Menu
Il trasferimento di quote di partecipazione in una società a responsabilità limitata, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, in forza del principio di libertà delle forme, è valida ed efficace nei rapporti tra le parti in virtù del semplice consenso legittimamente manifestato, non richiedendo la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem, mentre, per la sua opponibilità alla società è richiesta la forma di cui all’art. 2470 c.c. Pertanto, in caso di alienazione della stessa quota di s.r.l. con successivi atti a soggetti diversi, prevale chi per primo ha effettuato in buona fede l’iscrizione del trasferimento nel Registro delle imprese, anche se il suo titolo è di data posteriore (così il terzo comma dell’art. 2470 c.c.).
[ Continua ]Per effetto del fallimento di una società di capitali, le diverse fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione, all’esercizio della quale è legittimato in via esclusiva il curatore del fallimento, ai sensi dell’art. 146 l.fall., che può, conseguentemente, formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità di questi verso la società (artt. 2392, 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità verso i creditori sociali (art. 2394, 2407 c.c.). Quanto all’azione sociale di responsabilità, anche se esercitata dal curatore fallimentare, essa ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo. La norma di cui all’art. 2392 c.c. struttura, quindi, una responsabilità degli amministratori in termini colposi, come emerge chiaramente sia dal richiamo, contenuto nel primo comma della disposizione menzionata, alla diligenza quale criterio di valutazione e di ascrivibilità della responsabilità (richiamo che sarebbe in contrasto con una valutazione in termini oggettivi della responsabilità) sia dalla circostanza che il secondo comma consente all’amministratore di andare esente da responsabilità, fornendo la prova positiva di essere immune da colpa. Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione de qua consegue che, mentre sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l'onere di dedurre le violazioni agli obblighi e dimostrare il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi; incombe, per converso, sugli amministratori l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. In sintesi, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo. Di contro, l’azione spettante ai creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c. costituisce conseguenza dell’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, con conseguente diritto del creditore sociale di ottenere, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere.
L’obbligo di garanzia di cui all’art. 1002 c.c. non trovi spazio applicativo nel caso di usufrutto di azioni, dal momento che lo “sdoppiamento” dei titoli ex art. 2025 c.c. rende superfluo l’obbligo di “restituire” la res in capo all’usufruttuario. Quest’ultimo, infatti, riceve un titolo del tutto distinto e diverso, rispetto a quello originario, che il nudo proprietario-proprietario non ha interesse ad ottenere. Al termine dell’usufrutto, invero, si effettueranno le annotazioni del caso sul titolo del proprietario e sul libro soci e il diritto del proprietario si espanderà nuovamente per essere venuto meno il vincolo reale, senza necessità di ottenere la restituzione di alcunché. Non sussistendo alcuna obbligazione di reintegrazione nel possesso della res, conseguentemente non sussiste alcuna necessità di fornire una garanzia specifica a copertura dell’obbligazione de qua. Inoltre, nel caso di usufrutto di partecipazioni azionarie, l’uso del bene non comporta alcuna “consumazione” del bene stesso, dovendosi sempre considerare che – a differenza di quanto accade per i beni materiali – l’esercizio di taluni diritti, connessi alla titolarità di una partecipazione sociale, non comporta sempre un potere di incidere in via diretta sul valore della partecipazione stessa, dal momento che “partecipazione” e “patrimonio” nell’ambito societario non sono concetti che stanno sullo stesso piano. D’altro canto è insito nella natura della “partecipazione” una oscillazione fisiologica del valore del titolo, dipendente per lo più da fattori intrinseci e non “controllabili” dall’usufruttuario. Così come va considerato che una certa “discrezionalità” nell’esercizio dei diritti amministrativi da parte dell’usufruttuario è ineliminabile e non sindacabile dal nudo proprietario. Elementi tutti che – diversamente opinando – renderebbero alquanto ardua la determinazione dell’ammontare della garanzia, ovvero tanto gravosa, da giungere ad annullare il contenuto stesso del diritto di usufrutto.
[ Continua ]