Violazione del divieto di immistione del socio accomandante
Il socio accomandante assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320 c.c. ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione – intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull’amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi – o di trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Per aversi ingerenza dell’accomandante nella amministrazione della s.a.s. vietata dall’art. 2320 c.c., deve essere posta in essere una attività gestoria che può avere ad oggetto operazioni destinate ad avere efficacia interna alla società o a riflettersi all’esterno e che sia altresì espressione del potere di direzione degli affari sociali in quanto implicante una scelta che è propria del titolare dell’impresa.
L’attività amministrativa vietata al socio accomandante riguarda il momento genetico del rapporto in cui si manifesta la scelta operata dall’imprenditore, mentre tutto quanto attiene al momento esecutivo dell’adempimento delle obbligazioni che da quel rapporto derivano, non esclude di per sé la qualità di terzo dell’accomandante rispetto alla gestione della società, alla quale, pertanto, rimane estraneo.
L’emissione da parte del socio accomandante di assegni bancari tratti sul conto della società all’ordine di terzi, con apposizione della firma sotto il nome di quest’ultima e per conto di essa, in difetto di prova contraria, determina l’estensione di responsabilità del socio accomandatario.
L’equiparazione del socio accomandante che si è ingerito nell’amministrazione sociale al socio accomandatario prescinde da qualsiasi distinzione tra debiti sorti in epoca anteriore o successiva alla descritta ingerenza, né la responsabilità è limitata al singolo affare per il quale vi è stata ingerenza.
L’azione del socio nei confronti dell’amministratore nelle società di persone
Anche nelle società di persone, pur in assenza di apposita disposizione, è configurabile una responsabilità degli amministratori nei confronti dei singoli soci, oltre che verso la società, in termini sostanzialmente analoghi a quanto prevede, in materia di società per azioni, l’art. 2395 c.c. Tuttavia, essendo la natura extracontrattuale e individuale dell’azione del socio fondata sull’art. 2043 c.c., l’applicazione dell’art. 2395 c.c. deve essere letta in combinato disposto alla sopracitata norma generale in tema di responsabilità extracontrattuale. Ciò implica che il pregiudizio recato non deve essere il mero riflesso dei danni eventualmente prodotti al patrimonio sociale, ma i danni devono essere stati direttamente causati al socio come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori.
Per rendiconto deve intendersi la situazione contabile che equivale, quanto ai criteri fondamentali di valutazione, a quella di un bilancio, che è la sintesi contabile della situazione patrimoniale della società.
Il ricorso ex art. 700 c.p.c. La condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c.
Per i provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il requisito della strumentalità rispetto al merito si realizza mediante la portata interinale e tendenzialmente provvisoria degli effetti del provvedimento cautelare, caratterizzata dall’anticipazione degli effetti propri del provvedimento di cui vuole assicurare la fruttuosità e che, al momento della sua pronuncia, dà luogo alla caducazione del provvedimento anticipatorio. Nel ricorso devono essere specificati il petitum mediato e la causa petendi, ma non anche le analitiche conclusioni che integrano il petitum immediato del giudizio di merito: la mancata indicazione nel ricorso cautelare di tali elementi ne comporta l’inammissibilità, sempre che dal tenore dello stesso non sia possibile dedurre chiaramente il contenuto del futuro giudizio di merito. In altre parole, il ricorso contenente una domanda cautelare proposta prima dell’inizio della causa di merito deve contenere l’esatta indicazione di quest’ultima o, almeno, deve consentirne l’individuazione in modo certo. L’esigenza di individuare nel ricorso cautelare gli elementi costitutivi dell’instauranda azione di merito consente di verificare la competenza del giudice adito in sede cautelare e serve per capire se il provvedimento cautelare richiesto sia effettivamente anticipatorio. Inoltre, è necessaria anche per tutelare il soggetto destinatario passivo del provvedimento cautelare anticipatorio, consentendogli di instaurare il corrispondente e strumentale giudizio di merito volto a far rimuovere gli effetti del provvedimento cautelare emesso e/o a far rigettare anche nel merito la domanda di controparte già virtualmente formulata nello stesso ricorso.
La ricorrenza del requisito del periculum in mora, che, secondo il dettato dell’art. 700 c.p.c., deve ricorrere in aggiunta a quello del fumus boni iuris, va esclusa allorquando la parte abbia fatto trascorrere un apprezzabile lasso di tempo tra il fatto lesivo del suo diritto e la proposizione del ricorso.
La necessità di una comunicazione periodica da parte dell’amministratore risulta determinata dall’esigenza di consentire all’accomandante l’esercizio del potere di controllo e di critica sull’operato del socio accomandatario e consente, in mancanza di impugnazione del bilancio da parte dell’accomandante, di ritenere consolidato l’esercizio.
La condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa e a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della potestas agendi, con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione.
Emissione di decreto ingiuntivo in presenza di una clausola compromissoria statutaria
Atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla[va] l’emissione di provvedimenti cautelari, l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la sua contestuale revoca.
Quello cui lo statuto demanda una decisione da adottare in assenza di qualunque formalità e procedura costituisce arbitrato irrituale. La deferibilità ad arbitri irrituali di una determinata controversia è da considerare non già una questione di competenza, bensì di merito perché direttamente inerente alla validità o all’efficacia o all’interpretazione del compromesso o della clausola compromissoria.
Diritto di recesso del socio di s.a.s. e sua revoca espressa per fatti concludenti
In caso di società in accomandita semplice contratta a tempo determinato, ove non ricorra nessuna delle ipotesi di recesso previste dalla legge o dal contratto sociale, incidendo l’uscita di uno dei soci dalla compagine sociale sul contratto di società modificandolo, per l’efficacia del recesso di un socio è necessario che vi sia il consenso degli altri; consenso che, al pari degli altri casi di modifiche del contratto secondo quanto stabilito dall’art. 2252 c.c., può desumersi anche da fatti concludenti.
Nelle società di persone la dichiarazione di recesso è pacificamente ritenuta revocabile, in forza del carattere personalistico di tale tipo societario. Infatti, la non revocabilità del recesso del socio è limitata alle società di capitali e non estensibile alle società di persone, ove la prevalenza del rapporto volontaristico-collaborativo fra i soci comporta che una diversa comune volontà possa essere espressa, nel senso di intendere rinnovata la partecipazione del socio, con revoca della precedente volontà di scioglimento del singolo rapporto sociale, sempre che sussista la concorde volontà di tutti i soci in tal senso, e ciò quantomeno fino a che non si sia proceduto alla liquidazione della quota del socio uscente.
La volontà di sciogliersi dal vincolo associativo che non sia seguita da un comportamento conseguente ma che, anzi, veda la prosecuzione del rapporto caratterizzata da una continuità dell’esercizio dei diritti connessi alla partecipazione sociale, perde la sua efficacia per fatti concludenti.
Il diritto agli utili nelle società di persone
La disciplina propria delle società di persone, rinvenibile all’art. 2262 c.c., dettato in tema di società semplice ma applicabile anche alle società in nome collettivo e in accomandita semplice, nel regolare il diritto dei soci a partecipare agli utili dell’impresa collettiva, prevede che tale diritto sorga per il semplice fatto che sia approvato un rendiconto che rappresenti che la società nell’esercizio abbia maturato utili, non essendo affatto necessario, salvo patto contrario, che i soci decidano di procedere alla loro distribuzione, come invece richiesto per le società di capitali.
Diritto agli utili del socio accomandante e mancata presentazione del rendiconto da parte dell’accomandatario
Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, nel quale l’opposto riveste la qualità sostanziale di attore e l’opponente la qualità sostanziale di convenuto, benchè formalmente attore, il thema decidendum risulta determinato dall’oggetto della domanda proposta dall’opposto nella fase monitoria, sicchè parte opponente è legittimata a proporre una domanda riconvenzionale mentre l’opposto può formulare riconvenzionali nei limiti della reconventio reconventionis. Se la domanda monitoria non investe la competenza della Sezione Specializzata per le Imprese, prevista dall’art. 3 d.lgs. 168/2003 per i rapporti relativi alle società di capitali, tuttavia la proposizione, in via riconvenzionale, dell’azione di responsabilità verso il socio accomandatario determina la competenza collegiale a norma dell’art. 50 bis c.p.c., pur se deve dichiararsene l’inammissibilità.
In materia di notificazione del decreto ingiuntivo, vige il principio della scissione degli effetti della notifica, secondo cui il termine si considera osservato per il notificante alla data in cui lo stesso effettua gli adempimenti a sua cura, ma il termine di impugnazione dell’atto decorre per il destinatario dalla data della ricezione della notifica stessa.
Giudicato tributario e domanda di pagamento degli utili maturati e non corrisposti
Non è meritoria di accoglimento la richiesta del socio di vedersi attribuiti gli utili maturati e non corrisposti da una società qualora gli stessi utili siano stati determinati in un processo tributario attraverso un accertamento fiscale basato su elementi indiziari che, pur utilizzabili ex lege nel plesso della giurisdizione tributaria, prescindono dai necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dal Codice civile affinché le presunzioni semplici possano assurgere a strumento di convincimento del giudice.
Il conferimento d’opera ai fini della determinazione del capitale sociale di s.a.s.
L’apporto del socio d’opera di società di persone non deve necessariamente essere “capitalizzato”, ovverosia valutato e conteggiato ai fini della determinazione della cifra di capitale sociale indicata nell’atto costitutivo, con la conseguenza che la mancata capitalizzazione dell’apporto di opera da parte del socio accomandatario di società in accomandita semplice non costituisce un presupposto per procedere alla cancellazione dal registro delle imprese né dell’iscrizione relativa all’ingresso dell’accomandatario nella compagine sociale né dell’iscrizione relativa alla ragione sociale della predetta società riportante il nominativo dell’accomandatario stesso. La capitalizzazione dei conferimenti
d’opera non è infatti necessaria né per garantire la parità di trattamento tra soci di capitale e soci d’opera, né per tutelare l’interesse dei
creditori sociali alla conservazione dei mezzi propri dell’impresa [nella specie il Registro delle Imprese contestava l’iscrizione di un atto di trasformazione da s.r.l. a s.a.s. ove il socio accomandatario non risultava avere effettuato alcun conferimento per l’ingresso nella società in accomandita].
Nullità del bilancio finale di liquidazione formato in difetto della necessaria attività liquidatoria
L’attività liquidatoria deve precedere la formazione del bilancio speciale disciplinato dall’art. 2311 c.c., che non è un ordinario bilancio annuale ma raccoglie ed evidenzia gli esiti della attività di realizzo degli attivi e soddisfazione dei creditori; al contrario, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, che permangono dopo la liquidazione, si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa.