cui sopra, che la chiamata sia fondata su di una garanzia propria o impropria, attribuendo a tale definizione solo carattere descrittivo.
Secondo i principi generali del concorso, un soggetto terzo non imprenditore può essere chiamato a rispondere di storno, quando si interpone, in ragione di una relazione di interessi che lo collega all’imprenditore in concorrenza, per cui viene a svolgere la attività illecita, con la conseguenza che entrambi ne rispondono in solido. Tuttavia, la condotta di “storno” è una condotta attiva, che si concreta nell’allontanare e/o trasferire qualche cosa (o qualcuno, nel caso di storno di dipendenti), e presuppone l’alterità tra soggetto che storna e soggetto stornato; si tratta di condotta che non può essere addebitata, per incompatibilità logica, a chi sia nel contempo oggetto passivo dello storno, ossia al dipendente che viene stornato.
Lo storno dei dipendenti, mediante il quale l’imprenditore si assicura le prestazioni lavorative di uno o più dipendenti di un’impresa concorrente, costituisce una lecita espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà d’iniziativa economica, libertà che trovano una tutela anche negli artt.35, 36 e 41 della Costituzione. Perché lo storno si connoti come illecito, sul piano concorrenziale, è necessario che si verifichi con modalità illecite, tali da alterare significativamente la correttezza della competizione, e danneggiare il concorrente, e nel contempo che alla condotta attiva si accompagni la consapevolezza nel soggetto agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare il concorrente; questa consapevolezza, che è uno stato soggettivo non dimostrabile direttamente, si desume esaminando le modalità oggettive e di contesto dello storno, e l’impatto sull’organizzazione e la struttura produttiva del concorrente, nel loro complesso e alla luce dei principi di correttezza professionale.
Le dichiarazioni scritte di un testimone costituiscono elementi di prova atipici, quando non possono essere qualificate come testimonianze scritte di cui all’art. 257 bis, mancando i presupposti formali, nè sono equiparabili a deposizioni assunte oralmente, con le garanzie del contraddittorio, ma possono costituire validi elementi di prova atipici quando intrinsecamente coerenti e credibili, numerose, e convergenti nella descrizione dei fatti, disegnando un quadro indiziario probante.
Sono informazioni riservate quelle che recano non solo i dati identificativi dei clienti, ma nel contempo ulteriori indicazioni, utili non solo al loro reperimento, ma piuttosto e soprattutto a determinare il profilo qualificante, in modo che dalla sua lettura sia possibile ricavare conseguenze utili e necessarie per l’esercizio dell’attività aziendale senza necessità di acquisire ulteriori informazioni (nel caso di specie, un database che contiene la lista dei clienti, accompagnata da informazioni ulteriori quali il tipo di contratti da ciascuno stipulati, le relative condizioni economiche, ed eventualmente le scadenze contrattuali da far valere).
Non costituisce concorrenza sleale lo sfruttamento da parte dell’ex dipendente delle conoscenze tecniche, delle esperienze e financo delle informazioni relative alla politica commerciale dell’impresa dalla quale egli proviene, a condizione che non si tratti di informazioni segrete o riservate, ma appunto di un patrimonio personale di conoscenza ed esperienza acquisita dal lavoratore potendo ritenersi fisiologico che il terreno dell’attività elettiva dell’ex dipendente, proprio in virtù delle conoscenze e relazioni precedentemente acquisite, si rivolga ai clienti già in rapporti con l’impresa alle cui dipendenze aveva prestato lavoro: in costanza di rapporto di lavoro, infatti, il dipendente è tenuto ad osservare l’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., mentre terminato il rapporto di lavoro, l’ex dipendente, in mancanza di patto (retribuito) di non concorrenza ex art. 2125 c.c., può ben esplicare, per conto proprio o di terzi, l’attività in concorrenza, utilizzando le cognizioni e le esperienze acquisite nel precedente rapporto di lavoro, ed anche le relazioni preferenziali con la clientela.
Tutela delle banche dati aziendali e concorrenza sleale
Il Giudice Istruttore non ha il potere di impedire la produzione di documenti allegati nel rispetto delle preclusioni previste dal codice di procedura civile, dovendosi limitarne a valutarne la rilevanza in sede di decisione della causa, anche tenuto conto [ LEGGI TUTTO ]