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Francesco Gennaro Pezone

Francesco Gennaro Pezone

Laureato con lode presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, indirizzo d'impresa. Cultore della materia in Istituzioni di Diritto Privato, Diritto Commerciale e Diritto Bancario all'Università Cattolica del Sacro Cuore. Tirocinante presso la sezione specializzata in materia d'impresa del Tribunale di Milano. Abilitato all'esercizio della professione forense.

15 Dicembre 2021

La valutazione delle gravi irregolarità nella gestione nel contesto dell’emergenza pandemica

Non costituisce grave irregolarità nella gestione e, per l’effetto, non è idonea a giustificare la revoca in via cautelare dell’amministratore di S.r.l. ex art. 2476, co. 3 c.c., l’attuazione solo parziale e in difetto di compiuta regolazione contrattuale di un progetto imprenditoriale originariamente condiviso da tutti i soci e da realizzarsi, alla luce dei reciproci rapporti di fiducia, attraverso la costituzione di una società partecipata solo da alcuni di essi, allorquando – all’esito di un giudizio di bilanciamento tra il pregiudizio asseritamente arrecato al patrimonio sociale dalla condotta dell’amministratore e il pregiudizio che la società subirebbe dalla revoca di quest’ultimo – risulta prevalente l’interesse a garantire la sopravvivenza di tutte le società coinvolte, soprattutto in un momento storico in cui la prolungata chiusura o riduzione delle attività d’impresa operanti nel settore di riferimento rischia di ripercuotersi a catena sull’intera filiera produttiva e distributiva. [ Continua ]
16 Aprile 2022

Responsabilità degli amministratori per inadempimenti tributari e contributivi. Linee guida per una corretta applicazione del criterio dei netti patrimoniali

Quando l’azione di responsabilità è circoscritta ai fatti accaduti sino alla cessazione dalla carica dell’amministratore convenuto, la chiamata in causa ex art. 106 c.p.c., da parte di quest’ultimo, dell’amministratore subentrante è irragionevole e legittima il diniego del giudice allo spostamento della prima udienza, essendo tale scelta motivata da esigenze di economia processuale e di ragionevole durata del processo. L’omesso versamento di tributi non costituisce inadempimento imputabile all’amministratore, se il relativo termine di versamento è scaduto dopo la cessazione di quest’ultimo dalla carica. Quando, invece, l’omesso versamento di tributi è imputabile all’amministratore, il danno subito dalla società non comprende l’ammontare dell’imposta, trattandosi di una somma che essa avrebbe dovuto comunque versare, ma è limitato agli importi di sanzioni e interessi di mora applicati dall’amministrazione finanziaria. L’irregolare assunzione di lavoratori, in favore dei quali sia stata corrisposta una retribuzione, non determina, di per sé, alcun danno per la società. L’inadempimento dell’amministratore è piuttosto da ravvisarsi nell’omesso versamento di contributi e imposte sulle retribuzioni, talché il danno è pari agli importi di sanzioni e interessi applicati alla società, a fronte dell’omessa regolarizzazione dei lavoratori. Quando, a causa dell’irregolare tenuta delle scritture contabili, non è possibile ricostruire la situazione contabile della società, il danno da indebita prosecuzione dell’attività può essere liquidato in via equitativa, applicando il criterio della differenza dei netti patrimoniali. Al fine di applicare correttamente tale criterio, occorre individuare (i) il bilancio a partire dal quale risulta la perdita del capitale, rettificato alla luce dei criteri di redazione di un bilancio di liquidazione (secondo il principio contabile OIC 5) e (ii) il momento in cui è stato deliberato lo scioglimento della società, con conseguente messa in liquidazione o, in mancanza, il momento in cui ne è stato dichiarato il fallimento. Individuata la perdita incrementale pura, occorre sottrarre i costi ineliminabili e/o non imputabili, che la società avrebbe ugualmente sostenuto, tenuto conto delle dimensioni dell’impresa, del tipo di attività svolta, della possibile durata della liquidazione e dell’eventuale circostanza della cessazione dell’amministratore dalla carica prima della dichiarazione di fallimento [nel caso di specie, in mancanza di puntuali indicazioni, l’importo della perdita è stato ridotto dal Collegio in via prudenziale ed equitativa del 50%]. [ Continua ]
16 Aprile 2022

Azione di responsabilità dei creditori sociali e inadempimento contrattuale

Non può ritenersi sussistente una violazione degli obblighi imposti agli amministratori dall’art. 2394 c.c. per il solo fatto che essi abbiano ceduto la propria partecipazione nella società e siano cessati dalla carica: il trasferimento delle quote e la modifica dell’organo di rappresentanza, infatti, non integrano comportamenti contrari alla legge o allo statuto [nel caso di specie, il Tribunale ha rigettato le domande proposte dall’attrice – quale concedente l’azienda in forza di un contratto d’affitto stipulato con la società amministrata dai convenuti – che aveva imputato automaticamente l’integrale perdita di valore del ramo d’azienda al mutamento della proprietà e della gestione dell’affittuaria, senza fornire alcuna prova al riguardo]. [ Continua ]
16 Aprile 2022

Revoca del decreto di nomina del curatore speciale per sopravvenuta carenza del conflitto di interessi

Nel procedimento cautelare di revoca degli amministratori di S.r.l. di cui all’art. 2476, co. 3 c.c., la sostituzione degli amministratori resistenti deliberata dall’assemblea dei soci nelle more del procedimento fa venir meno il conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato e, per l'effetto, legittima la revoca del decreto di nomina del curatore speciale. [ Continua ]
19 Giugno 2022

Il caso Deiulemar: alcuni chiarimenti in rito; legittimazione all’esercizio dell’azione risarcitoria per abusiva attività di direzione e coordinamento

La procura alle liti non rientra tra gli elementi essenziali dell’atto di citazione, talché la sua inesistenza non determina la nullità dell’atto introduttivo del giudizio. Peraltro, l’omessa sanatoria del difetto di procura determina la nullità della sentenza pronunciata all’esito del giudizio: tale nullità processuale è soggetta al principio di conversione in motivo di gravame ex art. 161, co. 1 c.p.c., non essendo invece esperibili i rimedi dell’actio o dell’exceptio nullitatis sententiae, consentiti esclusivamente nelle ipotesi di sentenza inesistente, ai sensi dell’art. 161, co. 2 c.p.c. La mancata riproposizione di una domanda o di un’eccezione in sede di precisazione delle conclusioni determina l’abbandono della stessa, in ossequio al principio dispositivo sostanziale che regola il processo civile. Quando una parte agisce in qualità di erede legittimo e non è contestato il rapporto di parentela con il de cuius, ai fini della prova della titolarità del diritto fatto valere è sufficiente l’avvenuta accettazione dell’eredità, anche tacitamente mediante l’esercizio stesso dell’azione. A fronte di una domanda di condanna proposta contro più condebitori solidali, la rinuncia all’azione, da parte dell’attore, nei confronti solo di alcuni dei convenuti realizza, sul piano sostanziale, una remissione del debito con riserva del diritto di agire verso gli altri co-obbligati in solido, posto che la riserva di cui all’art. 1301, co. 1 c.c. può essere manifestata anche tacitamente o per fatti concludenti. Tuttavia, la rinuncia all’azione, costituendo atto dispositivo del diritto controverso, se resa dal difensore in udienza esige l’espresso conferimento del potere abdicativo mediante apposito mandato ad hoc, non essendo a tal fine sufficiente il mandato ad litem. In mancanza, tale rinuncia va qualificata come rinuncia agli atti ex art. 306 c.p.c., che si perfeziona col deposito dell’atto di rinuncia se parte convenuta non è costituita in giudizio, atteso che l’atto di rinuncia non rientra tra quelli che devono essere notificati al contumace. In caso di fallimento, l’unico soggetto legittimato ad esercitare l’azione di condanna al risarcimento dei danni sofferti dalla società etero-diretta, a fronte dell’esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento da parte della holding-società di fatto, è esclusivamente il curatore [nel caso di specie, il Tribunale ha dichiarato il difetto di legittimazione attiva degli attori, creditori-obbligazionisti della società fallita, i quali avevano prospettato l’esercizio di un’azione diretta ex art. 2395 c.c. nei confronti degli organi sociali, lamentando il mancato rimborso delle somme investite in titoli irregolarmente emessi a fronte di un’abusiva attività di raccolta del risparmio. Ravvisando la condotta illecita dei convenuti organi sociali dell’emittente non tanto nell’aver indotto i risparmiatori alla sottoscrizione dei titoli, quanto nella distrazione del controvalore investito dall’attivo della società emittente in favore della società di fatto-holding, il Tribunale ha riqualificato la domanda come domanda di condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’esercizio abusivo di attività di direzione e coordinamento, che aveva provocato un evidente pregiudizio per la società fallita e, di riflesso, per tutti i suoi creditori]. [ Continua ]
11 Novembre 2021

Legittimazione attiva all’impugnazione di delibere e contratto concluso dall’amministratore in conflitto di interessi

La società non è titolare del diritto di impugnare le delibere assunte dall’assemblea dei propri soci: in primo luogo, perché essa non è annoverata dalla legge tra i soggetti legittimati all’impugnazione; inoltre, perché, derivando dalla società stessa la manifestazione di volontà oggetto di impugnazione, sarebbe irragionevole attribuirle la legittimazione ad agire in giudizio contro la sua stessa volontà. La s.r.l. che, ai sensi dell’art. 2475-ter c.c., domanda l’annullamento del contratto (o dell'atto unilaterale) concluso dal proprio amministratore in conflitto di interessi deve provare: (i) l’interesse, di cui l’amministratore sia portatore, obiettivamente in conflitto con quello della società rappresentata; (ii) la possibilità per l’amministratore di influenzare la scelta negoziale assunta dalla società; (iii) la conoscenza o la conoscibilità del conflitto di interessi da parte del terzo contraente. Nel caso in cui una società abbia prestato fideiussione a garanzia del debito assunto da un’altra società, il cui amministratore sia contemporaneamente amministratore della prima, l’esistenza di un conflitto di interessi tra la società garante e il suo amministratore non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore delle due società, ma dev’essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società garante e il suo amministratore. La sussistenza di una delibera con cui l’assemblea autorizzi la società alla prestazione della garanzia, in mancanza di impugnazione, esclude sia la possibilità per l’amministratore di influenzare la scelta negoziale della società (essendo egli privo di qualsiasi discrezionalità tanto nella scelta di stipulare il contratto quanto nella determinazione del relativo contenuto), sia la conoscibilità dell’asserito conflitto di interessi da parte del terzo contraente (avendo quest’ultimo riposto legittimo affidamento sulla validità della predetta delibera). [ Continua ]
11 Novembre 2021

Termine di impugnazione delle delibere assembleari e abuso di maggioranza

Al termine di 90 giorni previsto dalla legge per l’impugnazione delle delibere assembleari si applicano la sospensione durante il periodo feriale, nonché le disposizioni di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 155 c.p.c.: tale termine assume natura (anche) processuale, dal momento che l’impugnazione dev’essere necessariamente proposta in via giudiziale. Per la medesima ragione, al termine di impugnazione si applica altresì il principio di scissione degli effetti della notificazione (sancito da Cass., Sezioni Unite, n. 24822 del 9 dicembre 2015): ai fini dell’impedimento della decadenza, è dunque sufficiente che l’atto introduttivo del giudizio sia stato consegnato all’ufficiale giudiziario o all’ufficio postale entro il termine di 90 giorni, a nulla rilevando che la notificazione, nei confronti del destinatario, si sia perfezionata successivamente. Il socio che deduce l’invalidità di una delibera assembleare per abuso di maggioranza deve provare che la delibera fosse stata fraudolentemente e arbitrariamente preordinata, da parte del socio di maggioranza, al perseguimento di un proprio interesse personale, antitetico rispetto a quello sociale ovvero, in alternativa, alla lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. La mera condizione di inoperatività della società non è di per sé sufficiente a far ritenere abusiva una delibera di aumento di capitale contestuale alla riduzione per perdite, ben potendo i soci decidere di “riattivare” la società, immettendo le risorse necessarie per il rilancio dell’attività imprenditoriale. [ Continua ]