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giovanni noschese

giovanni noschese

Titolare

Avvocato specializzato in gestione di Crisi di Impresa - Curatore di Liquidazioni Giudiziali e Commissario Giudiziale di Concordati Preventivi - Docente della Scuola Superiore della Magistratura

20 Marzo 2025

Vendita di bene sociale ad un prezzo vile e sequestro conservativo

L'accertamento in sede di CTU di una enorme divergenza tra il prezzo di vendita di beni sociali ed il loro reale valore di mercato rappresenta circostanza estremamente grave sotto il profilo della possibile responsabilità degli amministratori, tale da comportare la concessione del sequestro conservativo, sussistendo il fumus boni iuris ed il periculum in mora [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto circostanza aggravante il fatto che il socio di maggioranza abbia consentito agli amministratori di effettuare tale operazione, del tutto dannosa per la società, dimostrando l'assenza di qualsivoglia cura di vigilare sull'operato degli stessi, neppure ex post, non avendo adottato alcuna iniziativa a tutela del capitale, anzi avendo mostrato un atteggiamento del tutto adesivo, se non addirittura di indirizzo e supporto, dell'operato degli amministratori]. [ Continua ]
18 Marzo 2025

Azione risarcitoria nei contronti dell’Amministratore uscente per smarrimento dei documenti contabili

L'obbligo dell'amministratore uscente di consegnare al nuovo amministratore la documentazione sociale rimasta in suo possesso trova fondamento nella previsione dell’art. 1713, co. 1 c.c., che impone al mandatario il c.d. obbligo di rendiconto, il quale può trovare applicazione anche al contratto di amministrazione, in quanto riconducibile al mandato.

Trattandosi di una vera e propria obbligazione (di dare), quest’ultima deve avere ad oggetto una prestazione possibile, cioè suscettibile di essere eseguita, per cui è necessario che la documentazione richiesta si trovi nella materiale disponibilità dell’ex amministratore-debitore affinché questi possa effettivamente adempiere, con la conseguenza che ai sensi dell'art. 1257 c.c. - secondo cui la prestazione avente ad oggetto una cosa determinata si considera divenuta impossibile anche quando la res viene smarrita senza che possa esserne provato il perimento - è inammissibile la condanna alla consegna, fatto salvo il diritto della società al risarcimento del danno nel caso di colpa dell'amministratore per il mancato rinvenimento.

La riconducibilità dell’obbligazione gravante sull’ex-amministratore alla disciplina del mandato e il rigetto della richiesta cautelare “in forma specifica” per carenza di prova del fumus non escludono la configurazione in capo allo stesso di un obbligo generale di rendiconto dell’attività gestoria svolta sino alla cessazione dalla carica.   [ Continua ]
12 Gennaio 2025

Prova della titolarità del credito, inapplicabilità del provv. Bankit 55/2005 al contratto autonomo di garanzia e mancata produzione del contratto principale

In caso di cessione "in blocco" dei crediti da parte di una banca ex art. 58 TUB, la produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che rechi l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti "in blocco" è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno dei rapporti oggetto della cessione, allorché gli elementi che accomunano le singole categorie consentano di individuarli senza incertezze.

Non può essere esteso il perimetro oggettivo dell’accertamento dell'intesa restrittiva della concorrenza effettuato da Banca d'Italia (Provv. 55/2005) al contratto autonomo di garanzia, avendo l'Autorità di vigilanza accertato l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza limitatamente al settore delle fideiussioni omnibus bancarie e ciò in quanto il contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag) ha la funzione di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale contrariamente dal contratto del fideiussore, il quale garantisce l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui ed essendo diversa la causa concreta del contratto autonomo, che è quella di trasferire da un soggetto a un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no, dalla fideiussione, nella quale ricorrendo solamente l’elemento dell’accessorietà, è tutelato l’interesse all’esatto adempimento della medesima prestazione principale

A prescindere dal nomen iuris dato dalle parti, le clausole contrattuali con le quali è previsto che “Il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente all’Azienda di credito, a semplice richiesta scritta, anche in caso di opposizione del debitore, quanto dovutele per capitale, interessi, spese, tasse ed ogni altro accessorio” e che“nessuna eccezione può essere apposta dal fideiussore riguardo al momento in cui l’Azienda di credito esercita la sua facoltà di recedere dai rapporti con debitore” qualificano il contratto quale autonomo di garanzia per cui il debitore non può avvantaggiarsi di un provvedimento amministrativo che ha riguardato esclusivamente i moduli utilizzati per le fideiussioni omnibus nel settore bancario e non anche per garanzie di diversa natura

Nel caso del contratto autonomo di garanzia, la mancata prova della trasmissione degli estratti conto a mezzo di raccomandata alla società e ai garanti non rileva ai fini della esigibilità del credito essendo irrilevante tale trasmissione ai fini della contestazione del debito laddove provato documentalmente dalla banca.

Il garante del debito principale non è tenuto al pagamento delle somme ingiunte dalla banca che non depositi il contratto dal quale si evincano le clausole applicabili al rapporto, non essendo sufficiente l’estratto delle scritture contabili certificato ex art. 50 TUB e ciò anche in presenza di un contratto autonomo di garanzia in quanto l’autonomia che caratterizza il rapporto tra garante e creditore beneficiario non può spingersi fino a realizzare un risultato vietato dall’ordinamento. Infatti, carattere fondamentale del contratto autonomo, che vale a distinguerlo dalla fideiussione, è soltanto l’assenza dell’elemento dell’accessorietà della garanzia, consistente nel fatto che il garante non può opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, fatta salva la facoltà di eccepire l’avvenuto soddisfacimento del creditore ovvero la mancanza di causa in quanto l’obbligazione principale non è sorta o è nulla, come nel caso di assenza del contratto bancario redatto in forma scritta In difetto di una specifica domanda di indebito oggettivo (cfr. Cass. 188/2022) alla banca non può essere riconosciuta alcuna somma nemmeno a titolo di restituzione di quanto eventualmente erogato in forza del contratto nullo.     [ Continua ]
17 Marzo 2025

Sindaci: poteri, doveri e responsabilità

I doveri di controllo imposti ai sindaci sono contraddistinti da particolare ampiezza e si estendono a tutta l’attività sociale in funzione della tutela e dell’interesse dei soci e di quello concorrente dei creditori sociali e si concretizzano nel controllo dell'amministrazione della società, nella vigilanza sull'osservanza della legge e dell'atto costitutivo, nella verifica della regolare tenuta della contabilità sociale, della corrispondenza del bilancio alle risultanze dei libri e delle scritture contabili, e nell'osservanza delle norme poste per la valutazione del patrimonio sociale (cd. responsabilità concorrente con gli amministratori). Il sindaco, dunque, non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale in ragione della sua mera "posizione di garanzia": ai fini dell'esonero dalla responsabilità, è necessario che egli abbia esercitato o tentato di esercitare l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge. Da un lato, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative - in primis, la richiesta di informazioni o di ispezione ex art. 2403-bis c.c. - può dare concreto contenuto all'obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell'amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, al contrario avendo il primo il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell'inerzia alle altrui condotte dannose senza neppure potersi limitare alla richiesta di chiarimenti all'organo gestorio, ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie. Dall'altro lato, il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall'ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall'attività dannosa, la convocazione dell'assemblea ai sensi dell'art. 2406 c.c. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all'assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l'impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art. 2487 c.c., la denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c. o all'autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative. [ Continua ]
3 Febbraio 2024

Oggetto immediato e mediato del negozio di cessione di partecipazioni

Con riferimento alla cessione di quote societarie, deve distinguersi tra un oggetto immediato della cessione, costituito dalle partecipazioni sociali alienate, e un oggetto mediato, costituito invece dal patrimonio sociale. Le quote delle società di capitali costituiscono, infatti, beni di secondo grado, in quanto non sono del tutto distinte e separate dai beni compresi nel patrimonio sociale, e sono rappresentative delle posizioni giuridiche spettanti ai soci in ordine alla gestione e alla utilizzazione di detti beni, funzionalmente destinati all'esercizio dell'attività sociale. Ne consegue che i beni compresi nel patrimonio della società non possono essere considerati del tutto estranei all'oggetto del contratto di cessione del trasferimento delle azioni o delle quote di una società di capitali, sia se le parti abbiano fatto espresso riferimento agli stessi, mediante la previsione di specifiche garanzie contrattuali, sia se l'affidamento del cessionario debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. [ Continua ]
16 Gennaio 2024

Recesso del socio di s.a.s. e liquidazione della partecipazione

Nel caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio, perfezionatosi prima del verificarsi di una causa di scioglimento della società, al socio uscente spetta la liquidazione della sua quota, ai sensi dell'art. 2289 c.c., e non la quota di liquidazione risultante all'esito del riparto fra tutti i soci, in quanto il presupposto per l'assorbimento del procedimento di liquidazione della quota del socio in quello di liquidazione della società è costituito dalla coincidenza sostanziale tra i due, la quale sussiste solo ove il primo attenga ad un diritto non ancora definitivamente acquisito, quando si verifichino i presupposti per l'apertura del secondo. Il recesso del socio di una s.a.s. è atto unilaterale recettizio, la cui efficacia si produce non appena portato a conoscenza della società e gli effetti della pubblicità legale nel registro delle imprese sono quelli della pubblicità dichiarativa, ex art. 2193 c.c., nei confronti dei terzi e non invece nei confronti della società, che è parte del rapporto sociale. Inoltre, l’iscrizione dell’intervenuto recesso nel registro delle imprese compete all’amministratore nel termine di trenta giorni, ai sensi dell’art. 2300 c.c. Per quanto concerne la natura dell'obbligazione di liquidare la quota al socio uscente, avendo ad oggetto, sin dalla sua origine, una somma di denaro, la stessa ha natura di debito non già di valore, bensì di valuta, soggetto, pertanto, al principio nominalistico di cui all'art. 1277 c.c., potendo la svalutazione monetaria assumere rilievo solo in mancanza di tempestivo adempimento (da compiersi entro il termine di sei mesi previsto dall'ultimo comma dell'art. 2289 c.c.), con conseguente applicabilità dei principi sul risarcimento del danno da mora debendi. Nel caso in cui il creditore rivesta la qualità di imprenditore commerciale, pur potendosi presumere, secondo l'id quod plerumque accidit, che la somma dovuta, se tempestivamente pagata, sarebbe stata reimpiegata e così sottratta al deprezzamento della moneta, il creditore ha l'onere di allegare la circostanza che il tasso di svalutazione annuo fosse superiore ed il maggior danno non sia stato assorbito dalla liquidazione degli interessi. [ Continua ]
3 Febbraio 2024

Impugnativa di bilancio e non necessaria impugnazione dei bilanci approvati medio tempore. L’interesse della società e il conflitto di interessi del socio

Non è fondata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse del socio ad impugnare la delibera di approvazione del bilancio, in ragione della mancata impugnazione dei bilanci di esercizio successivi, con conseguente intangibilità dei saldi di tali bilanci, per il principio di continuità dei valori di bilancio, posto che, ai sensi dell’art. 2434 bis, co. 1, c.c., l’impugnazione del bilancio può essere promossa se al momento dell’instaurazione del giudizio non sia stato ancora approvato il bilancio dell’esercizio successivo, a nulla rilevando che, nelle more del giudizio, siano stati approvati i bilanci degli anni successivi, e ciò in ragione del fatto che la durata del processo non può ripercuotersi negativamente a scapito di colui che ha proposto l’impugnazione tempestivamente.

Il conflitto di interessi non rappresenta ex se una condizione in grado di inficiare la votazione, sia essa una delibera dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione; in dette ipotesi, infatti, l’invalidità dell’atto è subordinata non solo al fatto che il voto determinante per il raggiungimento della maggioranza necessaria per l’approvazione della delibera sia espressione del soggetto in capo al quale si configura una situazione di conflitto d’interessi, ma anche alla condizione che tale delibera possa recare alla società un danno, seppur in via solo potenziale. Ai fini dell’annullamento della delibera per conflitto di interessi è essenziale che essa sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme di quegli interessi che sono comuni ai soci, in quanto parti del contratto di società, e che concernono la produzione del lucro, la massimizzazione del profitto sociale (ovverosia del valore globale delle azioni o delle quote), il controllo della gestione dell’attività sociale, la distribuzione dell’utile, l’alienabilità della propria partecipazione sociale e la determinazione della durata del proprio investimento. Si ha conflitto di interessi rilevante quale causa di annullabilità delle delibere assembleari quando vi è un conflitto tra un interesse non sociale e uno qualsiasi degli interessi che sono riconducibili al contratto di società. Non è compromettibile in arbitri la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della deliberazione di approvazione del bilancio di società per difetto dei requisiti di verità, chiarezza e precisione. Invero, nonostante la previsione di termini di decadenza dall'impugnazione, con la conseguente sanatoria della nullità, le norme dirette a garantire tali principi non solo sono imperative, ma, essendo dettate, oltre che a tutela dell'interesse di ciascun socio ad essere informato dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere la situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente, trascendono l'interesse del singolo ed attengono, pertanto, a diritti indisponibili. Identica ratio si rinviene nel caso di censura dell’approvazione del bilancio d’esercizio da parte del socio amministratore unico in conflitto di interessi ex art. 2479 ter, co. 2, c.c. [ Continua ]
19 Ottobre 2023

Il socio receduto non ancora liquidato è ancora titolare della partecipazione sociale

Il socio che ha esercitato il recesso può esser considerato come ancora titolare delle partecipazioni sociali e ciò fino a che non viene liquidato, essendo la fattispecie del recesso del socio a formazione progressiva. Invero, il socio receduto non ancora liquidato è ancora titolare della quota di partecipazione del capitale sociale e quindi deve ritenersi che possa esercitare le facoltà in essa incorporate; a prescindere dall’ampiezza del suo diritto di voto, se affievolito – esercitabile solo con riferimento a quelle decisioni assembleari che possono incidere sul patrimonio della società e quindi sul suo diritto di credito alla liquidazione del valore della partecipazione – o pieno – esercitabile con riferimento ad ogni delibera con il limite dell’abuso del diritto –, in ogni caso il socio receduto durante il procedimento di recesso si trova a poter legittimamente esercitare il diritto di voto in assemblea. Non rappresenta un’ipotesi di rinuncia implicita alla clausola arbitrale la mancata eccezione di incompetenza nell’ambito di un giudizio di quantificazione del valore della quota sociale ex art. 2473, co. 3, c.c. Tale giudizio, invero, è di mera volontaria giurisdizione e non ha carattere contenzioso. Soltanto in caso di contestazione sul valore determinato dall’esperto si apre un vero e proprio giudizio contenzioso. L’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo, atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla[va] l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte, ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri. [ Continua ]
18 Agosto 2023

Intestazione fiduciaria di quote

Il trasferimento delle quote per atto fiduciario comporta un reale passaggio di proprietà delle quote, con l’aggiunta di un impegno al ritrasferimento delle medesime. L’unico modo per riottenere le quote, sussistendone tutti i presupposti, è agire ai sensi dell’art. 2932 c.c., quindi con una azione costitutiva finalizzata ad ottenere una sentenza che si sostituisca al contratto di ritrasferimento non concluso. [ Continua ]
6 Ottobre 2023

Attività di direzione e coordinamento: definizione della fattispecie e responsabilità

L’attività di coordinamento realizza un sistema di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva, estesa all’insieme delle società, mentre l’attività di direzione individua una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa ossia sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. In particolare, la direzione e il coordinamento richiedono una incidenza nella gestione dell’impresa, mentre le funzioni di audit e compliance imposte dalla controllante sulle controllate non sarebbero significative di per sé della eterodirezione (e così, ad esempio, la predisposizione di codici di comportamento, circolari relative all’assetto organizzativo, amministrativo o contabile). Non si esclude che possa esservi un esercizio concorrente nell’ambito dello stesso gruppo di attività di direzione e coordinamento laddove la subholding abbia il potere di determinare essa stessa i contenuti delle direttive ricevute dalla holding di vertice. L’azione di responsabilità riconosciuta al socio ed al creditore della società eterodiretta è azione propria, diretta e non azionata in via surrogatoria rispetto all’azione sociale. Si tratta di un’azione volta alla riparazione di un danno comunque riflesso maturato in capo alla società: si tratta di ipotesi derogatoria rispetto alla regola del diritto societario comune per la quale il singolo socio che ha subito un danno riflesso non può agire in via individuale per reintegrare il proprio patrimonio personale, ma solo agire in via surrogatoria per la reintegrazione del patrimonio sociale. Nel caso dell’art. 2497 c.c., invece, il socio, pur avendo subito un danno riflesso, viene tutelato e gli è consentito chiedere il risarcimento del proprio danno, sulla base della considerazione che difficilmente la società eterodiretta, che partecipa dell’interesse di gruppo e che ne ha attuato le direttive, proporrebbe una azione risarcitoria nei confronti della capogruppo. L’art. 2497, co. 3, c.c. non prevede una condizione di procedibilità costituita dalla preventiva infruttuosa escussione della eterodiretta, in quanto l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento è posto unicamente in capo alla società capogruppo. Tale norma, infatti, si limita a prevedere un’ipotesi meramente fattuale, al ricorrere della quale l’obbligo risarcitorio della controllante viene meno. È esclusa la responsabilità della capogruppo in tre casi, in cui un danno risarcibile non esiste più: (i) perché è mancante, alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento (art. 2497, co. 1, ultima parte, c.c.); (ii) perché è integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette (art. 2497, co. 1, ultima parte, c.c.); (iii) o perché è azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (art. 2497, co. 3, c.c.), secondo un meccanismo meramente fattuale. Legittimato attivo all’esperimento dell’azione ex art. 2497 c.c. è anche il socio di maggioranza della società eterodiretta. [ Continua ]