Classificazione e criteri per la qualificazione degli apporti dei soci
Gli apporti effettuati dai soci sono generalmente classificati come finanziamenti, versamenti in conto capitale o a fondo perduto o versamenti in conto futuro aumento di capitale. I finanziamenti fanno sorgere un vero e proprio obbligo di restituzione da parte della società e, come tali, sono appostati nella classe D del passivo dello stato patrimoniale, tra i debiti verso soci per finanziamenti. I versamenti in conto capitale o a fondo perduto sono apporti non comportanti obbligo di restituzione, non legati a una specifica e prospettica operazione sul capitale, idonei a irrobustire il patrimonio netto della società e dotarla di mezzi propri. Come tali, non sono appostati a debito ma a riserva, nella classe A del passivo dello stato patrimoniale, e restano definitivamente acquisiti dalla società. Infine, i versamenti in conto futuro aumento di capitale sono versamenti corrispondenti a veri e propri acconti su versamenti che saranno dovuti, in ragione dell’intenzione di sottoscrivere un determinato aumento di capitale, ancora non deliberato ma pur sempre individuato con un certo grado di chiarezza. In altri termini, appaiono come apporti risolutivamente condizionati alla mancata, successiva, deliberazione di aumento del capitale nominale della società. Essi devono essere iscritti in bilancio come riserva, e non come finanziamento soci, in quanto, ove l’aumento intervenga, le somme confluiscono automaticamente nel capitale sociale, mentre, in caso contrario, devono essere restituiti, in conseguenza del mancato perfezionamento della fattispecie programmata.
Stabilire se una determinata dazione tragga origine da un mutuo o se invece sia stato effettuato quale apporto del socio al patrimonio della società è questione di interpretazione, riservata al giudice del merito. L’indagine sul punto deve tenere conto soprattutto del modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, tenendo conto delle finalità pratiche perseguite, degli interessi implicati e della reale intenzione dei soggetti – socio e società – tra i quali il rapporto si è instaurato. In particolare, per qualificare la dazione come versamento in conto futuro aumento di capitale, l’interprete deve verificare che la volontà delle parti di subordinare il versamento all’aumento di capitale risulti in modo chiaro e inequivoco, utilizzando, all’uopo, indici di dettaglio (quali l’indicazione del termine finale entro cui verrà deliberato l’aumento, il comportamento delle parti, eventuali annotazioni contenute nelle scritture contabili o nella nota integrativa al bilancio, clausole statutarie) e, comunque, qualsiasi altra circostanza del caso concreto, capace di svelare la comune intenzione delle parti e gli interessi coinvolti, non essendo sufficiente la sola denominazione adoperata nelle scritture contabili.
L’acquisizione di fondi effettuata sulla base di trattative personalizzate non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico
L’art. 11, co. 3, t.u.b. attribuisce al Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio (CICR) il potere di stabilire limiti e criteri in base ai quali non costituisce raccolta vietata del risparmio tra il pubblico quella effettuata presso specifiche categorie. In data 19 luglio 2005, il CICR ha emanato la delibera n. 1058, la quale, nel disciplinare, tra l’altro, la “Raccolta presso soci”, consente in via generale alle società di capitali di raccogliere finanziamenti presso soci, in deroga alle regole generali, purché la facoltà sia prevista nello statuto, i soci finanziatori detengano almeno il 2% del capitale sociale risultante dall’ultimo bilancio approvato ed essi siano iscritti nel libro soci da almeno tre mesi. La medesima delibera CICR specifica, altresì, all’art. 2, co. 2, che non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico anche l’acquisizione di fondi effettuata “sulla base di trattative personalizzate con singoli soggetti, mediante contratti dai quali risulti la natura di finanziamento”. Ne deriva che, qualora l’obbligo di versamento che il socio assume nasca da trattativa personalizzata, l’accordo di finanziamento non risulta nullo per violazione delle norme che disciplinano la raccolta del risparmio tra il pubblico.
Sulla individuazione della natura degli apporti spontanei dei soci quali finanziamenti o conferimenti
Per comprendere la reale natura e portata degli apporti spontanei eseguiti dai soci in favore della società (ovvero se le risorse siano state versate nelle casse sociali a titolo di finanziamento e, quindi, di mutuo; oppure, a titolo di apporto in favore del patrimonio sociale di risorse a fondo perduto) occorre indagare la reale ed effettiva volontà delle parti; volontà che può essere desunta e riscontrata anche da elementi indiziari e documentali, quali:
i. l’effettiva indicazione utilizzata nelle causali dei bonifici (ad esempio “prestito soci”/”finanziamento soci”);
ii. l’eventuale rimborso anche parziale degli stessi operato nel tempo dalla società;
iii. la registrazione effettuata dalla società di tali movimenti nelle scritture contabili e nel bilancio contabile e/o di esercizio.
In tal senso, l’indicazione attribuita dalla società nel bilancio di esercizio (ove risulti un debito verso il socio) costituisce elemento probatorio forte e sufficiente ad attribuire all’apporto la natura di finanziamento soci, atteso anche che le qualificazioni che i versamenti hanno ricevuto nel bilancio diventano determinanti per stabilire se si tratta di finanziamento o di conferimento.
La delibera assembleare con cui si chiede ai soci di versare nelle casse sociali risorse a titolo gratuito ed a fondo perduto non può obbligare i soci ad apportare risorse a tale titolo, ben potendo il socio non effettuare versamenti o decidere di farlo a titolo di finanziamenti. In ogni caso, l’esistenza della delibera non è di per sé sufficiente ad attribuire agli apporti eseguiti in forma spontanea dai soci natura di conferimenti e/o di versamenti a fondo perduto, dovendosi necessariamente interpretare e valutare l’effettiva volontà del socio.
Il socio che agisce per la restituzione dei finanziamenti soci erogati deve, dunque, dimostrare l’avvenuto versamento (ad esempio mediante la produzione delle contabili), la natura degli apporti e la loro entità.
Il socio che ha effettuato finanziamenti alla società ha diritto a chiederne la restituzione anche in via monitoria e/o ad azionare la tutela cautelare conservativa sul patrimonio sociale, qualora sussistano i presupposti del fumus e del periculum in mora (da intendersi quale pericolo: i. soggettivo, ovvero riconnesso alla condotta e/o ad atti compiuti dalla società e/o dagli amministratori e finalizzati a ridurre la garanzia creditizia, quali la promessa e/o la cessione di cespiti sociali e/o lo scioglimento della società, e/o; ii. oggettivo e ricollegato alla entità ed alla sufficienza del patrimonio sociale rispetto alla pretesa creditizia).
Qualificazione dei versamenti effettuati dai soci e azione di responsabilità esercitata dal socio di s.r.l.
I versamenti dei soci possono assumere natura di conferimento o di finanziamento a titolo di capitale di credito. Al fine di valutare con esattezza la natura dei loro apporti è necessario accertare quanto previsto dalla delibera assembleare che li dispone, nonché verificare la collocazione assunta nel bilancio, ossia tra i crediti, figurando come “patrimonio”, ovvero tra i debiti, componendo la voce “finanziamento”. Occorre distinguere i prestiti o finanziamenti a titolo di mutuo – attributivi del diritto alla restituzione nel termine stabilito dalle parti ferma restando l’eventuale applicazione della disciplina della postergazione di cui agli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c. – dagli apporti spontanei diversi dai veri e propri conferimenti ma pur sempre riconducibili alla categoria dei mezzi propri e classificabili in: (i) “versamenti a fondo perduto”, (ii) “versamenti in conto capitale”, svincolati da una futura delibera di aumento del capitale sociale e diretti ad incrementare il patrimonio della società in via definitiva, lasciandola libera di utilizzare le somme conseguite per gli scopi più vari senza doversi preoccupare di un eventuale diritto alla restituzione, (iii) “versamenti in conto di un futuro e determinato aumento di capitale”, i quali, da un punto di vista contabile, sono allocati provvisoriamente tra le riserve “targate” nell’ambito del patrimonio netto prima di passare a capitale a seguito della delibera di aumento, o (iv) “versamenti in conto di un aumento di capitale” genericamente collocato nel futuro.
Al fine di stabilire se i versamenti di somme di denaro eseguiti dal socio alla società possano ritenersi effettuati per un titolo che ne giustifichi la restituzione al di fuori dell’ipotesi di liquidazione, ovvero che essi non siano rimborsabili, occorre accertare, secondo le regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato. Al fine della corretta qualificazione giuridica dei versamente effettuati dai soci assume rilievo centrale la volontà negoziale, dovendosi trarre un indice inequivocabile non tanto nella denominazione dell’erogazione contenuta nelle scritture contabili della società, quanto dal modo in cui il rapporto è stato attuato in concreto, dalle finalità pratiche cui esso appare essere stato diretto e dagli interessi che vi sono sottesi.
Per accertare volta per volta se tra i soci e la società sia intercorso un rapporto di finanziamento inquadrabile nello schema del mutuo (o in altro titolo idoneo a giustificare la pretesa restitutoria), oppure se i versamenti stessi costituiscano apporti finanziari, aggiunti ai conferimenti originari o a successivi aumento del capitale sociale, traducendosi in incrementi del patrimonio netto della società, occorre accertare, secondo le regole interpretative della volontà negoziale dettate dalla legge, quale sia stata la reale intenzione delle parti tra le quali il rapporto si è instaurato. In tale indagine non è decisiva l’allocazione nel bilancio del relativo importo, in quanto – da un lato – il bilancio e le altre scritture contabili sono meri strumenti di rappresentazione del fatto di gestione e – dall’altro lato – è incongruo che la volontà di chi esegue il versamento possa desumersi da un atto della società che lo riceve, quale l’iscrizione in bilancio.
Il legislatore ha introdotto, con l’art. 2476 c.c., la legittimazione del singolo socio della s.r.l. a proporre azione di responsabilità contro amministratori o liquidatori, valorizzandone il ruolo di iniziativa. Il singolo socio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduto, gode di una legittimazione straordinaria, nell’interesse della società, riconducibile alla nozione di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.: pur se non necessariamente di natura surrogatoria, quantunque la sua azione supplisca, nella normalità dei casi, all’inerzia dell’assemblea. In altre parole, l’art. 2476, co. 3, c.c. attribuisce la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità ad un soggetto, quale il socio, diverso dal titolare del diritto medesimo, che in nome proprio fa valere il diritto della persona giuridica alla reintegrazione per equivalente pecuniario del pregiudizio al proprio patrimonio derivato dalla violazione dei doveri di corretta e prudente gestione per legge e per statuto incombenti sull’amministratore. La norma si giustifica concettualmente sulla base della considerazione che il socio che assume l’iniziativa è titolare di un interesse giuridicamente apprezzabile costituito dalla volontà di preservare il valore della partecipazione sociale di cui è titolare; valore che è influenzato, da un lato, dal danno cagionato al patrimonio sociale dalle condotte dell’amministratore infedele e, dall’altro, dall’esito favorevole dell’azione che egli intenta. L’azione esercitata dal socio ai sensi del terzo comma dell’art. 2476 c.c. costituisce la medesima azione di cui è titolare la società e, precisamente, l’azione volta a far valere la responsabilità degli amministratori nei confronti dell’ente: la legge si limita, in questa prospettiva, a delineare una legittimazione concorrente e disgiuntiva spettante, per un verso, alla società e, per altro, al singolo socio il quale esercita l’azione sociale sulla base di una sostituzione processuale eccezionalmente ammessa dalla legge (art. 81 c.p.c.). La legittimazione sostitutiva del socio è una legittimazione straordinaria che si cumula a quella del titolare del diritto senza eliderla, e che trova la sua giustificazione nell’esigenza di assicurare al meglio il diritto della società alla reintegrazione del danno che le derivi da atti di mala gestio, attraverso un penetrante controllo del socio sull’amministrazione. La società a cui appartiene il socio che agisce in virtù della sua legittimazione straordinaria e concorrente, deve essere sempre evocata in giudizio essendo un litisconsorte necessario. Una volta costituitasi, può con tutta evidenza aderire alle domande del socio oppure discostarsene; in tale ipotesi, è la legge che disciplina i termini in cui le scelte divergenti della società possono incidere sul diritto di azione del socio, laddove, nell’art. 2476, co. 5, c.c., prevede la possibilità per la società di rinunciare all’azione o transigere con effetto preclusivo di ogni altra azione promossa individualmente dal singolo socio – a condizione che vi consentano i 2/3 del capitale e gli eventuali dissenzienti non raggiungano 1/10 del capitale –, così bilanciando gli interessi contrapposti e ponendo un argine a eventuali iniziative strumentali del socio di minoranza.
L’art. 2476, co. 1, c.c. statuisce che l’amministratore della società a responsabilità limitata risponde verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri ad esso imposti dalla legge o dall’atto costitutivo; la responsabilità dell’amministratore sussiste quindi solo in presenza della violazione dei suddetti obblighi, della realizzazione di un danno al patrimonio sociale e della presenza di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione del danno. Inoltre, il socio può dedurre che la condotta dell’amministratore ha causato un danno direttamente al suo patrimonio ai sensi dell’art. 2476, co. 6 [oggi 7], c.c. ed essere risarcito del relativo danno nella misura in cui esso non costituisca solo il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale, giacché l’art. 2395 c.c., sostanzialmente richiamato per le s.r.l. dall’art. 2476, co. 6 [oggi 7], c.c., esige che il singolo socio sia stato danneggiato direttamente dagli atti colposi o dolosi dell’amministratore, mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale appartiene unicamente alla società. La mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione non costituiscano danno diretto del singolo socio, poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione di valore è conseguenza soltanto indiretta ed eventuale della condotta dell’amministratore.
Risoluzione consensuale dell’atto di cessione di quote: nulla la clausola che prevede l’obbligo di rimborso dei finanziamenti soci utilizzati a copertura delle perdite
Onere della prova nell’azione di responsabilità per violazioni ex art. 2485 c.c. Valore probatorio della relazione ex art. 33 L. Fall. Revoca della delibera di “versamento in conto capitale”
Il curatore fallimentare che intenda far valere una responsabilità per omesso accertamento doloso o colposo della totale erosione del capitale sociale per perdite e della conseguente omissione degli adempimenti di cui all’art. 2485 c.c. deve allegare (e provare) che, successivamente alla perdita del capitale, sono state intraprese iniziative imprenditoriali connotate dall’assunzione di nuovo rischio economico-commerciale e compiute al di fuori di una logica meramente conservativa, individuare siffatte iniziative ed indicare quali conseguenze negative sul piano del depauperamento del patrimonio sociale ne sarebbero derivate, al netto dei ricavi (vedi Cass., n. 22911/2010; n. 17033/2008; n. 3694/2007). [ LEGGI TUTTO ]