Esclusione del socio di cooperativa: comunicazione al socio della decisione e confini del sindacato giudiziale
Nelle società cooperative, è legittima la comunicazione dell’esclusione inviata al socio a mezzo raccomandata in cui sono esposte le ragioni poste a fondamento dell’esclusione, in quanto l’art. 2533 c.c. prevede semplicemente che la deliberazione di esclusione debba essere comunicata al socio, ma non richiede la trasmissione in forma autentica e integrale del provvedimento, né l’adozione di particolari formalità, essendo sufficiente che essa risulti idonea a rendere edotto il socio delle ragioni dell’adottata sanzione, in guisa da consentirgli di articolare le proprie difese con l’opposizione.
L’eventuale incompletezza, ovvero la mancata specificità della comunicazione non incide sulla validità e sull’operatività del provvedimento, potendo spiegare rilievo solo al diverso fine di consentirgli un’opposizione tardiva o non specifica, e diviene, comunque, irrilevante quando l’escluso dimostri di essere pienamente consapevole delle vicende concretamente addebitategli, per avere su di esse fondato la propria difesa in sede di opposizione.
La comunicazione della deliberazione di esclusione del socio, prevista dall’art. 2527 c.c., ai fini del decorso del termine di trenta giorni per proporre opposizione, non richiede l’adozione di specifiche formalità o di particolari mezzi di trasmissione, né la rigorosa enunciazione degli addebiti, dovendosi considerare sufficiente qualsiasi fatto o atto idoneo a rendere edotto il socio del contenuto e delle ragioni del provvedimento, per porlo, conseguendosi in tal modo le finalità previste dalla legge, nelle condizioni di articolare le proprie difese.
La valutazione giudiziale circa la legittimità dell’esclusione del socio di società cooperativa deve limitarsi a verificare la sola regolarità formale della decisione, accertando che la motivazione della delibera rientri tra quelle elencate nello statuto sociale, senza entrare nel merito delle cause del provvedimento e senza pronunciarsi sulla eventuale inopportunità sottostante la delibera di esclusione adottata dal consiglio d’amministrazione. Ne consegue che nel giudizio di impugnazione resta sottratta al giudice ogni valutazione sull’opportunità dell’esclusione, in quanto la decisione assunta dall’organo societario e relativa all’estromissione del socio è puramente privatistica ed attinente ad una politica societaria interna, vertendosi in tema di scelte discrezionali della società.
La delibera di esclusione del socio, che risulti adottata dalla assemblea di una società cooperativa nel concorso di una situazione che l’atto costitutivo prevede come giustificativa dell’esclusione medesima, non può essere impugnata in relazione a pretesi abusi di potere, ovvero disparità di trattamento, tenuto conto che essa integra un atto privatistico e non un provvedimento amministrativo, né in relazione ad una pretesa inosservanza di principi di solidarietà e buona fede, la quale non può di per sé configurarne ragione di illegittimità, a fronte del disconoscimento, nella suddetta situazione, del diritto del socio di continuare a far parte della società.
Corporazione dei piloti: norme applicabili e responsabilità degli amministratori
La Corporazione dei Piloti, ente marcatamente mutualistico, è qualificabile come cooperativa regolata da norme speciali ed assoggettabile alla disciplina dell’art. 2520 c.c. e dunque delle società per azioni ex art. 2519 c.c. in quanto compatibili. La Corporazione deve infatti agire secondo criteri di economicità e operando scelte che in senso lato devono dirsi imprenditoriali, anche se lo scopo di essa, verso gli associati, non è la distribuzione di utile ma la ripartizione del sopravanzo di gestione del servizio. Ove anche i mezzi siano in tutto o in parte in comproprietà fra i piloti, resta il fatto che la Corporazione, per operare, gestisce necessariamente un patrimonio con criteri di economicità, come mostra lo stesso fatto che essa deve sostenere anche le spese non predeterminate ma “necessarie al buon funzionamento…” il che implica scelte gestorie avvicinabili alla business judgement rule. Lo stesso art. 114 reg. cod. nav. che tratta della “amministrazione della corporazione”, e i successivi che trattano del rendiconto, confermano che la Corporazione dispone di, e gestisce, un proprio patrimonio, da utilizzare per le spese e distributore in forma di quota ai componenti. Sotto la specie della disciplina societaria, dunque, l’azione del socio che lamenta l’illecito gestorio come fonte di danno a sé medesimo si inquadra nella fattispecie di cui all’art. 2395 c.c.: tale ipotesi richiede che dall’illecito lamentato scaturisca un danno diretto all’attore.
Omessa convocazione dell’amministratore in conflitto di interessi e validità della delibera di esclusione
In caso di omessa convocazione del socio-amministratore, non è invalida la delibera di CdA di esclusione dello stesso socio-amministratore per morosità nel versamento dei conferimenti sociali, attesa la posizione di conflitto di interessi in cui egli si trovava, non potendo votare in una deliberazione avente ad oggetto la sua esclusione.
Nullità delle operazioni sulle proprie azioni della banca popolare
Con riferimento all’acquisto delle proprie azioni, quando il collocamento delle azioni avvenga, contro il divieto, nel mancato rispetto delle modalità e limiti descritti dall’art. 2358 c.c., la sanzione è quella della nullità, in quanto solo il rispetto di tali requisiti e limiti permette di superare il divieto. Infatti, il fattore preminente fatto oggetto di tutela dalla norma è quello della tutela del capitale sociale, nell’interesse della società, oltre che dei soci e dei creditori. Tale interesse è centrale anche nelle società cooperative. La loro natura mutualistica comporta infatti che il loro scopo sia fornire beni e servizi ai soci (ed eventualmente a non soci) a condizioni più vantaggiose rispetto a quelle di mercato. Tale scopo si realizza però mediante una struttura imprenditoriale, più o meno complessa, che deve operare secondo criteri di economicità, razionalità e quindi in primo luogo con salvaguardia del capitale mediante il quale solamente lo scopo mutualistico può realizzarsi.
Pertanto, una disciplina che limita le operazioni che possono mettere a repentaglio il capitale non è certo incompatibile con la società cooperativa. Né si rinviene alcuna incompatibilità dei requisiti o delle modalità e condizioni prescritte dall’art. 2358 c.c. con la struttura cooperativa. Inoltre, poiché tutte le condizioni dettate dalla norma concorrono a elidere i pericoli insiti nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, tutte indistintamente devono sussistere parimenti perché il divieto del comma 1 dell’art. 2358 sia superato. Va poi escluso che la disciplina civilistica, posta a tutela del capitale sociale, sia in qualche modo esclusa dal fatto che le società cooperative sono sottoposte a forme di vigilanza (per le Banche, da parte di Consob, Banca d’Italia e BCE) in mancanza di norme che in tal senso dispongano. Inoltre, quanto alla applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche popolari, l’introduzione dell’art 150 bis TUB e l’abrogazione dell’art. 9 d.lgs. 105/1948 portano ad escludere che il legislatore abbia inteso permettere alle banche popolari di finanziare l’acquisto di proprie azioni al di fuori di qualsiasi forma, e a concludere che si sia inteso applicabile l’art. 2358 c.c.
Con riguardo, invece, all’acquisto di obbligazioni convertibili in azioni proprie, il finanziamento da parte dell’emittente dell’acquisto obbligazionario non è contemplato dall’art. 2358 c.c., che riguarda le sole azioni. Tuttavia, così come per il caso del collocamento azionario assistito, il collocamento di obbligazioni convertibili su provvista fornita dalla banca mina l’effettività del conferimento. Infatti, la predisposizione di tale strumento, in quanto collocato mediante provvista fornita dalla Banca, è in sé idoneo a eludere la disciplina cogente dettata per assicurare l’effettività degli aumenti di capitale, e i divieti in essa previsti a tutela della effettività del capitale. Si realizza dunque un complesso negoziale in frode alla legge, sanzionato da nullità ex art. 1344 c.c.
Banca Popolare di Vicenza: applicabilità dell’art. 2358 c.c.
Con riferimento ad operazioni su azioni proprie poste in essere da società cooperative e, in particolare da banche popolari, deve riconoscersi anche per esse l’applicabilità dell’art. 2358 c.c., in ragione del rinvio alla disciplina delle società azionarie operato dall’art. 2519 c.c.
Le prescrizioni di cui all’art. 2358 c.c. rivestono natura imperativa, con la conseguenza che, in caso di violazione, il contratto è nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c. In particolare, quando il collocamento di azioni avviene nel mancato rispetto delle modalità e dei limiti descritti dallo stesso art. 2358 c.c., la sanzione è quella della nullità, in quanto solo il rispetto dei requisiti e limiti, di cui all’art. 2358 c.c., permette di superare il divieto.
Il fattore preminente fatto oggetto di tutela dall’art. 2358 c.c. è quello della tutela del capitale sociale, nell’interesse della società, oltre che dei soci e dei creditori, che fanno parte di quel più ampio pubblico al quale la pubblicazione nel Registro delle Imprese rende accessibile la delibera. Tale interesse è centrale anche nelle società cooperative. Pertanto, una disciplina, come quella contenuta all’art. 2358 c.c., che vieta (o meglio, in concreto limita) le operazioni che possono mettere a repentaglio il capitale non è certo incompatibile con la società cooperativa. Lo scopo mutualistico da solo non basta infatti a giustificare la messa in atto di operazioni in sé pericolose, tali da mettere a rischio l’equilibrio economico della struttura sociale. Il codice civile, per esempio, espressamente prevede per le società cooperative una disciplina speciale dell’acquisto delle proprie azioni (2529 c.c.), ma non contiene deroghe espresse per altre operazioni che sono vietate, o limitate, per le s.p.a.
Con riferimento alla questione se i requisiti, le modalità e le condizioni prescritte dall’art. 2358 c.c. siano incompatibili con la struttura cooperativa, deve osservarsi che tale non è certamente la previsione della necessità di una delibera assembleare: se, infatti, per la struttura aperta delle società cooperative, è compito degli amministratori ammettere nuovi soci, ciò vale unicamente, appunto, per l’ammissione di soci nuovi, non ad esempio per il collocamento di azioni presso soggetti già soci e comunque non certamente quando vi sia aumento del capitale sociale. La ragione bene si comprende: la apertura della società ad accogliere nuovi soci è regola coessenziale allo scopo mutualistico e dunque essa viene gestita dall’organo amministrativo. A tale scopo però si ricollega anche la regola per la quale il socio dispone di un voto solo, quale che sia la sua quota di partecipazione. L’aumento della partecipazione in sé non ha un nesso funzionale immediato con la soddisfazione dello scopo mutualistico. Più in generale, la normativa prevede espressamente compiti dell’assemblea in vario modo relativi alla emissione e al collocamento di azioni: primo fra tutti il caso di aumento del capitale sociale, operazione che è ammessa dall’art. 2524, co. 3, c.c., il quale prescrive però la applicazione della disciplina generale delle s.p.a. relativa alla modificazione dell’atto costitutivo; lo stesso acquisto o rimborso delle proprie azioni può essere demandato agli amministratori solo dall’atto costitutivo (2529 c.c.).
Deve affermarsi la piena compatibilità con la disciplina delle cooperative dei disposti relativi ai limiti, presupposti e ai modi della deliberazione di concedere un finanziamento per l’acquisto delle azioni della società, previsti dall’art. 2358 c.c., co. 3, 4, 5 e 6, c.c. e con l’obbligo ivi previsto di iscrivere una riserva indisponibile corrispondente. Poiché tutte le condizioni dettate dalla norma concorrono a elidere i pericoli insiti nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, tutte indistintamente devono sussistere parimenti perché il divieto dell’art. 2358, co. 1, sia superato: sia quelle di forma e di competenza, sia quelle relative ai presupposti, sia quelle relative alla pubblicità. Appare in primo luogo rilevante la necessità che l’operazione di assistenza finanziaria sia programmata unitariamente e resa pubblica.
Deve escludersi che la disciplina civilistica, posta a tutela del capitale sociale, sia esclusa per quelle società cooperative che sono sottoposte a forme di vigilanza in mancanza di norme che in tal senso dispongano.
Banca Popolare di Vicenza: applicabilità dell’art. 2358 c.c. alle banche popolari
Con riferimento ad operazioni su azioni proprie poste in essere da società cooperative e, in particolare, da banche popolari, deve riconoscersi anche per esse l’applicabilità dell’art. 2358 c.c., in ragione del rinvio alla disciplina delle società azionarie operato dall’art. 2519 c.c.
Le prescrizioni di cui all’art. 2358 c.c. rivestono natura imperativa, con la conseguenza che, in caso di violazione, il contratto è nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c. In particolare, quando il collocamento di azioni avviene nel mancato rispetto delle modalità e dei limiti descritti dallo stesso art. 2358 c.c., la sanzione è quella della nullità, in quanto solo il rispetto dei requisiti e limiti, di cui all’art. 2358 c.c., permette di superare il divieto.
Il fattore preminente fatto oggetto di tutela dall’art. 2358 c.c. è quello della tutela del capitale sociale, nell’interesse della società, oltre che dei soci e anche dei creditori, che fanno parte di quel più ampio pubblico al quale la pubblicazione nel Registro delle Imprese rende accessibile la delibera. Tale interesse è centrale anche nelle società cooperative. Pertanto, una disciplina, come quella contenuta all’art. 2358 c.c., che vieta (o meglio, in concreto limita) le operazioni che possono mettere a repentaglio il capitale non è certo incompatibile con la società cooperativa. Lo scopo mutualistico da solo non basta, infatti, a giustificare la messa in atto di operazioni in sé pericolose, tali da mettere a rischio l’equilibrio economico della struttura sociale. Il codice civile, per esempio, espressamente prevede per le società cooperative una disciplina speciale dell’acquisto delle proprie azioni (2529 c.c.), ma non contiene deroghe espresse per altre operazioni che sono vietate, o limitate, per le s.p.a.
Con riferimento alla questione se i requisiti, le modalità e le condizioni prescritte dall’art. 2358 c.c. siano incompatibili con la struttura cooperativa, deve osservarsi che non lo è certamente la previsione della necessità di una delibera assembleare: se, infatti, per la struttura aperta delle società cooperative, è compito degli amministratori ammettere nuovi soci, ciò vale unicamente, appunto, per l’ammissione di soci nuovi e non, ad esempio, per il collocamento di azioni presso soggetti già soci e comunque non certamente quando vi sia aumento del capitale sociale. La ragione ben si comprende: la apertura della società ad accogliere nuovi soci è regola coessenziale allo scopo mutualistico e dunque essa viene gestita dall’organo amministrativo. A tale scopo però si ricollega anche la regola per la quale il socio dispone di un voto solo, quale che sia la sua quota di partecipazione. L’aumento della partecipazione in sé non ha un nesso funzionale immediato con la soddisfazione dello scopo mutualistico. Più in generale, la normativa prevede espressamente compiti dell’assemblea in vario modo relativi alla emissione e al collocamento di azioni: primo fra tutti il caso di aumento del capitale sociale, operazione che è ammessa dall’art. 2524, co. 3, c.c., il quale prescrive però la applicazione della disciplina generale delle s.p.a. relativa alla modificazione dell’atto costitutivo; lo stesso acquisto o rimborso delle proprie azioni può essere demandato agli amministratori solo dall’atto costitutivo (2529 c.c.).
Deve affermarsi la piena compatibilità con la disciplina delle cooperative dei disposti relativi ai limiti, presupposti e ai modi della deliberazione di concedere un finanziamento per l’acquisto delle azioni della società, previsti dall’art. 2358, co. 3, 4, 5 e 6, c.c., e con l’obbligo ivi previsto di iscrivere una riserva indisponibile corrispondente. Poiché, infatti, tutte le condizioni dettate dalla norma concorrono a elidere i pericoli insiti nel finanziamento dell’acquisto di proprie azioni, tutte indistintamente devono sussistere parimenti perché il divieto dell’art. 2358, comma 1, sia superato: sia quelle di forma e di competenza, sia quelle relative ai presupposti, sia quelle relative alla pubblicità. Appare in primo luogo rilevante la necessità che l’operazione di assistenza finanziaria sia programmata unitariamente e resa pubblica.
Deve escludersi che la disciplina civilistica, posta a tutela del capitale sociale, sia esclusa per quelle società cooperative che sono sottoposte a forme di vigilanza in mancanza di norme che in tal senso dispongano.
Il rapporto mutualistico nelle società cooperative
In ipotesi di cooperativa, la risoluzione del rapporto sociale determina il venir meno del rapporto mutualistico di assegnazione dell’alloggio sociale.
Tale conclusione discende dalla relazione di dipendenza tra il rapporto sociale e il rapporto secondario conseguente che il legislatore ha inteso prefigurare visto il disposto dell’art. 2533 c.c.
Recesso dalle cooperative edilizie a r.l.
Il principio di parità di trattamento di cui all’art. 2516 c.c., pur dettato con riferimento alle fasi della costituzione e dell’esecuzione del rapporto mutualistico, deve essere rispettato, per opinione comune, anche nella fase di cessazione del rapporto.
Impugnazione della delibera assembleare di revoca dell’ulteriore delibera assembleare di società cooperativa, attributiva ai soci dell’uso esclusivo perpetuo di spazi condominiali
L’impugnazione di delibera di assemblea di cooperativa deve essere proposta entro il termine previsto dall’art. 2377 c.c., applicabile in ragione del rinvio generale operato dall’art.2519 c.c. alle disposizioni in tema di società per azioni. Di contro, la disciplina delle società cooperative non opera alcun rinvio alla disposizione di cui all’art. 1137 c.c. con conseguente impossibilità di mutuare il termine di trenta giorni ivi fissato.
Cause connesse di impugnazione della delibera del cda di esclusione del socio lavoratore di cooperativa e di impugnazione del licenziamento: attribuzione funzionale al giudice del lavoro
Qualora il socio lavoratore di cooperativa promuova due giudizi, l’uno per impugnazione della deliberazione con cui il consiglio di amministrazione della società ne ha deliberato l’esclusione da socio e l’altro per impugnazione del licenziamento intimatogli dalla medesima società in forza di detta esclusione, tali giudizi, tra loro connessi ex art. 34 c.p.c., debbono [ LEGGI TUTTO ]