La responsabilità da abuso di attività di direzione e coordinamento ha natura contrattuale e secondo i principi che regolano gli oneri di allegazione e di prova in ipotesi di responsabilità contrattuale l’attore deve provare: (
i) l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento (titolo); (
ii) il danno (pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione, pregiudizio all’integrità del patrimonio); (
iii) il nesso causale tra attività di direzione e coordinamento e danno. L’attore è, invece, esentato dalla prova dell’illiceità dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento e la società convenuta-controllante deve provare che il danno deriva da causa a lei non imputabile – cioè la liceità dell’attività direttiva (conformità alle regole di corretta gestione societaria ed imprenditoriale) –, ovvero di avere fatto tutto quanto in suo potere per evitare il danno (art. 1218 c.c.). Oppure la società convenuta-controllante può, in presenza di abuso, provare l’esistenza di vantaggi compensativi, o che il danno è stato eliminato. In particolare, configurando la responsabilità come contrattuale, non v’è dubbio che la prova dell’esistenza dei vantaggi compensativi si propone come elemento scriminante la responsabilità, e non la loro assenza come elemento costitutivo della responsabilità, e va provata dalla società controllante convenuta. È vero tuttavia che la responsabilità non può derivare, genericamente, da un’attività (in sé legittima), ma sempre da un fatto determinato, da un’operazione o da un insieme di operazioni, diverse e collegate o dello stesso tipo e ripetute, ma in ogni caso adeguatamente individuate e, soprattutto, la loro illiceità – specie in relazione ad una clausola molto aperta quale quella che costituisce il criterio di liceità dell’attività di direzione e coordinamento – può non essere di immediata percezione, sicché l’attore deve quanto meno allegare in modo specifico e dettagliato il profilo di illiceità che ritiene connotare il fatto generativo di danno, altrimenti la convenuta rimane privata della possibilità di difendersi.
La configurabilità del controllo esterno di una società su di un’altra, quale disciplinata dal primo comma, n. 3, dell’art. 2359 c.c. e consistente nella influenza dominante che la controllante esercita sulla controllata in virtù di particolari vincoli contrattuali, postula l’esistenza di determinati rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata. Deve trattarsi di contratti che per le obbligazioni e prescrizioni che ne discendono impediscono stabilmente alla società debole contraente di svolgere autonomamente le proprie scelte di gestione imprenditoriale di fatto vincolate, imposte dalle disposizioni contrattuali tanto da trasformare la società in una sorta di mera succursale dell’altra contraente che quindi assume verso la controparte una posizione di effettivo controllo.
La direzione e coordinamento consiste in attività di indirizzo idonea a incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, sulle scelte strategiche, operative, finanziarie, commerciali. L’attività di direzione e coordinamento è attività lecita se si svolge secondo i corretti principi di gestione societarie e imprenditoriale, assumendo invece connotati illeciti quando trasmoda assumendo i connotati dell’abuso. Il potere di direzione e coordinamento su base contrattuale può ravvisarsi quando, per esempio, una parte può imporre all’altra una certa organizzazione del personale, le caratteristiche dei servizi o dei beni da rendere, una politica dei prezzi, o specifiche strategie di mercato.
L’accordo di ristrutturazione dei debiti
ex art. 182
bis l.fall., pur essendo un atto di autonomia negoziale, appartiene agli istituti del diritto concorsuale e fa parte di una procedura di natura concorsuale; tale procedura concorsuale deve considerarsi superata, assorbita, qualora ad essa succeda, come strumento di ristrutturazione del medesimo indebitamento, il fallimento del debitore che, quale procedura concorsuale maggiore, prevale; il successivo fallimento travolge anche l’accordo anche se non espressamente risolto, salva diversa espressa volontà delle parti.
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