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23 Aprile 2024

Class-action contro Balocco: la decisione del tribunale di Torino sul Pandoro-gate

In tema di pratiche commerciali scorrette sussiste il sistema del doppio binario di tutela, una amministrativa e l’altra di ordine giudiziario. La natura amministrativa dell’AGCM e dei provvedimenti che possono essere da questa adottati e il sistema del doppio binario escludono la possibilità di invocare il principio del “ne bis in idem”.

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 840 sexiesdecies, comma 1, e 840 bis, c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 7 e 8 del D. M. 17 febbraio 2022 n. 27 per violazione degli artt. 3, 24, 111, 117 comma 1, Cost. e 6 CEDU.

Sono legittimate a proporre l’azione inibitoria collettiva le associazioni senza scopo di lucro i cui obiettivi statutari comprendono la tutela degli interessi pregiudicati dalla condotta di cui al citato art. 840-sexiesdecies, co. 1, primo periodo, c.p.c..

I requisiti di legittimazione delle associazioni che propongono l’azione di classe devono ritenersi sussistere, ove già accertati dal Ministero dello Sviluppo Economico in sede di conferma dell’iscrizione presso l’elenco delle associazioni di consumatori rappresentative a livello nazionale ai sensi dell’art. 17 del Codice del Consumo, nonché ulteriormente verificati dal Ministero della Giustizia in sede di iscrizione delle associazioni nell’elenco di cui all’art. 840 bis c.p.c., essendo tali associazioni legittimate a proporre l’azione fino alla data di aggiornamento dell’elenco ex art. 8, comma 1, del Decreto 17 febbraio 2022 n. 27.

In tema di sospensione necessaria del processo civile, benché nel testo dell’art. 295 c.p.c. manchi il riferimento ad una pregiudiziale controversia amministrativa, non può escludersi in via di principio la configurabilità di una sospensione necessaria del giudizio civile in pendenza di un giudizio amministrativo, che deve ritenersi ammissibile qualcosa imposta dall’esigenza di evitare un conflitto di giudicati, ipotesi che però non ricorre se il possibile contrasto riguardi soltanto gli effetti pratici dell’una o dell’altra pronuncia e, se, in particolare, tra i due giudizi sussista diversità di parti, ostandovi in questo caso il principio del contraddittorio.

Integra una pratica commerciale scorretta vietata dall’art. 20, comma 1, del Codice del Consumo, la diffusione di un comunicato stampa finalizzato alla presentazione della novità di un prodotto e di una iniziativa commerciale intrapresa dalla società produttrice dello stesso, ove quest’ultima risulti consapevole di aver già svolto l’attività reclamata, in quanto pratica contraria alla diligenza professionale. La medesima pratica è altresì idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio ove i messaggi diffusi al pubblico risultino idonei a fornire una rappresentazione scorretta dell’iniziativa commerciale intrapresa dalla società, lasciando intendere che il consumatore avrebbe potuto contribuirvi.

La possibilità di utilizzare la nuova “azione inibitoria collettiva” prevista dall’art. 840 sexiesdecies c.p.c. per conseguire “misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate” ossia per ottenere la tutela ripristinatoria trova il proprio confine invalicabile nell’assegnazione dei risarcimenti e delle restituzioni alla sola “azione di classe” come chiaramente dimostrato dalla specifica previsione dell’art. 840 bis, c.p.c. che, a differenza dell’art. 840 sexiesdecies c.p.c., prevede espressamente anche la “condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni”. Le “misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti delle violazioni accertate” mirano a ristabilire lo stato di fatto preesistente e non un devono essere un mezzo per conseguire un risultato proiettato in avanti [nel caso di specie: la soddisfazione dell’intento che ha indotto i consumatori all’acquisto del prodotto].

5 Maggio 2021

Revoca dell’amministratore di società per azioni a partecipazione pubblica – ripartizione della giurisdizione – contenuto della delibera di revoca – la giusta causa

In tema di società per azioni partecipata da ente locale, la revoca dell’amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell’art. 2449 cod. civ., può essere da lui impugnata presso il giudice ordinario, non presso il giudice amministrativo, trattandosi di atto “uti socius”, non “jure imperii”, compiuto dall’ente pubblico “a valle” della scelta di fondo per l’impiego del modello societario, ogni dubbio essendo risolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale in senso privatistico di cui all’art. 4, comma 13, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 135.

L’amministratore revocato dall’ente pubblico, come l’amministratore revocato dall’assemblea dei soci, può chiedere al giudice ordinario solo la tutela risarcitoria per difetto di giusta causa, a norma dell’art. 2383 cod. civ., non anche la tutela “reale” per reintegrazione nella carica, in quanto l’art. 2449 cod. civ. assicura parità di “status” tra amministratori di nomina assembleare e amministratori di nomina pubblica.

In tema di revoca dell’amministratore di società per azioni, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare che adotta tale decisione senza che sia possibile la successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori.

La giusta causa di revoca dell’amministratore è individuabile non solo in fatti integranti un significativo inadempimento degli obblighi derivanti dall’incarico, ma anche in fatti che minino il “pactum fiduciae”, elidendo l’affidamento riposto al momento della nomina sulle attitudini e capacità dell’amministratore, sempre che essi siano oggettivamente valutabili come capaci di mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore revocato.

La giusta causa di revoca dell’amministratore può essere individuata anche in obblighi ex lege determinanti la necessità di una diversa composizione dell’organo gestorio in ragione dell’equilibrio di genere, o obblighi che, per la loro natura oggettiva, si pongono di per sé quale motivo di una revoca non determinata ad nutum dai soci -e, dunque, senza la ostensione di alcuna giustificazione- ma, appunto, “giustificata” da situazioni delle quali i soci non possono non tener conto nell’ambito dell’ordinamento generale.