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11 Luglio 2024

Decadenza del consigliere di amministrazione in caso di clausola simul stabunt simul cadent

Attraverso la previsione della clausola statutaria “simul stabut simul cadent”, alle dimissioni provenienti da ciascun componente del consiglio di amministratore viene attribuito l’ulteriore effetto di determinare la decadenza immediata dell’organo gestorio.
Si tratta di una clausola che viene accettata dall’amministratore al momento dell’assunzione della carica, essendo quindi, ciascun componente dell’organo amministrativo, consapevole della possibilità che l’intero consiglio venga a cessare prima della sua naturale scadenza a seguito della manifestazione della volontà di uno solo di suoi componenti, volontà che non richiede alcuna espressa motivazione.

La decadenza immediata dell’organo amministrativo conseguente alla legittima applicazione della clausola statutaria simul stabunt simul cadent non comporta, a favore del componente non dimissionario, alcun effetto indennitario o risarcitorio, dal momento che la previsione conforma specificamente il mandato gestorio assunto da ciascun membro del consiglio di amministrazione con l’accettazione della carica.

È onere dell’amministratore revocato quello di dimostrare la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione abusiva o in mala fede della clausola. Tale prova può essere offerta anche tramite presunzioni, che tuttavia devono essere tra loro gravi precise e concordanti e denotare l’esistenza un vero e proprio “procedimento” elusivo costituito dalla concatenazione concertata di atti negoziali e comportamenti riferibili a componenti di organi sociali diversi volti a convergere sull’unico scopo della realizzazione di un effetto equivalente alla revoca ingiustificata senza indennizzo dell’amministratore.
Tra gli elementi presuntivi di tale abusivo disegno viene individuata la rinnovazione da parte dell’assemblea dei soci dell’incarico a tutti gli altri membri del consiglio con esclusione del solo componente non dimissionario.

17 Aprile 2023

Abuso della clausola simul stabunt simul cadent e diritto al risarcimento del danno da parte dell’amministratore non dimissionario

La clausola simul stabund simul cadent – riconosciuta dall’art. 2386, co. 4, c.c. – è finalizzata a mantenere costanti, a livello di organo gestorio, gli equilibri interni originariamente voluti e cristallizzati secondo una determinata configurazione nella delibera assembleare di nomina e funge da stimolo alla coesione dell’organo gestorio poiché ciascun amministratore è consapevole che le dimissioni di uno degli altri amministratori determinano la decadenza dell’intero consiglio e, nel contempo, egli stesso può contribuire a quella decadenza quando in disaccordo con gli altri componenti del consiglio di amministrazione. L’operatività fisiologica della clausola di decadenza non implica l’obbligo di motivare la rinuncia all’incarico.

Il  carattere abusivo o strumentale della vicenda decadenziale si configura ogni qual volta le dimissioni di quell’amministratore o di quegli amministratori capaci di provocare la decadenza di tutto l’organo di gestione siano dettate unicamente o prevalentemente dallo scopo di eliminare amministratori sgraditi, in assenza di giusta causa, quindi eludendo l’obbligo di corresponsione degli emolumenti residui (e in generale di risarcimento del danno) che spetterebbero loro se fossero cessati dalla carica, non per effetto della clausola in discussione, ma per revoca ex art. 2383, co. 3, c.c. nelle s.p.a. ed ex artt. 1723, co. 2, e 1725 c.c. nelle s.r.l.

In caso di abuso di esercizio della clausola simul stabunt simul cadent, agli amministratori non dimissionari decaduti  deve quindi essere riconosciuto comunque il diritto al risarcimento del danno quando sia dimostrato che le dimissioni che hanno determinato l’effetto decadenziale sono state date abusivamente (cioè per scopi diversi da quelli per i quali è riconosciuto il diritto a rinunciare alla carica) o strumentalmente (cioè per eludere l’obbligo risarcitorio connesso alla revoca senza giusta causa). Pertanto, se le facoltà di cui alla clausola in discussione sono esercitate correttamente, allora tale esercizio non fa sorgere alcun diritto a favore dell’amministratore decaduto, il quale accettando l’iniziale conferimento dell’incarico aderisce implicitamente alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di nomina e permanenza degli organi sociali ed i relativi poteri.

L’onere della prova in ordine alla abusività della condotta altrui ricade sull’amministratore decaduto, al quale non basterà dimostrare l’assenza di propri comportamenti negligenti o comunque l’assenza di situazioni integranti giusta causa di revoca, dovendo invece fornire la prova della esclusiva finalizzazione della clausola alla sua estromissione dal collegio degli amministratori per il conseguimento di interessi extrasociali o di un gruppo della compagine sociale e quindi l’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.

La revoca anticipata senza giusta causa dell’amministratore dalla carica, mentre comporta il ristoro per la perdita dei residui compensi (ma anche ciò va delimitato, dovendosi pur sempre applicare le regole di cui agli artt. 1223-1227 c.c.), non necessariamente produce tuttavia altro tipo di danno, neppure alla reputazione. Nel caso di revoca dell’incarico di amministratore, il danno consiste nel lucro cessante, cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca, in riferimento a questa voce di danno non sussistendo inoltre ragione di ricorrere alla liquidazione equitativa. L’amministratore potrebbe, bensì, ottenere la liquidazione di danni ulteriori e diversi rispetto a quelli consistenti nel lucro cessante, ma di tali danni deve offrire puntuale allegazione e prova.

Nel caso di revoca senza giusta causa il giudice deve effettuare una valutazione prognostica idonea a considerare il tempo necessario per l’amministratore revocato di trovare una occupazione nello stesso o in altro settore operativo, escludendo ogni automatismo e negando la applicabilità della disciplina prevista nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato.

8 Febbraio 2023

Abuso della clausola simul stabunt simul cadent

La natura di immedesimazione che caratterizza il rapporto tra amministratore della società e quest’ultima è tale che il primo non possa ritenersi slegato dai vincoli rappresentati dal rispetto delle norme che disciplinano la convivenza dei soci all’interno della società e che regolamenta, altresì, l’operato ed i limiti di operatività dei singoli amministratori, atteso che lo stesso, con l’accettazione dell’incarico, ha manifestato la propria volontà di aderire anche alle clausole dello statuto sociale che regolano le condizioni di nomina e permanenza degli organi societari.

La decisione di alcuni amministratori di rassegnare le dimissioni non può essere ritenuta lesiva di altrui posizioni considerato che l’effetto prodotto dalle dimissioni di alcuni amministratori, essendo quello di sostituzione dell’intero organo amministrativo per effetto della clausola simul stabunt simul cadent, comporta che la scelta dei componenti dell’organo gestorio, nell’esclusivo interesse della società, venga demandata all’Assemblea dei soci ai sensi di legge e di statuto.

Incombe sull’attore che lamenta la sussistenza di una revoca illegittima a suo pregiudizio la prova del collegamento oggettivo e soggettivo tra le dimissioni dei consiglieri che hanno perfezionato la fattispecie statutaria della decadenza e la successiva immediata nomina di un nuovo consiglio composto da tutti gli altri precedenti componenti, nonché la prova della sua esclusiva finalizzazione all’estromissione dell’attore dal collegio degli amministratori e quindi all’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.

Qualora un amministratore di s.r.l. decaduto per via dell’operatività dell’art. 2386 c.c. agisca in giudizio per chiedere il risarcimento del danno agli altri amministratori, graverà su di esso l’onere della prova in ordine alla abusività della condotta altrui, non essendo sufficiente a tal fine dimostrare l’assenza di propri comportamenti negligenti o comunque l’assenza di situazioni integranti giusta causa di revoca.

25 Luglio 2022

La legittimazione dell’amministratore decaduto per effetto della clausola simul stabunt simul cadent a impugnare la delibera assembleare di nomina del nuovo organo amministrativo

L’art. 2386, co. 4, c.c., che recepisce la clausola simul stabunt simul cadent, introduce la regola generale secondo cui gli amministratori superstiti restano in carica, in regime di prorogatio di poteri, tanto da essere tenuti alla convocazione d’urgenza dell’assemblea per la nomina del nuovo consiglio e l’eccezione che può essere prevista nello statuto, ossia il subentro del collegio sindacale, non soltanto nel potere di convocazione dell’assemblea, ma anche nel compimento di atti di ordinaria amministrazione. Pertanto, l’amministratore decaduto per effetto della simul stabunt simul cadent, se non è diversamente previsto nello statuto, deve ritenersi in carica fino all’avvenuta nomina del nuovo organo amministrativo e conserva – non nell’interesse proprio, ma nell’interesse alla legalità della società – la legittimazione ex art. 2377 c.c. a chiedere l’annullamento della deliberazione assembleare, se affetta da vizi che inficino l’evento della nomina del nuovo organo amministrativo.

L’applicazione della clausola simul stabunt simul cadent comporta un’anticipazione della scadenza naturale dell’intero consiglio, per effetto della cessazione di uno dei consiglieri. Tale clausola implica, dal lato dell’amministratore, l’accettazione del rischio di cessazione anticipata e involontaria dalla carica, che non equivale né in fatto, né sul piano delle conseguenze giuridiche, a una revoca dell’incarico.

La clausola statutaria simul stabunt simul cadent prevede e determina una causa naturale di cessazione dalla carica di amministratore in base alla quale, a seguito delle dimissioni anche di un solo membro dell’organo gestorio, si determina l’immediata decadenza dell’intero CdA, ma l’esercizio della clausola deve sempre essere valutato alla luce del principio generale di buona fede, al fine di armonizzarne il corretto ambito di operatività. Infatti, tale clausola – di per sé lecita e legittima – non deve finire per essere utilizzata in modo strumentale e improprio, al fine di ottenere una revoca anticipata di uno degli amministratori in carica, senza che ricorrano quelle congrue motivazioni e quelle conseguenze onerose previste dall’art. 2383 c.c.

L’uso indiretto delle dimissioni, al fine di innescare l’operatività della clausola simul stabunt simul cadent, non può avere maggiori effetti di una revoca senza giusta causa e non comporta, pertanto. l’invalidità della deliberazione di nomina del nuovo organo amministrativo, ma la semplice pretesa dell’amministratore, indirettamente revocato senza giusta causa, a pretendere l’indennizzo ex art. 2383 c.c.

L’onere di provare l’uso strumentale della clausola simul stabunt simul cadent ricade sull’amministratore decaduto e non può ritenersi soddisfatto per l’assenza di propri comportamenti negligenti o comunque l’assenza di situazioni integranti giusta causa di revoca. Incombe dunque sull’attore la prova della esclusiva finalizzazione della clausola alla sua estromissione dal collegio degli amministratori per il conseguimento di interessi extrasociali o di un gruppo della compagine sociale e quindi l’ottenimento in via indiretta del risultato di revocarlo in assenza di giusta causa.

23 Aprile 2018

Impugnazione di delibera del collegio sindacale e funzionamento della clausola simul stabunt simul cadent. Il caso Telecom.

L’innesco della clausola statutaria simul stabunt simul cadent comporta la necessità di integrale rinnovo del consiglio di amministrazione, senza la possibilità di procedere a sostituzioni parziali interinali. [ LEGGI TUTTO ]

19 Dicembre 2017

Esercizio abusivo delle dimissioni da parte di amministratori legati da clausola “simul stabunt, simul cadent”

La revoca degli amministratori non deve essere necessariamente formalizzata in un’esplicita manifestazione di volontà, ma può anche avvenire in modo implicito, come nel caso – ad esempio – in cui venga deliberata una riduzione dei membri del consiglio di amministrazione. [ LEGGI TUTTO ]