Azione risarcitoria verso l’ente pubblico controllante per omesso controllo analogo nella gestione in house
Ciascuna società componente di un gruppo costituisce un soggetto giuridico distinto e dotato di autonomia patrimoniale perfetta che risponde unicamente con il suo patrimonio solo verso i suoi creditori: possono così configurarsi solo creditori di ogni singola società, garantiti esclusivamente dal patrimonio della loro debitrice, mentre persiste sempre il diaframma della personalità giuridica tra il socio di ciascuna società o ente componente il gruppo e i suoi creditori. Neanche la previsione dell’art. 2497, co. 3, c.c. in materia di responsabilità da abuso dell’attività di direzione e coordinamento, che riconosce al creditore sociale l’azione nei confronti dell’ente o della società dominante solo se non sia stato soddisfatto dalla società eterodiretta, può essere interpretata in modo tale da trarvi il fondamento normativo di una responsabilità sussidiaria della holding per il pagamento dei debiti della società dominata. La situazione non muta ove al vertice della struttura del gruppo si collochi un ente pubblico controllante di una società c.d. in house, dal momento che neanche il peculiare rapporto corrispondente al c.d. controllo analogo, indispensabile ai fini l’affidamento diretto dei servizi pubblici in deroga alla disciplina dell’evidenza pubblica, vale a determinare la dissolvenza dell’autonomia patrimoniale delle singole società del gruppo e meno che mai a creare la confusione tra i patrimoni del socio pubblico e delle diverse società del gruppo che solo potrebbe giustificare una responsabilità patrimoniale diretta dell’ente holder per le obbligazioni sociali contratte con i terzi dalle società controllate. Al riguardo è sufficiente evidenziare che nessuna previsione normativa consente di trarre una simile conseguenza dalla speciale relazione che si instaura tra il socio pubblico e la società in house in forza del c.d. controllo analogo. Una diversa conclusione, del resto, contrasterebbe con lo scopo stesso della disciplina legislativa che consente all’ente l’adozione della peculiare struttura organizzativa dei servizi pubblici mediante affidamento diretto alla società in house proprio per sfruttare il vantaggio della separazione del patrimonio sociale destinato all’attività della gestione dei servizi pubblici secondo criteri di economicità dal patrimonio comunale a fini di contenimento della spesa pubblica.
Il c.d. controllo analogo consiste nella particolare relazione statutaria o pattizia che lega il socio pubblico alla società in house riconoscendogli un complesso di poteri aggiuntivi straordinari, per lo più di carattere automatico, di ingerenza sulla gestione economica e finanziaria della società tale da assicurargli un controllo analogo a quello normalmente esercitato in regime di subordinazione gerarchica sui propri uffici. Il controllo analogo è, però, una fattispecie corrispondente al particolare rapporto statutario o pattizio tra l’ente pubblico socio e la società in house che, o è configurato come tale nello statuto e nei patti parasociali e allora assicura al socio pubblico un potere assoluto pressoché connaturato di ingerenza nella gestione sociale, o non esiste e allora il rapporto tra il socio pubblico e la società partecipata resta, una volta escluso l’effettivo esercizio di un’attività di direzione e coordinamento, un semplice rapporto di controllo societario. E, in tal caso, non è un controllo predicabile in termini di dovere di “vigilanza” sulla gestione o di obbligo di “ingerenza” nell’attività della partecipata, passibile di essere o meno assolto dal socio pubblico posto che il socio unico, in quanto tale, non ha obblighi o doveri di simile natura e meno che mai il dovere di ripatrimonializzare e rifinanziare la società in perdita, in modo tale da assicurare protezione dall’insolvenza ai creditori sociali.
L’azione risarcitoria proposta verso l’ente pubblico per “omissione del controllo analogo nella gestione in house” va ricondotta alla fattispecie della responsabilità aquiliana per c.d. lesione del credito ai sensi dell’art. 2043 c.c.
La giurisdizione ordinaria per le azioni civili di responsabilità degli organi di amministrazione e controllo di società in house – providing
Coerentemente alla previsioni del T.U.S.P., la giurisdizione contabile avoca a sè le ipotesi di responsabilità dell’amministratore di società partecipata da ente pubblico in cui l’ente pubblico sia stato danneggiato direttamente dall’illecito, permanendo, invece, la giurisdizione ordinaria nelle ipotesi il cui il danno sia conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio della società partecipata.
È, pertanto, la qualificazione del danno allegato, mediante l’identificazione del petitum mediato e immediato nella prospettazione della domanda, a qualificare l’evento di danno allegato e, conseguentemente, a determinare il riparto tra la giurisdizione civile alternativamente a quella contabile, atteso che il rapporto tra le due azioni, civile e contabile, si pone in tema di alternatività e non di esclusività, fatto comunque sempre salvo il divieto di duplicazione del risarcimento.
Responsabilità da direzione e coordinamento degli enti pubblici diversi dallo Stato
L’art. 2497 c.c. si applica nei casi in cui la costituzione della società in house o comunque la partecipazione in società degli enti pubblici – diversi dallo Stato – sono attuate non solo per scopi lucrativi ma anche per la realizzazione di finalità istituzionali che richiedono lo svolgimento di attività economica o finanziaria da realizzare attraverso la società partecipata. La norma di interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c. di cui all’art. 19 del d.l. 78/2009, convertito nella l. 102/2009 ha espressamente escluso solo lo Stato azionista dalla nozione di “ente” contemplata dalla norma richiamata.
La società in house è istituto di derivazione comunitaria, prima enunciato in sentenze della Corte di Giustizia e poi modellato nelle Direttive UE del 2014, nn. 23, 24 e 25, con il preciso scopo di limitare le ipotesi che consentono di derogare alle regole della concorrenza del mercato mediante il ricorso a forme di affidamenti diretti di compiti relativi alla realizzazione di opere pubbliche o alla gestione di servizi pubblici. L’affidamento diretto non comporta alcuna lesione del principio di concorrenza se ed in quanto, in osservanza al principio di libera amministrazione delle pubbliche autorità, esso non rappresenta una esternalizzazione ma una autoproduzione di servizi tramite un soggetto che, sostanzialmente – atteso che l’amministrazione aggiudicatrice esercita sul soggetto affidatario un controllo analogo a quello operato sui propri servizi – non è diverso dell’ente pubblico.
Sussiste una società in house qualora vi siano i seguenti presupposti: (i) il capitale sociale è integralmente detenuto da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi e lo statuto vieta la cessione delle partecipazioni ai soggetti privati; (ii) la società esplica statutariamente la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti, in modo tale che l’eventuale attività accessoria non implichi una significativa presenza sul mercato e rivesta una valenza meramente strumentale; (iii) la gestione è per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quelle esercitate dagli enti pubblici sui propri uffici, con modalità e intensità di comando non riconducibili alle facoltà spettanti al socio ai sensi del codice civile. Tali requisiti devono sussistere contemporaneamente e risultare da precise disposizioni statutarie in vigore all’epoca cui risale la condotta illecita.
L’espressione “interesse imprenditoriale proprio o altrui” porta a escludere dall’ambito di responsabilità ex art. 2497 c.c. solo le ipotesi nelle quali sia perseguito un interesse meramente privato (quale l’interesse personale degli amministratori/cariche pubbliche della società/ente controllante) e a ricomprendervi tutte le altre ipotesi in cui è stato perseguito un interesse extrasociale rispetto a quello della società eterodiretta. Con l’art. 19 del d.l. 78/2009, convertito nella l. 102/2009, il legislatore ha chiarito che “l’art. 2497, primo comma del codice civile si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria”; l’ampiezza dell’espressione “finalità di natura economica o finanziaria” è tale da ricomprendere gli obiettivi che l’ente pubblico territoriale persegue attraverso la costituzione di società in house o comunque delle società cui partecipa.
La titolarità del pacchetto di maggioranza è elemento sufficiente per integrare la presunzione di cui all’art. 2497 sexies c.c.
La sospensione necessaria del processo civile ai sensi degli artt. 295 c.p.c., 654 c.p.p. e 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile e a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile. Perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non basta che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell’imputazione penale.
Il consulente tecnico d’ufficio può acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori, rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza e costituenti il presupposto necessario per rispondere ai quesiti formulati, e non di fatti e situazioni che, essendo posti direttamente a fondamento della domanda o delle eccezioni delle parti, debbano necessariamente essere provati dalle stesse.
Responsabilità solidale dei commissari straordinari di una società in house sottoposta ad amministrazione straordinaria e del Mise
Al fine di individuare il giudice munito dello jus dicere in ordine ad un’azione di responsabilità volta nei confronti dell’organo gestorio (tra cui i commissari straordinari, che, ai sensi dell’art. 40 d.lgs. 270/1999, hanno la gestione dell’impresa e l’amministrazione dei beni dell’imprenditore insolvente) di una società in house, occorre verificare la qualità dei soggetti e la natura degli interessi, pubblici o privati, che si intendono tutelare dal cattivo e pregiudizievole operato dell’amministratore. L’azione di responsabilità esercitata, ex art. 146, co. 2, l. fall., dal curatore del fallimento di una società c.d. in house nei confronti degli amministratori, dei componenti degli organi di controllo e del direttore generale della stessa, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario, e non al giudice contabile, in conseguenza della scelta del paradigma privatistico, che comporta, in mancanza di specifiche disposizioni in contrario o di ragioni ostative di sistema, l’applicazione del regime giuridico proprio dello strumento societario adoperato.
La giurisdizione del giudice ordinario va affermata anche in ordine all’azione di responsabilità esercitata dal fallimento nei confronti del MISE. L’amministrazione straordinaria è una procedura liquidatoria che riguarda imprese private e che si attua secondo i principi e, in parte, le regole delle procedure concorsuali, laddove l’intervento e la gestione da parte della pubblica amministrazione è giustificato esclusivamente dal fatto che, in ragione delle dimensioni della impresa sottoposta alla procedura in esame, la sua liquidazione possa produrre effetti rilevanti nell’ambito del settore produttivo nazionale, così come riguardo ai livelli occupazionali. In ogni caso, quindi, non entrano in gioco interessi direttamente rilevanti sul piano pubblicistico, in quanto la liquidazione riguarda beni che appartengono all’impresa privata e non già alla pubblica amministrazione. In quest’ottica, gli atti con cui il MISE nomina gli organi della procedura, approva il programma di cessione o ristrutturazione aziendale, autorizza l’attività dei commissari e ne controlla l’operato, lungi dal costituire espressione di potestà pubblicistica preordinata alla concreta cura degli interessi pubblici affidati all’amministrazione dalla legge, sono rivolti alla tutela degli interessi privati a vario titolo coinvolti nella procedura. In particolare, con specifico riferimento ai creditori sociali, l’amministrazione non esercita alcun potere autoritativo tale da comportare l’affievolimento delle posizioni giuridiche da costoro vantate in interesse legittimo, essendo al contrario questi soggetti che la p.a. è tenuta a tutelare informando la propria attività ai canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché al rispetto delle norme di legge e regolamentari; con la conseguenza che la posizione giuridica dei creditori assume la consistenza di diritto soggettivo.
Nel contesto di una procedura di amministrazione controllata, la funzione del MISE non risulta circoscritta ad un mero controllo formale degli atti posti in essere dal commissario, ma contempla piuttosto una pluralità di compiti finalizzati alla verifica che l’attività gestoria sia coerente con lo spirito e le finalità della procedura stessa. Proprio in tale ottica, sono attribuiti al MISE, non solo i poteri di verifica preventiva sugli atti del commissario, ma anche poteri di revoca dello stesso.
Illegittimità della revoca degli amministratori di società c.d. in house providing in attuazione del meccanismo di spoils system
La revoca dall’incarico di amministratore di società partecipata pubblica attuata in applicazione del meccanismo di spoils system configura una revoca senza giusta causa dalla carica gestoria, con conseguente diritto al risarcimento del danno ai sensi del terzo comma dell’art. 2383 c.c. in riferimento al lucro cessante, ossia al compenso non percepito per il periodo in cui l’amministratore avrebbe conservato il suo ufficio se non fosse intervenuta la revoca (Cass. 2037/2018).
Società “in house” e accertamento della qualità di socio in capo ad un ente locale
Quando le società in house sono partecipate da più enti pubblici, la funzione di controllo sulle stesse, non potendo essere esercitata individualmente da ogni singolo ente, deve necessariamente essere esercitata collettivamente ossia dall’insieme della compagine pubblica partecipante alla società. Infatti il significato della partecipazione di un ente pubblico a una società partecipata “interamente” da altri enti pubblici sta, proprio, nella predisposizione di una formula organizzativa che consenta l’esercizio in comune di servizi da parte di enti pubblici aventi interessi omogenei, in coerenza con la ratio della legge istitutiva degli ATO (D. Lgs 152/2006 e successive modifiche).
Società in house: requisiti e giurisdizione
La Corte dei conti ha giurisdizione sull’azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso la Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per i danni da essi cagionati al patrimonio di una società “in house”, così dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l’esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente i medesimi enti possano essere soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggetta a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici (così anche SS.UU 26283/13).
Verifica del c.d. controllo analogo ai fini della configurabilità di una “società in house”
Ai fini della configurabilità di una “società in house”, la verifica circa l’esistenza di forme di controllo analogo a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici non si esaurisce nell’esame delle definizioni adottate dai soci nell’atto costitutivo. [ LEGGI TUTTO ]