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Dottoressa cum laude in Giurisprudenza; laureanda in Gestione d'Azienda profilo Libera Professione e Diritto Tributario; tirocinante ex art 73 presso la Prima Sezione Civile della Corte d'Appello di Milano.
L’art. 2383, co. 3, c.c., dettato in tema di s.p.a. ma applicabile in via analogica anche alle s.r.l., prevede che gli amministratori siano sempre revocabili dall’assemblea, salvo diritto al risarcimento dei danni nel caso in cui la revoca dovesse avvenire in assenza di giusta causa. Di conseguenza, detta giusta causa non costituisce una condizione di validità e di efficacia della deliberata revoca, ma solo una causa di esclusione del risarcimento del danno sofferto dall’amministratore ingiustamente ed arbitrariamente revocato. Il danno risarcibile/indennizzabile viene generalmente parametrato, in via equitativa, all’emolumento che l’amministratore avrebbe conseguito dallo svolgimento della prestazione gestoria nell’arco di sei mesi, quale lasso di tempo ragionevolmente idoneo a consentire all’amministratore revocato di trovare nuovi incarichi o analoghe prestazioni e compensi.
Le ragioni che integrano la c.d. giusta causa devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie.
[ Continua ]L’art. 1304, co. 1, c.c. costituisce una deroga la principio in virtù del quale il contratto produce effetti solo fra le parti e permette che il condebitore in solido, pur non avendo partecipato alla stipulazione della transazione tra il creditore e uno dei debitori solidali, possa avvalersi di quanto concordato all’interno dell’atto di transizione stipulato da altri. Detto atto deve avere ad oggetto l’intero debito. Infatti, il disposto di cui alla norma sopracitata non include la transazione parziale che, in quanto tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva, riguarda unicamente il debitore che vi aderisce e non può coinvolgere gli altri condebitori, che non hanno alcun titolo per profittarne. Di conseguenza, il condebitore solidale estraneo alla transazione risulta titolare di un diritto potestativo esercitabile anche nel corso del processo.
In ipotesi in cui vi sia la sopravvenuta transizione della lite, il giudice di merito è chiamato a valutare se la situazione sopravvenuta sia idonea ad eliminare ogni contrasto sull’intero oggetto della lite, anche in riferimento al condebitore solidale rimasto estraneo alla transazione e valutare se quest’ultimo voglia o meno profittare di tale transizione ai sensi dell’art. 1304 c.c.
Nel caso di transazione novativa, che comporti la rideterminazione del quantum e l’estinzione del rapporto debitorio originario, si estendono ai condebitori solidali solo gli effetti vantaggiosi e non anche quelli pregiudizievoli e ciò in quanto transazione e novazione sono fattispecie non assimilabili; di conseguenza, resta applicabile, in tema di transazione novativa, solo l’art. 1304 c.c. e non anche gli artt. 1300 e 1372 c.c., nel senso che detta transazione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare sia in ordine ai rapporti esterni, sia a quelli interni.
Se, invece, la transazione tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto esclusivamente la quota del condebitore che l’ha conclusa, occorre distinguere fra l’ipotesi in cui il condebitore che ha transatto abbia versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito e quella in cui il pagamento sia stato inferiore. Nel primo caso il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; nel secondo il debito residuo degli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto.
Le circostanze che attestano che gli accordi transattivi abbiano avuto ad oggetto l’intera lite ovvero che l’importo transattivamente conseguito dalla creditrice abbia, comunque, soddisfatto integralmente la sua pretesa risarcitoria, con conseguente cessazione della residua materia del contendere e declaratoria di improcedibilità delle domande ancora coltivate nei riguardi dei convenuti rimasti, devono essere provate dalla parte creditrice. Diversamente, si graverebbe il debitore convenuto in giudizio di una prova impossibile da fornire in quanto terzo estraneo agli accordi in questione.
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