Rapporti tra azione cautelare di revoca degli amministratori ex art. 2476, terzo comma, c.c. e denuncia al tribunale ex art. 2409 c.c. nell’ambito delle società a responsabilità limitata alla luce della riforma della crisi d’impresa
Alla luce della re-introduzione nel 2020 dell’istituto della denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. anche per le s.r.l., deve chiaramente affermarsi che ogni qualvolta i soci lamentino, attraverso i diversi indicatori della società, di sospettare gravi irregolarità gestionali frutto di violazione di doveri, centrando solo sulla regolarità della gestione corrente l’oggetto delle censure con un petitum coincidente al ripristino della corretta gestione, non v’è dubbio che tali censure vadano incanalate nell’unico strumento in grado di accertare in itinere l’esistenza delle irregolarità e la loro gravità, e di procedere alla rimozione delle stesse con la nomina di un amministratore giudiziario, ossia un ricorso ex art. 2409 c.c. E ciò, a maggior ragione, quando i soci esprimono una minoranza, per cui più che alla rimozione in sé dell’organo di gestione (che può anche avvenire, ma alla quale seguirebbe la nomina di altro amministratore sempre da parte della stessa maggioranza) essi hanno interesse a che, tramite il tribunale, vi sia il ripristino della corretta gestione anche in contrasto con la maggioranza.
Invece, quando le censure attengono a fatti consumati ed il petitum coincide con il ripristino in quella fase della corretta gestione, perché l’interesse della società, e del socio che agisce in giudizio, è salvaguardato dalla rimozione dell’amministratore e dal ripristino del pregiudizio patrimoniale subito dalla società, non v’è dubbio che il rimedio sia quello di cui all’art. 2476, terzo comma, c.c.
In altri termini, alla luce della reintroduzione dell’esperibilità della denunzia ex art. 2409 c.c. per le s.r.l., è venuto meno il presupposto che nel 2005 aveva giustamente mosso la Consulta ad affermare che il rimedio cautelare di cui all’art. 2476, terzo comma, c.c. potesse essere sganciato dall’azione risarcitoria, là dove parte del percorso motivazionale fondava l’allargamento della tutela proprio al venir meno, all’epoca, del rimedio naturale per la rimozione dell’amministratore di cui all’art. 2409 c.c. Con la conseguenza che quando la revoca dell’amministratore è funzionale al ristoro del pregiudizio patrimoniale l’interesse sarà tutelato proprio dalla fattispecie di cui all’art. 2476, terzo comma, c.c., mentre quando essa è funzionale al ripristino della corretta gestione l’interesse del socio sarà tutelato con l’attivazione del rimedio di cui all’art. 2409 c.c.
Nullità della delibera assembleare di s.r.l. per mancato invio dell’avviso di convocazione
Il vizio di mancato invio dell’avviso di convocazione di un’assemblea rileva come causa di nullità della delibera ai sensi dell’art. 2479 ter, co. 3, c.c., ben potendosi assimilare l’ipotesi di carenza assoluta di informazione a quella (anche più grave) di carenza assoluta di convocazione.
È pacifico che in caso di impugnazione di delibera da parte di un socio che abbia dimostrato la sua mancata partecipazione all’assemblea, incombe sulla società convenuta l’onere di provare di avere inviato l’avviso di convocazione. Il socio attore in un giudizio contumaciale è sollevato dall’onere di provare il mancato invio dell’avviso di convocazione poiché, in forza dei principi del riparto dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale e della prossimità alla fonte di prova, si deve considerare che l’obbligo di comunicare la convocazione è in capo alla società (art. 2479 bis, co. 1, c.c.), sicché, in un rapporto di natura contrattuale, quale quello tra socio e società, è sufficiente che il socio-creditore alleghi l’inadempimento perché sia la società-debitore a dover provare l’esatto adempimento.
Nel caso di impugnazione di deliberazione assembleare, legittimata passiva è solo ed esclusivamente la società, quale soggetto da cui promana la manifestazione di volontà impugnata.
Legittimazione attiva del curatore fallimentare per l’esercizio dell’azione dei creditori sociali
Dopo il fallimento della società debitrice l’azione di cui all’art. 2394 c.c. è esperibile in via esclusiva dal curatore del fallimento della stessa, con la legittimazione del quale non può concorrere quella dei creditori sociali per l’azione di loro spettanza, essendo quest’ultima assorbita, in costanza della procedura fallimentare, dall’azione di massa e non potendo, quindi, finché dura il fallimento, ad essa sopravvivere, ancorché il curatore rimanga inerte. Rimane in capo al singolo creditore della società fallita la diversa azione individuale del terzo di cui all’art. 2395 c.c., che presuppone un “danno diretto” al patrimonio del terzo-creditore, derivante dall’azione dolosa o colposa degli amministratori della fallita.
Inapplicabilità dell’art. 2429 c.c. alle società a responsabilità limitata
L’art. 2429 c.c. non è applicabile alle società a responsabilità limitata, in quanto, secondo un’interpretazione conservativa del secondo comma dell’art. 2478 bis c.c., il richiamo operato dal primo comma del medesimo articolo alle disposizioni di cui alla sezione IX del capo V del libro V del codice civile deve intendersi limitato alle sole disposizioni per la redazione del bilancio, e non già al deposito dei documenti da allegare allo stesso.
L’art. 2478 bis c.c. – rubricato “bilancio e distribuzione degli utili” – prevede infatti che “il bilancio deve essere redatto con l’osservanza delle disposizioni di cui alla sezione IX del capo V del presente libro” e prosegue poi disponendo: “esso è presentato ai soci entro il termine stabilito dall’atto costitutivo e comunque non superiore a centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, salva la possibilità di un maggior termine nei limiti ed alle condizioni previsti dal secondo comma dell’articolo 2634. Entro trenta giorni dalla decisione dei soci di approvazione del bilancio devono essere depositati presso l’ufficio del registro delle imprese, a norma dell’articolo 2435, copia del bilancio approvato“.
L’articolo in esame, quindi, oltre a dettare una disciplina autonoma quanto alla procedura di approvazione, richiama espressamente l’art. 2435 c.c. per estendere alla società a responsabilità limitata l’obbligo di deposito del bilancio approvato presso il registro delle imprese; richiamo che, ritenendo il rinvio operato alle disposizioni di cui alla sezione IX del capo V del libro V del codice civile come omnicomprensivo e riferito anche alle disposizioni in materia di deposito del bilancio, non avrebbe ragion d’essere, essendo l’art. 2435 c.c. già ricompreso nella sezione IX del capo V.
Responsabilità limitata del socio per i debiti della società cancellata: natura del credito e delimitazione dell’onere della prov
La cancellazione di una s.r.l. dal registro delle imprese implica che l’obbligazione sociale non si estingua ma si trasferisca ai soci (i quali ne rispondono nei limiti di cui all’art. 2495, 3° comma, c.c.).
Conflitto di interessi di amministratori di società a responsabilità limitata: la discrezionalità gestoria è tutelabile solo se l’operazione avviene nel libero mercato
La legittimità delle operazioni concluse dagli amministratori in conflitto di interessi deve essere valutata considerando le loro ragioni e la loro convenienza.
Non sussiste dubbio, pertanto, che anche alle s.r.l. si applichi la regola che l’amministratore che, agendo in conflitto e perciò violando l’obbligo di lealtà verso la società, provochi un danno alla società è tenuto al risarcimento, in quanto la discrezionalità gestoria è tutelabile solo in quanto l’operazione avvenga nel libero mercato, dove sono appunto gli interessi confliggenti ivi operanti (es.: compratore/venditore) a limitare in primis e secondo parametri generali di convenienza economica l’operato dell’amministratore; quei parametri costituiscono appunto il limite tecnico alle scelte gestorie dell’amministratore.
Quando però lo stesso amministratore, con il suo operato, disinnesca i limiti posti dal mercato, decidendo di operare con se stesso o con parti correlate, ne consegue che il suo operato debba essere valutato da un’istanza terza, il Giudice, al fine di verificare se l’operazione sia conforme all’interesse sociale, con riferimento alle ragioni ed alla convenienza economica dell’operazione medesima.
Nel caso in cui, come quello in esame, i contratti di licenza e di cessione dei marchi sono stati stipulati in evidente conflitto di interesse (in quanto gli amministratori hanno stipulato con se stessi i contratti in questione, essendo loro stessi, da un lato, i titolari dei marchi, dapprima concessi in licenza e successivamente ceduti, e dall’altro lato gli amministratori della società dapprima licenziataria e successivamente acquirente dei marchi), la regola dell’insindacabilità delle scelte economiche effettuate dagli amministratori della società cede a fronte della necessità di valutare se l’operazione compiuta dai rappresentanti ha provocato un danno alla società rappresentata, come è stato accertato nella fattispecie in esame, sulla base della consulenza tecnica, disposta nel giudizio di primo grado.
Estensione dell’onere probatorio dell’attore in merito ai presunti atti di concorrenza sleale del socio di s.r.l. che eserciti il proprio diritto/potere di controllo ai sensi dell’art. 2476 c.c.
Le azioni di un socio di s.r.l. consistenti nel richiedere copie della documentazione sociale, tra cui il bilancio, le scritture contabili e i contratti commerciali, o domandare delega operativa sui conti correnti della società, non permettono di configurare il medesimo come amministratore di fatto, rientrando tali richieste nei diritti/poteri attribuitigli ex art. 2476, comma 2 c.c., ai sensi del quale i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. Secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente, meritevole di essere condiviso, infatti, la corretta individuazione della figura dell’amministratore di fatto richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni. Gli elementi di cui tenere conto, in sintesi, sono i seguenti: 1) assenza di una efficace investitura assembleare; 2) attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente; 3) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; 4) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.
Per provare che il socio che esercita i compiti connessi a tali diritti in realtà acquisisce informazioni strategiche sull’impresa al fine di compiere attività concorrenziale sleale a danno della propria società, l’attore deve assolvere al proprio onere probatorio ai sensi dell’art. 2697 c.c. Tale onere non può considerarsi soddisfatto qualora le circostanze su cui è stata richiesta l’ammissione di prova testimoniale siano valutative, generiche, irrilevanti o da provarsi documentalmente; le prove a fondamento dei fatti costitutivi della propria pretesa siano incomplete o i fatti stessi irrilevanti; non vi sia specifica e tempestiva contestazione di quanto affermato dal convenuto.
Azione revocatoria ordinaria avente ad oggetto una delibera assembleare di s.r.l.
Il terzo creditore di un socio unico di società a responsabilità limitata può promuovere, ex art. 2901 e ss. cod. civ., un’azione revocatoria ordinaria finalizzata a far dichiarare l’inefficacia di una delibera con cui l’assemblea abbia deliberato di coprire le perdite della società in parte ricorrendo a riserve e versamenti in conto capitale e versamenti pregressi, e in parte attraverso l’azzeramento del capitale sociale e sua successiva ricostituzione mediante un corrispondente aumento dello stesso offerto a soggetti terzi.
Una delibera di S.r.l. è revocabile benché non abbia come oggetto il diretto trasferimento della quota di partecipazione detenuta dal socio unico. Ciò che rileva, infatti, è il risultato finale che a mezzo di essa è stato conseguito, ossia l’uscita di quel rilevante asset dal patrimonio del socio unico, con conseguente pregiudizio delle ragioni del creditore.
Responsabilità del liquidatore di s.r.l.
In tema di liquidazione delle società di capitali, ove l’assemblea che ha deliberato lo scioglimento della società e la nomina del liquidatore non abbia determinato i poteri attribuiti a quest’ultimo alla stregua delle indicazioni contenute nell’art. 2487, co. 2, c.c., il liquidatore è investito, in forza dell’art. 2489, co. 1, c.c., del potere di compiere ogni atto utile per la liquidazione della società (ivi inclusa dunque la proposizione di un’azione di responsabilità nei confronti del precedente liquidatore). Alla stregua del principio appena richiamato e della rinunciabilità dell’azione prevista dall’art. 2476, co. 5, c.c., l’eccezione di improcedibilità dell’azione fondata sulla mancanza della delibera assembleare di autorizzazione alla proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti del liquidatore e sull’invocata applicazione analogica della norma dettata dall’art. 2393 c.c. in materia di s.p.a. non merita accoglimento, non essendo lo stesso art. 2393 c.c. applicabile analogicamente alle s.r.l.
L’amministratore di fatto e quello di diritto rispondono in solido del danno cagionato alla società con le proprie condotte concorrenti, commissiva e omissiva e analogo principio vale per i liquidatori ai quali si applicano le norme sulla responsabilità dell’amministratore in forza del rinvio operato dall’art. 2489 c.c.