La prova del danno da illecita condotta concorrenziale non può essere desunta dal mero calo di fatturato da un anno all’altro in quanto non agevolmente “traducibile” nella perdita di guadagno. Infatti, non si può trascurare la possibilità che il calo del fatturato sia influenzato da un generale andamento negativo del mercato del settore, ovvero dalla presenza di prodotti sostituibili, ossia dalla presenza sul mercato di riferimento di concorrenti ulteriori che agiscano lecitamente. Sotto questo profilo, non ogni vendita realizzata dal contraffattore corrisponde a una vendita non realizzata dall’avente diritto e per altro verso, la dimostrazione di un calo di fatturato dell’impresa del titolare del diritto violato non è affatto un elemento imprescindibile per la prova del danno da contraffazione: in un contesto di andamento generale positivo del mercato di riferimento, ovvero di comprovato incremento ascendente della quota di mercato del titolare del diritto violato, remunerativa degli investimenti effettuati, è infatti ben possibile che il contraffattore con la sua condotta abbia semplicemente limitato la curva di incremento del fatturato del titolare del diritto, pur sempre positiva, anche se in misura minore di quella che si sarebbe realizzata nel contesto non perturbato dalla violazione.
Con riferimento alla prova del nesso causale fra condotta e danno, è escluso che la stessa possa essere tratta dalla semplice allegazione del calo di fatturato globale di periodo (ancorché rapportato al fatturato dei pretesi concorrenti). Occorrerà infatti valutare, a tal fine, tutta una serie di ulteriori fattori quali ad esempio l’andamento generale del mercato, il costo delle materie prime e l’andamento comparativo delle vendite del preteso concorrente, che non possono che formare oggetto di una indagine tecnico contabile che valuti gli utili che il danneggiato avrebbe ottenuto senza il verificarsi dell’evento dannoso.