hai cercato per: Annamasi
Annamasi

Annamasi

Dottoranda di ricerca in diritto commerciale e dell'economia, presso l'Università di Roma "La Sapienza"

30 Giugno 2023

Assemblea di società quotata svolta mediante rappresentante designato e diritto del socio di integrazione dell’o.d.g.

In ordine allo svolgimento dell’assemblea di una società quotata mediante rappresentante designato dalla società, gli azionisti intenzionati a esprimere il proprio voto sono obbligati a conferire delega al rappresentante designato. L’assemblea non si svolge con la partecipazione personale degli azionisti all’assemblea, ma è soltanto il rappresentante designato a partecipare e ad esprimere, per loro conto e sulla base delle istruzioni ricevute, il voto. Per esprimere il voto ogni azionista deve incaricare il rappresentante designato e fornirgli le relative istruzioni mediante apposita delega da conferire entro e non oltre il secondo giorno di mercato aperto precedente la data fissata per l’assemblea (art. 135 undecies TUF).

Tale modalità di svolgimento del procedimento assembleare “a porte chiuse” è incompatibile con l’esercizio in forma ordinaria di taluni diritti partecipativi tipici degli azionisti, tra cui con il diritto individuale del socio avente diritto di voto di presentare direttamente in assemblea ulteriori proposte di deliberazione su argomenti già all’ordine del giorno (art. 126 bis, co. 1, terzo periodo, TUF). L’esercizio di tale diritto deve allora essere configurato in via interpretativa in modo tale da risultare coerente, da un lato, con le scansioni procedurali caratterizzanti la modalità di svolgimento dell’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ai sensi dell’art. 106, co. 2, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Decreto Cura Italia”) e, dall’altro, con il pari diritto di tutti gli altri soci di votare in modo consapevole e informato. A tale riguardo, appare consono sia ai connotati formali dell’interpretazione analogica, sia alle esigenze di effettiva tutela del diritto individuale di proposta e del pari diritto di tutti i soci di votare in modo informato e consapevole, sia alle scansioni procedurali proprie dello svolgimento dell’assemblea a distanza, assumere a riferimento, per individuare la data entro la quale il socio può presentare proposte di delibera su argomenti all’ordine del giorno, la disposizione prevista dall’art. 126 bis, co. 2, TUF, secondo cui delle proposte dei soci di minoranza qualificata deve essere data notizia almeno 15 giorni prima di quello fissato per l’assemblea. Né, peraltro, la società, nell’indicazione del termine in questione, è vincolata alla suddetta disposizione – applicata solo analogicamente – ben potendo indicare in sede di convocazione una data diversa, purché parimenti idonea a soddisfare adeguatamente le diverse esigenze sopra indicate, nel rispetto del generale principio di buona fede.

Essendo il procedimento ex art. 700 c.p.c. funzionalizzato unicamente a tutelare chi teme il verificarsi di un pregiudizio durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria, cioè mediante processo a cognizione piena, esso deve essere escluso allorquando, a tutela di determinati diritti è prevista, almeno in una prima fase, un’apposita procedura di tipo sommario, quale il procedimento ex art. 126 bis, co. 5, TUF. È esclusa la possibilità di un cumulo/alternatività tra i due procedimento in ragione delle loro evidenti difformità strutturali, determinando la duplicazione di procedimenti aventi lo stesso oggetto che si svolgono parallelamente tra le stesse parti innanzi a giudici diversi (monocratico e collegiale) secondo riti diversi, nonché in ragione dell’impraticabilità di tale soluzione che rimette ad un soggetto processuale evidentemente non legittimato – cioè il giudice – di scegliere quale dei due procedimenti dovrebbe in concreto svolgersi a discapito dell’altro e che viola il diritto di difesa della parte resistente che sarebbe ignara delle regole procedurali con cui esso debba essere esercitato.

[ Continua ]
29 Giugno 2023

Responsabilità dell’amministratore di s.r.l.

Tra i doveri di diligente gestione e conservazione del patrimonio sociale posti in capo agli amministratori a tutela della società, dei creditori e dei terzi rientra altresì il dovere di assolvere al pagamento degli obblighi fiscali e di gestione delle risorse finanziarie, in specie al fine di garantire la regolarità dei versamenti e non esporre l’ente a relative sanzioni, spese, interessi e aggi.
In tema di transazione pro quota intervenuta tra il creditore e uno o più dei debitori in solido, al fine di evitare un ingiustificato arricchimento in capo al creditore, il residuo debito gravante sugli altri debitori solidalmente obbligati si riduce in misura corrispondente all’importo pagato dai condebitori transigenti soltanto laddove costoro abbiano versato una somma pari o superiore alla loro quota ideale di debito. Qualora, per converso, i condebitori transigenti abbiamo pagato una somma inferiore alla quota loro facente idealmente capo, il debito residuo deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Per poter affermare l’esistenza del nesso causale tra condotta omissiva ed evento dannoso, occorre che l’attore offra la prova del fatto che, laddove la condotta doverosa fosse stata posta in essere, l’evento dannoso non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato con minore intensità lesiva.
[ Continua ]
18 Giugno 2024

Relata di notifica e querela di falso

Quando la notificazione sia effettuata dall’ufficiale giudiziario nelle forme previste dall’art. 140 c.p.c. o dall’ufficiale postale nelle forme stabilite dall'art. 8, co. 2 e 3, l. 890/1982, costituisce una mera presunzione superabile con qualsiasi mezzo di prova, senza necessità di proporre querela di falso avverso la relata, il fatto che nell’indirizzo indicato si trovi la residenza effettiva del destinatario dell’atto e compete, quindi, al giudice del merito, in caso di contestazione, l’accertamento di tale circostanza sulla base delle prove fornite dalle parti ai fini della pronuncia sulla validità della notifica.
[ Continua ]
11 Agosto 2023

Azione di responsabilità dei sindaci

In tema di azione di responsabilità dei sindaci, il sindaco non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso che amministratori negligenti, pendente societate, abbiano posto in essere, ma solo ove sia possibile affermare che se, in adempimento dei suoi doveri, si fosse attivato utilmente in forza dei poteri di vigilanza, controllo e reazione che l'ordinamento gli conferisce ed alla diligenza che l'ordinamento pretende, il danno sarebbe stato evitato. I doveri di controllo imposti ai sindaci sono certamente contraddistinti da una particolare ampiezza, poiché si estendono a tutta l'attività sociale, in funzione della tutela e dell'interesse dei soci e di quello, concorrente, dei creditori sociali. Di modo che ad affermarne la responsabilità può ben esser sufficiente l'inosservanza del dovere di vigilanza. Questo accade, in particolare, quando i sindaci non abbiano rilevato una macroscopica violazione o non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, poiché in tal caso il mantenimento di un comportamento inerte implica che non si sia vigilato adeguatamente sulla condotta degli amministratori (o dei liquidatori) pur nella esigibilità di un diligente sforzo per verificare la situazione anomala e porvi rimedio, col fine di prevenire eventuali danni. L'essere stato designato alla carica solo dopo la commissione dell'illecito non è, di per sé, circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l'accettazione della carica comporta comunque l'assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell'adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l'incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio. Spetta all'attore allegare l'inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all'esistenza di segnali d'allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull'avviso; assolto tale onere, l'inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, restando a carico del medesimo l'onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale. [ Continua ]
23 Aprile 2023

Sui contratti preliminare e definitivo di cessione di partecipazioni societarie

Non equivale a rinuncia di una clausola penale inserita in un contratto preliminare di compravendita di quote di s.r.l. la sua mancata riproduzione nel successivo contratto definitivo che riproduce esclusivamente le clausole strettamente afferenti all’oggetto della compravendita laddove si desuma che le parti abbiano inteso dettare la completa disciplina negoziale dei loro rapporti nel contratto preliminare, assegnando invece al contratto definitivo il ruolo di strumento negoziale per formalizzare la compravendita ai sensi dell’art. 2470 c.c. al fine di renderla opponibile alla società. [ Continua ]
23 Maggio 2023

Estinzione della s.r.l. e responsabilità di soci e liquidatori nei confronti dei creditori insoddisfatti

Ferma restando l’estinzione immediata della società indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti non ancora definiti ad essa facenti capo ex art. 2495, co. 1, c.c., eventuali passività lamentate dai creditori non possono che farsi valere nei confronti di soli due soggetti: i soci, fino alla concorrenza delle somme riscosse nel bilancio finale di liquidazione, e i liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa (o dolo) di questi. In particolare, la responsabilità dei primi va commisurata alle caratteristiche dell’organizzazione societaria estinta e, per il caso delle s.r.l., così come durante la vita del soggetto sociale il patrimonio è stato posto come limitazione della responsabilità per le obbligazioni sociali verso terzi (art. 2462, co. 1, c.c.), estinta la società allora i soci potranno rispondere verso i creditori insoddisfatti nei limiti di quanto da ciascuno ricevuto in base al bilancio finale di liquidazione (e con la distribuzione di acconti di liquidazione), costituendo tali somme nient’altro che il patrimonio residuo della medesima società. Laddove la società venga cancellata senza distribuzione di attivo la limitazione di responsabilità degli (ex) soci non è idonea a creare di per sé pregiudizio ai creditori poiché esito finale dell’evidente incapienza del patrimonio sociale rispetto ai crediti da soddisfare.

Quanto alla domanda proponibile nei confronti del liquidatore ex art. 2495, co. 3, c.c., soggetto potenzialmente illimitatamente responsabile, trattandosi di azione aquiliana, grava sul creditore rimasto insoddisfatto l’onere di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si sia svolta nel rispetto del principio della par condicio creditorum. In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore è tenuto a dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti. La responsabilità di cui agli artt. 2394 e 2476, co. 6, c.c. ha natura extracontrattuale ed è determinata dalla condotta dell’amministratore funzionale a una riduzione del patrimonio sociale, tale da cagionarne la perdita della tipica funzione di garanzia generica ex art. 2740 c.c., con conseguente diritto dei creditori sociali ad ottenere, quale risarcimento, l’equivalente della prestazione che la società non è più in grado di compiere. L’azione esperibile, in presenza di tali presupposti, è altresì da considerarsi diretta ed autonoma rispetto quella parimenti proponibile dalla società stessa – anche per motivi di ratio sistematica, vista l’espressa previsione del successivo periodo del medesimo comma che la rinuncia all’azione da parte della società, non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali – e soggetta al termine quinquennale di prescrizione, decorrente non già dalla commissione dei fatti integrativi le responsabilità summenzionata, bensì dal momento, evidentemente successivo, della manifestazione dell’evento dannoso, ossia dall’oggettiva percepibilità da parte dei creditori dell’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare le proprie ragioni, rispetto alla quale assume sicura rilevanza il bilancio di esercizio, vista la sua leggibilità anche per operatori non particolarmente qualificati. [ Continua ]
26 Maggio 2023

Legittimazione attiva all’impugnativa di delibere assembleari in caso di comproprietà del pacchetto azionario e nullità delle delibere di approvazione del bilancio di esercizio

La nomina necessaria del rappresentante comune priva i singoli comproprietari della quota dell’esercizio dei propri diritti, in quanto il loro interesse cede rispetto a quello della società di avere un unico interlocutore così da evitare che la situazione di comproprietà si trasformi in un ostacolo all’attività societaria. La legittimazione sostanziale del rappresentante comune priva i comproprietari della quota, ancorché agiscano di concerto, del potere di impugnativa, quale riflesso dell’esercizio dei diritti sociali; invero, l’art. 2347, co. 1, c.c., nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate con la conseguenza che se l’intervento in assemblea e il diritto di voto in via esclusiva competono al rappresentante comune, la impugnazione prevista dagli artt. 2377 e 2379 c.c., non può che essere a lui attribuita. Anche nell’ipotesi in cui l’impugnazione sia esercitata unitariamente da tutti i comproprietari del titolo azionato il diritto processuale di impugnativa è riservato al rappresentante comune, dovendosi ritenere che il legislatore abbia valutato a priori – attraverso la previsione della nomina obbligatoria di un rappresentante comune senza eccezione – che non sia opportuna la verifica nei singoli casi dell’eventuale comunione di intenti dei comproprietari, essendo prevalente l’interesse a che la società, a fronte della comunione, a qualsiasi titolo, della quota di partecipazione azionaria, debba confrontarsi con un unico centro di interessi costituito, appunto, dal rappresentante comune. Rientrano nel novero delle delibere nulle, in quanto aventi un oggetto illecito ex art. 2379 c.c., le delibere con cui risulta approvato un bilancio non conforme ai principi di cui all’art. 2423 c.c., ovvero in violazione di tutte le altre norme dettate in materia di bilancio, sicchè l’impugnativa può essere promossa da chiunque vi abbia interesse. Trattasi, infatti, di norme imperative inderogabili, poste a tutela di interessi generali che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, i quali possono agire in giudizio previa allegazione di un’incidenza negativa nella loro sfera giuridica delle irregolarità denunciate riguardo al risultato economico della gestione sociale. Il pregiudizio lamentato derivante dalla decisione impugnata, che l’attore ha l’onere di dimostrare in giudizio quale presupposto del suo interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. e che deve sussistere non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione, non deve essere necessariamente di carattere economico – ipotesi che si verifica ad esempio nel caso di perdita di valore o redditività della partecipazione, laddove l’attore agisce in qualità di socio –, potendo anche consistere nella lesione del diritto a ricevere dal bilancio un’informazione corretta in merito alla consistenza patrimoniale della società ed alla sua efficienza economica. Nel caso dell’azione volta a far dichiarare la nullità di una deliberazione assembleare approvativa del bilancio di esercizio di una società, l’attore, che assuma di aver subito un pregiudizio a causa del difetto di chiarezza, veridicità e correttezza di una o più poste contenute in bilancio, ha l’onere di enunciare quali siano esattamente le poste iscritte in violazione dei principi legali vigenti e il giudice dovrà valutare se quanto prospettato configuri o meno il pregiudizio al diritto di informazione di cui il socio è portatore; l’esame delle singole poste e la verifica della loro conformità ai precetti legali è, tuttavia, compito logicamente successivo, che attiene al giudizio di fondatezza della domanda, ma non al requisito dell’interesse ad agire. La mancata indicazione dell’identità dei partecipanti all’assemblea nel verbale della stessa determina la sola annullabilità della delibera; ciò in quanto con riferimento alla verbalizzazione della delibera assembleare l’art. 2379, co. 3, c.c. sanziona con la nullità esclusivamente l’ipotesi di verbale mancante, che si realizza quando esso è omesso o è carente in uno dei requisiti specificatamente previsti dalla norma, in cui non rientra la mancata indicazione dei partecipanti. [ Continua ]
24 Aprile 2023

Sul compenso dell’amministratore di società per azioni

L’amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico, sicché l’attività professionale dallo stesso prestata deve presumersi come svolta a titolo oneroso, in applicazione dei principi previsti in materia di mandato ex art. 1709 c.c., essendo quindi onere della società quello di superare la presunzione di onerosità del compenso. Resta, infatti, salva la possibilità che lo statuto preveda la gratuità dell’incarico ovvero che l’amministratore stesso vi rinunci. La rinuncia può essere anche tacita e desumersi da comportamenti concludenti, purché si tratti di comportamenti univoci che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto e che quindi rivelino in modo inequivocabile la volontà dismissiva del relativo diritto, non essendo sufficiente, a desumere la rinuncia al compenso, la mera inerzia o il silenzio dell’amministratore. Ai sensi dell’art. 2389 c.c., previsto in materia di s.p.a. ma applicabile alle s.r.l., i compensi spettanti agli amministratori sono stabiliti dallo statuto o dall’assemblea. Rimangono quindi prive di effetti altre eventuali forme di determinazione diverse da quelle previste dall’art. 2389 c.c., tra cui l’accordo orale eventualmente intervenuto fra amministratore e socio di maggioranza, con conseguente attribuzione del carattere di indebito oggettivo al compenso corrisposto, sulla base di un simile accordo, in mancanza del fatto costitutivo previsto dalla legge. In mancanza di determinazione statutaria o assembleare del compenso, l’amministratore può ricorrere all’autorità giudiziaria affinché ne stabilisca l’ammontare, anche in via equitativa, purché l’amministratore alleghi e provi la qualità e quantità delle prestazioni concretamente svolte e offra elementi tali da consentire al giudice di operare un’equa determinazione, non essendo sufficiente, ad esempio, la mera indicazione del compenso pattuito in esercizi sociali di anni diversi. Con riferimento alla determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell’art. 2389, co. 1, c.c., (nel testo vigente prima delle modifiche, non decisive sul punto, di cui al d.lgs. n. 6 del 2003), la delibera assembleare determinativa del compenso, in assenza di previsione statutaria,  deve esser esplicita e non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa: la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa, discendente dall’essere la disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea (art. 2630, co. 2, c.c., abrogato dall’art. 1 del d.lgs. n. 61 del 2002); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364, nn. 1 e 3, c.c.); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, co. 2, c.c.). Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 c.c., salvo che un’assemblea convocata solo per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori. [ Continua ]