Uso del marchio altrui in opere cinematografiche
Perché si abbia volgarizzazione di un marchio, sotto il profilo oggettivo occorre che il segno abbia perduto il suo significato originario, che abbia cioè smarrito nella realtà linguistica qualsiasi collegamento con l’azienda d’origine e si sia quindi “spersonalizzato”. In assenza di tale riscontro, non è sufficiente per predicare la decadenza che a quell’originario significato si sia aggiunto quello della denominazione generica del prodotto o del servizio. (Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto indimostrata la volgarizzazione del termine “Mocio”, usato per indicare lo spazzettone “Vileda”).
L’uso del marchio altrui in opere letterarie, scientifiche e artistiche, quale deve ritenersi un’opera cinematografica, anche ove non qualificato come “uso civile” e non commerciale in ragione del fatto che la produzione di un film costituisce indubbiamente anche una operazione economica, integra un impiego in funzione descrittiva, lecito ex art. 21 cpi, giacché in questo caso il segno non è usato per presentare un prodotto sotto il marchio altrui, o per creare un collegamento con quest’ultimo, ma solo come un segmento del linguaggio, come elemento della comunicazione. (Nel caso di specie, il giudice ha dato rilievo al fatto che alla locuzione “mocio” sono ricorsi esclusivamente i traduttori e i doppiatori del film nella sola versione in lingua italiana, con finalità meramente descrittive della scopa per pavimenti inventata dalla protagonista del film e dotata di funzioni simili ma distinte rispetto al Mocio-Vileda).