La delibera di modificazione dei patti sociali adottata senza alcuna partecipazione da parte del socio escluso (proprio perché escluso dalla compagine) può reputarsi a sua volta impugnabile da parte del medesimo in tanto in quanto egli contesti fondatamente la delibera di esclusione oggetto del giudizio, posto che se non si ammettesse la legittimazione del socio ad impugnare la sua esclusione, ottenendone se del caso anche la sospensione degli effetti, sarebbe preclusa ogni possibilità per il socio medesimo di aggredire ogni ulteriore deliberazione che potrebbe pregiudicare i suoi diritti. In altre parole, la legittimazione del socio escluso ad impugnare la sua esclusione, ai sensi dell’art. 2287 c.c., deriva dalla stessa disciplina di legge secondo cui il socio escluso ha la legittimazione ad opporsi a detta esclusione, mentre l’interesse ad ottenere la ricostituzione del suo status si coglie in ragione del fatto che il socio escluso in tal modo riacquisisce la possibilità di esercitare i diritti sociali che gli competono, anche contestando le successive delibere che i medesimi diritti pregiudichino.
Sono abusive le decisioni dei soci maggioritari che si palesano dettate dal solo intento di danneggiare indebitamente la minoranza, nella indifferenza dell’utilità sociale (concetto quest’ultimo spesso di difficile definizione, specie nelle società di persone, dove l’organismo societario coincide con le persone dei soci). L’abuso, costituendo violazione dell’obbligo di esercitare i diritti sociali secondo buona fede, costituisce causa di illegittimità della decisione così ottenuta.
Deve ritenersi abusiva la condotta dei soci maggioritari che abbiano illegittimamente escluso l’unico socio accomandatario e abbiano dato ingresso a diversi e nuovi soci a condizioni di favore, senza il pagamento immediato di alcunché o, addirittura, facendo entrare nella compagine un nuovo socio accomandatario quale socio d’opera senza versamenti, laddove era invece pacifico che la società generasse rilevantissimi utili e che i soci entranti avrebbero dunque ottenuto l’accesso a rilevanti benefici. Infatti, stante la illegittimità della esclusione dell’unico socio accomandatario, la ricostituzione della categoria degli accomandatari non andava fatta facendo entrare altri soci (per di più alle predette condizioni di maggior favore), ma reintegrando il socio illegittimamente escluso.