Varie questioni in materia di diritto di riscatto delle azioni da parte della S.p.A.
Nel caso di esercizio del diritto di riscatto di alcune azioni da parte di una s.p.a. e di successivo inserimento di una clausola compromissoria nello statuto della stessa, la clausola introdotta, in quanto negozio giuridico pattizio di deroga alla competenza dell’autorità giudiziaria, non si applica in relazione alle controversie tra la società e i soci riscattati. Infatti la disposizione è inefficace e inopponibile a tali soggetti, non più qualificabili come soci al momento della modifica statutaria. Tale clausola è efficace solo nei confronti di coloro che siano soci al momento in cui è stata introdotta (art. 2377 co. 1 c.c.) e nei confronti di chi sia divenuto socio quando la stessa è presente nello statuto sociale.
È improcedibile l’azione proposta con ordinario giudizio di cognizione dal socio riscattato nei confronti della società riscattante e volta all’accertamento dell’incongruità del valore di riscatto delle azioni individuato dalla stessa e alla condanna alla corresponsione della differenza rispetto al valore ritenuto congruo dall’attore. Trattandosi di una controversia afferente la valorizzazione delle azioni oggetto di riscatto, l’attore deve previamente azionare, ai sensi dell’art. 2437 ter, co. 6, c.c., la giurisdizione camerale. La giurisdizione contenziosa può essere adita azionando un giudizio rescissorio rispetto alla determinazione operata dall’arbitratore solo dopo lo svolgimento del prodromico procedimento camerale e solo nei limiti di cui all’art. 1349, co. 1, c.c. ovvero ove l’esperto non renda la valutazione, oppure qualora questa sia manifestamente iniqua o erronea.
Questa disciplina è la conseguenza della scelta del legislatore di prevedere che le disposizioni di cui agli artt. 2437-ter c.c. – rubricato “Criteri di determinazione del valore delle azioni” – e 2437-quater c.c. – rubricato “Procedimento di liquidazione” – dettate in materia di recesso “si applicano”, in via generale, alla fattispecie del riscatto di azioni, previa valutazione della compatibilità della disciplina ivi prevista con la situazione giuridica disciplinata “per relationem”. In entrambi i casi al socio recedente, titolare di un diritto potestativo, ed al socio riscattato, titolare di una posizione passiva di soggezione, è riconosciuto il diritto di avere, quale corrispettivo, un “valore di liquidazione” effettivo, cioè parametrato al reale valore della società (seppure con eventuale specificazione statutaria di particolari criteri di liquidazione: art. 2437-ter co. 3 c.c.). Recesso e riscatto sono, dunque, situazioni giuridiche soggettive sostanzialmente simmetriche, che presentano peculiarità proprie e singolari, ma che hanno certamente in comune l’esigenza di determinare il “valore di liquidazione” delle azioni del socio recedente o riscattato, esigenza che si rende rilevante, sul piano processuale, in caso di controversia tra le parti vertente sulla individuazione di quel valore. Ciò posto, le previsioni di cui all’ art. 2437-ter c.c. relative alla procedura che il socio recedente in disaccordo sul valore di liquidazione stabilito dalla società deve adire sono compatibili con la tutela delle ragioni del socio riscattato che ugualmente contesti quel valore, proprio perché, per questo aspetto, le due posizioni soggettive (del socio recedente e riscattato) sono sostanzialmente identiche, sicché ad esse si attaglia la medesima forma di tutela. Il legislatore, con riferimento all’individuazione del “giusto valore di liquidazione”, ha previsto una particolare procedura camerale, di carattere esclusivo in prima battuta, la quale è stata introdotta, all’evidenza, per soddisfare, sia ragioni di celerità, sia ragioni di certezza della valutazione. Tali interessi di celerità e certezza sarebbero completamente obliterati se si consentisse l’immediata fruibilità dell’ordinario processo di cognizione.
I termini di decadenza previsti per la contestazione del valore delle azioni in caso di recesso dall’art. 2437-bis, co. 1, c.c. non sono compatibili con la disciplina del riscatto delle azioni per ragioni di ordine letterale, per il difetto di una “eadem ratio” legittimante l’applicazione analogica della disposizione e per ragioni di ordine pratico derivanti dalla formulazione della norma.
Anzitutto, con riferimento all’argomento di natura letterale, l’art. 2437-sexies c.c. in materia di riscatto si limita ad operare un rinvio alla disciplina di cui agli artt. 2437-ter e 2437-quater c.c. concernenti rispettivamente la determinazione del valore delle azioni e l’iter di liquidazione in materia di recesso. Risulta invece escluso, almeno in via diretta, il richiamo operato, a sua volta in via indiretta, dall’art. 2437-ter, co. 6, c.c. ai coincidenti termini di decadenza, previsti dall’ art. 2437-bis, co. 1, c.c. sia per l’esercizio del diritto di recesso sia per la contestazione della valorizzazione delle azioni. Dall’assenza di un richiamo diretto, si può desumere, ancora sul generale piano interpretativo, che ai fini dell’applicazione al riscatto delle decadenze previste per il recesso non è sufficiente un mero giudizio di compatibilità, ma occorre che sia formulato, a questi fini, un giudizio ben più stringente di analogia tra le due situazioni.
In secondo luogo, con riferimento al difetto di “eadem ratio”, i termini di decadenza previsti per il recesso devono ritenersi insuscettibili di applicazione analogica o estensiva alla diversa fattispecie del riscatto delle azioni. Anzitutto ciò non è possibile proprio perchè in quanto decadenziali non possono essere applicati agevolmente a casi diversi da quelli per i quali il legislatore li prevede senza che si possa ravvisare una ineludibile necessità estensiva. Questa non è riscontrabile nel caso di specie poiché non vale, per il riscatto, la ratio legis sottesa alla disciplina dei termini di esercizio del diritto di recesso e contestazione del valore. I termini di cui al combinato disposto degli artt. 2437-quater, co. 6, c.c. e dell’art. 2437-bis, co. 1, c.c., invero, rispondono all’esigenza – a fronte del verificarsi di situazioni che, ai sensi dell’art. 2437 c.c., legittimano il recesso dei soci -, di stabilizzare rapidamente l’assetto societario a beneficio della società, dei soci e dei terzi. La stessa esigenza non ricorre con riferimento all’esercizio del diritto di riscatto. Con riferimento al recesso le esigenze di stabilità e certezza sono legate sia all’individuazione del periodo entro il quale il diritto di recesso può essere esercitato rispetto al verificarsi della situazione legittimante, sia all’individuazione del soggetto che voglia rendersi acquirente sia ovviamente al prezzo di acquisto e queste due variabili, strettamente connesse, moltiplicano esponenzialmente le incertezze. Viceversa, nel riscatto, premesso che le relative clausole devono essere connotate da tassatività ed ancorate a condizioni specifiche, oggettive, predeterminate e non rimesse all’arbitrio della società: – le parti del negozio sono individuate ipso facto al momento di esercizio del relativo diritto; – trattandosi di diritto potestativo, in generale e salvo limitazioni statutarie od eventuale prescrizione, esso non è soggetto ad un termine; – il prezzo è previamente individuato, con le modalità di cui all’art. 2437-ter c.c., e vincola il riscattante. Ne consegue che, a seguito dell’esercizio del diritto di riscatto, residua soltanto un’ eventuale controversia tra il riscattante ed il riscattato in ordine all’entità del prezzo di riscatto.
In terzo luogo all’estensione della disciplina si oppone una considerazione di ordine pratico. Il meccanismo procedurale che l’art. 2437-quater, co. 66, c.c. prevede, a pena di decadenza, per la contestazione, da parte del recedente, del valore di liquidazione delle azioni che essa avvenga “contestualmente alla dichiarazione di recesso” (art. 2437-quater, co. 6, c.c.). Invero, poiché il riscatto è esercitato da chi non ha interesse a contestare il prezzo perché lo ha stabilito (la società) o da chi non può contestarlo (l’altro socio che intenda esercitare il diritto di riscatto), è logicamente escluso che il riscattante contesti il prezzo di riscatto. Né si vede come il riscattato potrebbe contestare il prezzo “contestualmente alla dichiarazione di riscatto”. Un’ipotetica imposizione al riscattato di qualche genere di “contestualità” tra la ricezione della dichiarazione di riscatto e l’esercizio del diritto di contestare il prezzo sarebbe gravemente lesiva del suo diritto.