La ratio dell’art. 2557 cod. civ. è assicurare che il contratto di trasferimento d’azienda realizzi appieno le finalità economiche normalmente perseguite dalle parti, consentendo all’acquirente di subentrare nella titolarità di un’azienda corrispondente a quella gestita dall’alienante, caratterizzata da una certa organizzazione e dall’esistenza di determinati rapporti con fornitori, finanziatori e clienti.
Il rispetto del principio di relatività degli effetti contrattuali ed il divieto di imporre ai soci sacrifici ulteriori rispetto al conferimento, non prevedibili al momento dell’ingresso in società, richiedono che l’identificazione del “soggetto alienante” in senso sostanziale, gravato dal divieto di concorrenza, debba basarsi sul “consenso” prestato dal singolo socio all’operazione di cessione: “consenso” che sarà normalmente ravvisabile in capo al socio o ai soci che detengono il controllo della società, dato che la vendita dell’azienda sociale non può che realizzarsi, nelle società di capitali, con l’approvazione, assembleare o extra-assembleare, di coloro che, rappresentando la maggioranza del capitale sociale, dispongono dei voti necessari per nominare gli amministratori e hanno il potere di influenzare concretamente la gestione strategica dell’impresa. Mentre in nessun caso il socio dissenziente o comunque rimasto estraneo alla definizione delle condizioni dell’operazione di dismissione dell’azienda può essere vincolato ad un obbligo di non concorrenza imposto dagli altri soci che, a maggioranza, abbiano deciso l’operazione. Il bilanciamento tra l’interesse dell’acquirente alla salvaguardia dell’avviamento dell’azienda e quello dei soci della società alienante a non essere vincolati uti singuli ad obblighi ulteriori e diversi rispetto a quelli stabiliti nel contratto sociale deve pertanto essere realizzato muovendo dal rilievo che, in base al principio di buona fede, possono considerarsi sottoposti all’obbligo di non concorrenza assunto dalla società esclusivamente i soci che (i) abbiano deciso, autorizzato o comunque in qualsiasi forma prestato la loro adesione alle condizioni dell’operazione di cessione, assumendo la qualità di parti in senso sostanziale del contratto, e che (ii) per la posizione rivestita nell’organizzazione aziendale siano concretamente in grado di esercitare una concorrenza differenziale.
Rispetto alla domanda di risarcimento del danno da perdita di chances deve considerarsi nuova la domanda che attiene invece al diverso danno derivante dalla diversa condotta di attività di vendita di veicoli quale a seguito dell’acquisto di azienda si sarebbe sviluppata, quindi dalla violazione letterale del divieto di vendere.
Il patronimico, quando corrisponde a un marchio, può essere utilizzato purché tale uso non determini un effetto confusorio. Chi registra il proprio cognome come marchio patronimico e lo cede in seguito a terzi può continuare a utilizzare il cognome esclusivamente in funzione descrittiva per le proprie attività professionali, ma solo a condizione di non provocare un effetto di agganciamento e confusione con il marchio. Pertanto, sussiste la contraffazione quando il marchio accusato contenga il patronimico protetto, pur se accompagnato da altri elementi.
L'articolo 2557 c.c. , in tema di divieto di concorrenza, trova applicazione analogica nel caso in cui, anziché l'azienda, siano cedute le partecipazioni di controllo di una società che esercita un'impresa commerciale.
Il divieto di concorrenza ex art. 2557 c.c. può applicarsi analogicamente anche ai soci nell’ipotesi della cessione della partecipazione sociale di governo della società e, nello specifico, del socio di riferimento (anche non unico) cui è riconducibile l’attività di impresa allorché sia autonomamente titolare di adeguata conoscenza dei clienti e dell’organizzazione aziendale, sufficiente a consentirgli l’esercizio di concorrenza differenziale nei confronti dell’acquirente. L’operatività di suddetto divieto rimane subordinata ad un giudizio di “idoneità” della nuova impresa a sviare la clientela di quella ceduta.
Nel caso di cessione d’azienda, può integrare una condotta di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598, n. 3 c.c., la presa di contatto della clientela altrui in maniera sistematica quando si inserisce nel quadro di comportamenti tendenti a svuotare l’azienda trasferita dei mezzi necessari per la sua prosecuzione nell’immediato periodo successivo al trasferimento e ad acquisire l’avviamento di quest’ultima.
In materia di risoluzione del contratto di cessione di azienda per inadempimento ex art. 1453 c.c., spetta al creditore cedente la dimostrazione della fonte negoziale o legale del proprio credito e, se previsto, del relativo termine di scadenza, nonché l’allegazione dell’inadempimento del cessionario; spetta, invece, al debitore cessionario provare il fatto estintivo, modificativo o impeditivo del diritto.
La costituzione, pochi mesi dopo la cessione delle quote di una società, di una nuova società concorrente con la predetta, costituisce violazione del patto di non concorrenza, a nulla rilevando che il socio cedente si sia servito di una società fiduciaria. Lo schermo offerto dalla fiduciaria non solo non esonera il cedente dal rispetto dell’impegno assunto, ma dimostra la piena consapevolezza di violare il patto di non concorrenza. È irrilevante accertare se il cedente abbia esercitato funzioni gestorie, poiché l’avere costituito la società, operante in concorrenza con quella di cui aveva ceduto le quote, già integra l’inadempimento dell’obbligazione negoziale. Non può dubitarsi che la società costituita in concorrenza sia indirettamente controllata dal cedente qualora questi detenga il 50% del capitale sociale. Non è dunque la mera partecipazione sociale a comportare la violazione del patto di non concorrenza, ma l’avere dato vita ad un’impresa concorrente con quella di cui le quote erano state cedute, malgrado l’impegno assunto di astenersi da ogni iniziativa in tal senso.
L’art. 2557 c.c., in tema di divieto di concorrenza, trova applicazione analogica nel caso in cui, anziché l’azienda, siano cedute le partecipazioni di controllo di una società che esercita un’impresa commerciale. La concorrenza vietata è quella consistente nell’iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta. L’attività concorrenziale del cedente l’azienda non può che essere un’attività d’impresa, anche se esercitata mediante lo schermo di una società o di un prestanome.
Non viola il divieto di concorrenza chi svolge attività di lavoro subordinato presso una società per azioni concorrente, in cui, tuttavia, non ricopre incarichi gestori e di cui non possiede una partecipazione al capitale.
È nullo, in quanto contrastante con l’ordine pubblico costituzionale (artt. 4 e 35 Cost.), il patto di non concorrenza diretto, non già a limitare l’iniziativa economica privata altrui, ma a precludere in assoluto ad una parte la possibilità di impiegare la propria capacità professionale nel settore economico di riferimento.
La clausola che prevede l'impegno della società a rimborsare il finanziamento soci, facendo salvi imprevisti e/o difficoltà economiche improvvise ed inaspettate - contenendo il riconoscimento del debito ed essendo il testo ambiguo - non può essere interpretata nel senso che (altro…)
Le condotte di ‘contatto o sviamento’ di clienti richiedono un’attività concorrenziale e quindi imprenditoriale in proprio con acquisizione della clientela e, pertanto, non possono essere integrate nello svolgimento di attività di lavoratore dipendente. (altro…)
Il contratto di cessione di partecipazioni ha come oggetto la partecipazione sociale intesa come insieme di diritti, poteri ed obblighi sia di natura patrimoniale sia di natura c.d. amministrativa in cui si compendia lo status di socio e soltanto quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che la partecipazione rappresenta; tanto che (altro…)
Il divieto dell’art. 2557 c. 1 Cc tende a tutelare l’avviamento e la produttività dell’azienda, non solo con riferimento al grado e all’intensità raggiunta all’atto della cessione, ma anche, alla sua possibilità di incremento futuro secondo il parametro di una normale e media gestione dell’impresa.