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Si ha appropriazione di pregi ogni qualvolta un imprenditore, in forme pubblicitarie o equivalenti, attribuisca ai propri prodotti o alla propria impresa pregi da questa non posseduti, ma mutuati da un altro concorrente.
La concorrenza sleale parassitaria consiste in un continuo e sistematico operare - in un contesto temporale prossimo all’ideazione dell’opera, e prima che questo diventi patrimonio comune a tutti gli operatori del settore - sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti, ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo e riguardanti comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda con ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale.
L'imprenditore che intende invocare, oltre alle norme sulla concorrenza sleale, anche la speciale tutela del Regolamento CE n. 6/2002, facendo valere il proprio prodotto quale modello o disegno comunitario senza averlo registrato, non può limitarsi a qualificarlo come tale, ma deve indicarne, seppure sinteticamente, il carattere individuale e gli elementi creativi che valgono a differenziarlo in modo significativo degli altri modelli o disegni divulgati al pubblico in ambito comunitario.
[ Continua ]Sebbene siano astrattamente compatibili e cumulabili la tutela dei segni distintivi prevista dal codice della proprietà industriale e quella prevista dal codice civile in tema di concorrenza sleale, la medesima condotta può integrare sia la contraffazione della privativa industriale sia la concorrenza sleale per l’uso confusorio di segni distintivi solo se la condotta contraffattoria integri anche una delle fattispecie rilevanti ai sensi dell'art. 2598 c.c.
Va esclusa la concorrenza sleale se il titolare della privativa industriale si sia limitato a dedurre la sua contraffazione, se le due condotte consistano nel medesimo addebito integrante la violazione del segno. In buona sostanza, dall’illecito contraffattorio non discende automaticamente la concorrenza sleale, che – dunque – deve constare di un quid pluris rispetto alla pura violazione del segno, cioè di una modalità ulteriore afferente il fatto illecito.
È contrario alle regole della correttezza professionale assumere un impegno formale di non utilizzo di marchi nella propria attività commerciale al fine di chiudere un contenzioso e poi adottare, poco dopo, una condotta affatto contraria all’impegno assunto; l’idoneità a danneggiare l’altrui azienda ben può essere solo potenziale.
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