L’affermazione della responsabilità dell’amministratore per la violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c. presuppone che: (
i) risulti specificamente cristallizzato l’arco temporale a partire dal quale non avrebbe dovuto essere proseguita la consueta attività imprenditoriale; (
ii) emerga che, in epoca successiva alla perdita del capitale sociale, fossero state poste in essere attività estranee ad una logica meramente conservativa; (
iii) risulti acclarato che la prosecuzione della gestione, con modalità non meramente manutentive, avesse aggravato le perdite patrimoniali. Inoltre, occorre non soltanto che siano specificamente allegate e provate circostanze utili ai fini degli anzidetti accertamenti, ma anche che siano offerti elementi per la quantificazione del danno eziologicamente connesso a tale addebito.
La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell’art. 161, co. 6, l. fall. presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre quando con violazione dei canoni di buona fede e correttezza e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per proseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte.
Gli amministratori sono responsabili nel caso in cui adottino uno strumento inadeguato a gestire la crisi di impresa, sempre che, tuttavia, tale inadeguatezza, rilevata
ex post, venga ritenuta tale con la ragionevolezza di un giudizio
ex ante.
A cospetto di una domanda di accordo di ristrutturazione
ex art. 182
bis l. fall., in sede di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, il sindacato del tribunale non è limitato ad un controllo formale della documentazione richiesta, ma comporta anche una verifica di legalità sostanziale compresa quella circa l’effettiva esistenza, in termini di plausibilità e ragionevolezza, della garanzia del pagamento integrale dei creditori estranei all’accordo, nei tempi previsti per legge. L’attestazione del professionista, seppure indispensabile, non ha però un effetto vincolante sul giudice, né questi può limitarsi ad un esame estrinseco della relazione, limitata cioè alla persuasività delle argomentazioni. Infatti, benché al professionista attestatore sia demandato il compito di certificare la veridicità dei dati forniti dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dallo stesso proposto, occorre precisare che il controllo del giudice su questi aspetti non è di secondo grado, destinato cioè a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica della motivazione offerta dal professionista anche sotto il profilo del collegamento effettivo tra i dati riscontrati ed il giudizio espresso; il giudice può, infatti, discostarsi dal giudizio espresso dal professionista, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario.
La norma di cui all’art. 182
sexies l. fall. è stata introdotta dal legislatore al fine di non pregiudicare la possibilità di successo del piano di ristrutturazione dei debiti. Pertanto, è opportuno derogare alla disciplina civilistica degli obblighi gravanti sugli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale, a partire dalla data di deposito delle domande di ammissione al concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione, sino alla data dell’omologa o della declaratoria di inammissibilità della stessa. Resta tuttavia inteso che gli amministratori sono comunque tenuti al rispetto dell’art. 2486 c.c. fino al momento della presentazione delle ridette domande e, altresì, a convocare senza indugio l’assemblea al fine di adottare i dovuti provvedimenti qualora dovesse configurarsi una perdita di oltre un terzo del capitale sociale. D’altra parte, durante il suddetto arco temporale tanto non esime gli amministratori dal dovere di improntare la gestione in funzione della tutela del ceto creditorio e, dunque, preservare a tal precipuo scopo l’integrità del patrimonio sociale. In tali casi gli amministratori soggiacciono altresì ad un dovere di gestione in linea con il tipo di procedura concorsuale prescelta, potendo in talune ipotesi la prosecuzione dell’attività esser richiesta proprio al fine di soddisfacimento dei creditori (come nel caso di concordato in continuità, mentre in ordine all’accordo di ristrutturazione dei debiti non vi è una norma che imponga il divieto di gestione ordinaria dell’impresa). In ogni caso, una volta intervenuta l’omologa rivivono in capo agli amministratori tutti gli obblighi solo temporaneamente sospesi ai sensi dell’art. 182
sexies l. fall.; gli stessi, pertanto, una volta avvedutisi del procrastinarsi della situazione di crisi, devono adottare i provvedimenti richiesti dalla legge.
L’attestatore di un piano di risanamento può essere sempre chiamato a rispondere anche per semplice negligenza
ex art. 1176, co. 2, c.c. e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c.; e tanto perché lo stesso, in ragione degli specifici obblighi assunti, è tenuto alla prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui al combinato disposto dell’art. 1176, co. 2, e dell’art. 2236 c.c., espletando la sua attività professionale in modo funzionale non solo al raggiungimento dello scopo tipico cui essa è preordinata, ma anche al rispetto degli obblighi imposti ed al conseguimento degli effetti vantaggiosi previsti dalla normativa in concreto applicabile, dovendo altresì adottare tutte le misure e le cautele necessarie e idonee per l’esecuzione della prestazione, secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto richiesto, sicché, in difetto, egli risponde dei danni originati dal comportamento non conforme alla diligenza qualificata cui è obbligato anche nella sola ipotesi di colpa lieve.
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