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Giuliana Scampoli

Giuliana Scampoli

Negli anni ha maturato una specifica esperienza nel settore del diritto societario, del diritto commerciale e della contrattualistica, svolgendo principalmente consulenza professionale (sia stragiudiziale che giudiziale) in favore di imprese. E' iscritta all'Albo degli Avvocati di Roma.

Cooperative edilizie: criteri di liquidazione della quota del socio receduto

Nelle società cooperative la persona del socio ha un doppio ruolo:da un lato, ha la qualifica di socio (con obbligo di effettuare i conferimenti e di partecipare alla vita della società); dall’altro, ha anche la qualifica di parte contrattuale quando decide di acquisire beni e servizi che produce la cooperativa (sulla base di un rapporto di scambio tra socio e cooperativa). Questa doppia posizione del socio di cooperativa diventa rilevante nel momento in cui occorre procedere alla liquidazione della quota del socio. Qualora quest’ultimo abbia eseguito in favore della cooperativa, oltre al conferimento per diventare socio, altri versamenti a titolo di acconti sul prezzo di vendita dei prodotti creati dalla cooperativa, la liquidazione si compone di due elementi: la liquidazione della quota sociale (che estingue il rapporto sociale) e la restituzione degli apporti effettuati dal socio come acconto pagamenti per i beni e servizi prodotti dalla cooperativa. Ne consegue che, sulla base dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza, il pagamento di una somma, eseguito dal socio a titolo di prenotazione dell’immobile, deve essere ascritto al rapporto di scambio e perciò al pagamento del prezzo di acquisto del bene prodotto dalla cooperativa, alla cui restituzione la cooperativa è, quindi, tenuta in caso di scioglimento dal rapporto sociale per esclusione o per recesso, anche in presenza di un disavanzo di bilancio (cfr. Cass. civ. sez. III, 15.11.2016, n. 23215). [ Continua ]
21 Febbraio 2022

Contratto di trasferimento di azioni: clausola di revisione del prezzo e suoi effetti

La clausola di revisione del corrispettivo concordato per la cessione di azioni, che prevede integrazioni o diminuzioni di prezzo in relazione al diverso valore dell’indebitamento netto alla data del trasferimento delle azioni, da accertarsi mediante apposita audit in caso di disaccordo tra le parti, non implica un obbligo incondizionato di pagamento del prezzo stabilito, che escluda la ordinaria proponibilità delle eccezioni, e quindi, la sospensione del pagamento, in attesa della revisione del prezzo; non vi è pertanto ragione di escludere la possibilità dell’acquirente di avvalersi della eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Conseguentemente, in presenza di una variazione dell'indebitamento netto, che risulti assai superiore a quello utilizzato nella contrattazione come parametro per la determinazione del prezzo, la sospensione dell'adempimento delle obbligazioni a carico del compratore si giustifica, in via di eccezione, ex art. 1460 c.c. [ Continua ]

Preliminare di cessione di quote sociali: le clausole non riproposte nel contratto definitivo si intendono rinunciate

In tema di rapporto tra contratto preliminare e contratto definitivo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza prevede che le pattuizioni presenti nel preliminare debbano intendersi rinunciate qualora non riproposte nel definitivo. In forza di tale principio, la clausola contenuta in un contratto preliminare di cessione di quote sociali, non riproposta nel contratto definitivo, deve considerarsi superata dalla diversa volontà espressa dalle stesse parti nell’accordo definitivo e, pertanto, del tutto priva di efficacia, ad eccezione del caso in cui venga fornita la prova di un accordo intervenuto tra le parti, volto a preservare gli obblighi contenuti nel preliminare e a garantirne la sopravvivenza dopo la conclusione del definitivo, in mancanza della quale l’assetto dei reciproci rapporti non può che essere quello risultante dal negozio concluso. [ Continua ]
18 Gennaio 2023

Competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa sull’indennità di fine mandato dell’amministratore

La domanda giudiziale avente ad oggetto la corresponsione dell’indennità di fine mandato in favore dell’amministratore si inquadra nell’ambito delle controversie relative al compenso degli amministratori di società di capitali, le quali sono devolute alla competenza tabellare delle sezioni specializzate in materia di impresa, rientrando nel novero dei procedimenti relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario. [ Continua ]
18 Gennaio 2023

È onere degli amministratori dimostrare di aver rispettato il dovere di gestione conservativa ex art. 2486 c.c. in caso di perdita totale del capitale sociale

In presenza di un patrimonio netto negativo la normale prosecuzione dell’attività sociale costituisce violazione di quanto disposto dall’art. 2486 c.c., che limita espressamente il potere di gestione della società, da parte degli amministratori, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale. Spetta agli amministratori l’onere di dimostrare che la prosecuzione dell’attività sia avvenuta nel rispetto dell’art. 2486 c.c. e, cioè, ai soli fini della conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale e che non sia invece proseguita la gestione ordinaria e caratteristica dell’attività di impresa con assunzione di nuovo rischio imprenditoriale, in un’ottica di tipo speculativo e compiendo atti di gestione di tipo non liquidatorio. [ Continua ]
18 Gennaio 2023

Azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare. In particolare, la prescrizione

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., la quale, assumendo contenuto inscindibile e connotazione autonoma rispetto alle prime – attesa la ratio ad essa sottostante, identificabile nella destinazione, impressa all’azione, di strumento di reintegrazione del patrimonio sociale, unitariamente considerato a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali – implica una modifica della legittimazione attiva di quelle azioni, ma non ne muta i presupposti. Ne consegue che i fatti addotti a fondamento della domanda identificano l’azione in concreto esercitata dal curatore e, in particolare, la disciplina in materia di prova e di prescrizione, quest’ultima in ogni caso quinquennale, ma, se fondata sulle circostanze idonee ad attivare l’azione sociale, con decorrenza non dal momento in cui l’insufficienza patrimoniale si è manifestata come rilevante per l’azione esperibile dai creditori, bensì dalla data del fatto dannoso e con applicazione della sospensione prevista dall’art. 2941, n. 7, c.c., in ragione del rapporto fiduciario intercorrente tra l’ente ed il suo organo gestorio. L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. cumula inscindibilmente i presupposti e gli scopi sia dell’azione sociale di responsabilità – la quale si ricollega ad una violazione da parte degli amministratori nell’esercizio delle loro attribuzioni di specifici obblighi di derivazione legale o pattizia che si sia tradotta in un pregiudizio per il patrimonio sociale –, sia dell’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2394 c.c. – che integra una fattispecie di responsabilità extracontrattuale e tende alla reintegrazione del patrimonio sociale diminuito dall’inosservanza degli obblighi facenti capo all’amministratore. L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, esperibile dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall., è soggetta alla prescrizione quinquennale, con decorso, in base alla norma generale di cui all’art. 2935 c.c., dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e, cioè, quanto all’azione sociale di responsabilità, dal giorno in cui sono percepiti i fatti dannosi posti in essere dagli amministratori e il danno conseguente e, quanto all’azione dei creditori sociali, dal giorno in cui si è manifestata, divenendo concretamente conoscibile, l’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i loro crediti. In particolare, con riferimento all’azione dei creditori sociali, la prescrizione decorre non già dalla commissione dei fatti integrativi di tale responsabilità, ma dal successivo momento dell’oggettiva conoscibilità del dato di fatto costituito dall’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali – anche se lo stesso sia stato in concreto ignorato – come si ricava con certezza dall’art. 2394 c.c., che subordina la proponibilità dell’azione al manifestarsi dell’evento dannoso, e cioè dal momento che, non coincidendo con il determinarsi dello stato di insolvenza, ben può risultare anteriore o posteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento nelle varietà delle fattispecie concrete. L’insufficienza patrimoniale, che assume rilievo ai fini della decorrenza della prescrizione, è data dall’eccedenza delle passività sulle attività: tale situazione si distingue, quindi, dall’insolvenza, che costituisce il presupposto per la dichiarazione di fallimento ed è determinata dall’impossibilità per il debitore di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni che, come tale, non implica necessariamente un’eccedenza delle passività sulle attività e può anche essere determinata da una situazione di semplice illiquidità. L’insufficienza patrimoniale può manifestarsi anche prima della dichiarazione di fallimento. In tali casi, l’onere della prova incombe su colui il quale eccepisca l’intervenuta prescrizione. [ Continua ]
22 Febbraio 2022

Responsabilità dell’amministratore per costi extrasociali

Costituisce operazione illecita produttiva di danno il ribaltamento su una società decotta (poi fallita) di passività derivanti da un’impresa individuale dell’amministratore, che sarebbe stata chiusa di lì ad un anno. L’illiceità si configura sotto un duplice profilo: sia perchè funzionale all’interesse personale dell’amministratore di incamerare somme ed estinguere propri debiti verso la fallita e verso terzi, sia perché conclusa quando il patrimonio netto della fallita risultava negativo e la stessa, quindi, nulla avrebbe potuto acquistare. L’operazione così realizzata esula dal campo della tutela riservata alla libera iniziativa economica ma si iscrive, piuttosto, in un disegno specifico che mirava alla esternalizzazione del ramo produttivo a favore di una nuova società ed alla concentrazione di tutti gli elementi negativi dell’impresa in capo al soggetto già decotto, progressivamente spogliato del suo patrimonio, a danno proprio e dei suoi creditori. [ Continua ]

Il socio che abbia esercitato il diritto di recesso non è legittimato ad impugnare le delibere sociali

Il recesso del socio è atto unilaterale recettizio giuridicamente efficace dal momento in cui, con qualsiasi mezzo, la società prende atto della volontà del socio, con la conseguenza che da tale momento il socio perde il relativo status e la legittimazione ad esercitare i diritti sociali, permanendo in capo ad esso soltanto il diritto di ottenere il rimborso della quota. Ne consegue che, nel caso in cui il socio abbia esercitato il diritto di recesso, ai sensi dell’art. 2473, comma 2, c.c. – a mente del quale nelle società a tempo indeterminato il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni – avendo perso la qualità di socio, per fatti al medesimo ascrivibili, difetta in capo allo stesso la legittimazione in ordine alla possibilità di impugnare le delibere sociali. [ Continua ]