Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all'ufficio giudiziario.
I principi sull’onere della prova in materia di responsabilità si applicano anche in caso di eccezione ex art. 1460 c.c. di modo che l’eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore (di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando, per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver esattamente adempiuto alle medesime. In particolare, nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.
L’eccezione d’inadempimento può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto e non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto.
In presenza di eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. da parte della società (o dal curatore nel caso di fallimento della società) spetta al sindaco il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.). E ciò con la necessaria precisazione che i sindaci non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie.
I doveri di controllo previsti a carico dei sindaci dall'art. 2403 c.c. devono estendersi alla legittimità sostanziale dell'attività degli amministratori della società e non possono ritenersi limitati alla mera constatazione della conformità formale di tale attività alle disposizioni di legge o agli astratti principi della contabilità. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è, in effetti, configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché, non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali: né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.
Si è sostenuto che, con specifico riferimento al diritto del sindaco al pagamento del compenso, il diritto del professionista al compenso, se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico (e cioè la legittimità dell’intera gestione sociale e la sua conformità ai principi di corretta amministrazione: art. 2403, comma 1°, c.c.), richiede, nondimeno, che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in difetto di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato, non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso e giustifica, quindi, il rifiuto del committente, a norma dell’art. 1460 c.c., al pagamento, in tutto o in parte, del compenso (in ipotesi) maturato.
L’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere, di conseguenza, opposta dal cliente (o dal curatore del relativo fallimento) al professionista (come il sindaco) che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale quando le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dal mancato conseguimento del risultato perseguito, non sono state, per la negligenza con cui sono state eseguite, oggettivamente funzionali, in tutto o in parte, alla soddisfazione degli interessi del primo, così come dedotti, per volontà delle parti o (come nel caso dei sindaci) della legge, nel contratto di prestazione d’opera professionale tra loro intercorso ed abbiano, di conseguenza, negativamente inciso sulla realizzazione (o possibilità di realizzazione) degli stessi.
Il compito essenziale dei sindaci, infatti, è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma del diritto societario ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all'obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell'atto costitutivo, secondo la diligenza professionale prevista dall'art. 1176, comma 2°, c.c., e cioè di controllare in ogni tempo che gli amministratori, alla stregua delle circostanze del caso concreto, compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale. Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d'inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è, tuttavia, necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.
Il giudizio circa il corretto adempimento da parte del sindaco ai propri doveri istituzionali verso la società postula: (i) la prova del compimento da parte del sindaco opposto di tutte le attività proattive di natura ispettiva, consultiva e di controllo della legittimità sostanziale dell’operato degli amministratori, rientranti nella cd. vigilanza in senso stretto, volte a rilevare e prevenire potenziali atti di mala gestio compiuti dagli organi sociali, e, al contempo, (ii) nel caso di rilevati atti di negligente amministrazione, la prova positiva del tempestivo espletamento delle opportune attività reattive di segnalazione e sollecitazione degli organi competenti, al fine di evitare ovvero di contenere il prodursi di un danno a carico della società o dei soci di essa.
L'eccezione di inadempimento può essere dedotta per la prima volta in sede giudiziale, quand'anche non sia stata sollevata in precedenza per rifiutare motivatamente l'adempimento chiesto ex adverso, non ponendo l'art. 1460 c.c. alcuna limitazione temporale o modale alla sua esperibilità, salva l'ipotesi di termini differenziati di adempimento, né essendo l'esercizio della facoltà di sospendere l'esecuzione del contratto, a fronte del grave inadempimento della controparte, subordinato ad alcuna condizione né, in particolare, alla previa intimazione di una diffida o ad alcuna generica contestazione dell'inadempimento, l'eccezione stessa.
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