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Tollerata coesistenza di un medesimo marchio di fatto da parte di più soggetti

La tutela del marchio di fatto trova fondamento nella funzione distintiva che esso assolve in concreto, per effetto della notorietà presso il pubblico, e, pertanto, presuppone la sua utilizzazione effettiva, con la conseguenza che la tutela medesima non è esperibile in rapporto a segni distintivi di un'attività d'impresa non più esercitata dal preteso titolare. L'acquisto del diritto sul marchio di fatto dipende quindi non solo dall'utilizzo del segno, ma richiede anche che il segno abbia raggiunto una notorietà qualificata. Per ostacolare la registrazione del marchio successivo il preutente deve provare non solo l'uso, ma anche che il proprio preuso abbia determinato la notorietà generalizzata del proprio segno distintivo (marchio di fatto, denominazione o ragione sociale, ditta individuale) prima dell'uso da parte di altri. Si deve trattare di un uso sistematico, non sporadico e tale da consentirne la conoscenza effettiva da parte del pubblico dei consumatori interessati, mediante commercializzazione dei prodotti o servizi. La prova può essere offerta non solo documentalmente, tramite, ad esempio, la produzione di cataloghi e documentazione pubblicitaria, ma anche tramite prove testimoniali e indizi, purché dimostrino la rilevanza quantitativa o qualitativa del prodotto del servizio sul mercato, la durata della presenza e il suo ambito territoriale, facendo riferimento alle concrete modalità di diffusione del segno. L'uso di un marchio di fatto non deve necessariamente essere effettuato in un ambito territoriale esteso, così escludendo una notorietà sull'intero territorio nazionale, ma è sufficiente ai fini dell'acquisto del diritto che la notorietà si riverberi ultra-localmente. Nel caso in cui i preutenti, in regime di tollerata coesistenza di un preuso non meramente locale, siano due, il preuso dell'altro imprenditore priva il segno di novità e impedisce la registrazione e nessuno dei due preutenti può registrare il segno senza il consenso dell'altro. [ Continua ]
10 Novembre 2024

La responsabilità dell’hosting provider attivo alla luce della Direttiva 2000/31 CE e del D.lgs. 70/2003

Ne caso di pretesa responsabilità di internet service provider, ai fini dell’individuazione del giudice munito di giurisdizione si deve tener conto del luogo in cui, in ciascun caso concreto, si è verificato l’evento dannoso, vale a dire la diffusione dei dati ed informazioni di titolarità di utenti terzi. Nel caso della responsabilità del prestatore dei servizi della società dell'informazione, dunque, con riguardo all'interpretazione ed applicazione dell'art. 16, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 70 del 2003, la conoscenza dell'altrui illecito, quale elemento costitutivo della responsabilità del prestatore stesso, coincide con l'esistenza di una comunicazione in tal senso operata dal terzo, il cui diritto si assuma leso. Il dato di fatto dell’effettiva conoscenza da parte dell’hosting provider della presenza sul portale di contenuti illeciti è soddisfatta in relazione alle diffide contenenti i titoli identificabili dei contenuti cinematografici riprodotti nei video illecitamente caricati da soggetti non autorizzati, peraltro facilmente individuabili anche in virtù della presenza del marchio collegato a tali prodotti audiovisivi, tali da non lasciare margini di incertezza sulla loro individuazione, senza necessità dell’indicazione di altri dati tecnici che non devono essere necessariamente forniti dal titolare del diritto leso. Benché, al fine di favorire la diffusione dei servizi della società dell’informazione e i vantaggi ad essa collegati, anche l’hosting provider attivo va esonerato da obblighi preventivi e generalizzati di monitoraggio, nondimeno, qualora la tutela dei diritti di proprietà intellettuale può avvenire in modo efficace e adeguato attraverso gli strumenti tecnologici a disposizione dell’hosting provider sulla base delle informazioni fornitegli dallo stesso titolare del diritto violato, non vi è più alcuna ragione per esimere ulteriormente l’hosting provider da qualsiasi responsabilità, affrancandolo dal rispetto dei diritti di proprietà intellettuale che oggettivamente concorre a violare. L’hosting provider, una volta ricevuta la comunicazione della presenza di contenuti illeciti sulla propria piattaforma digitale, è chiamato quindi a delibare, secondo criteri di comune esperienza, alla stregua della diligenza professionale tipicamente dovuta, la comunicazione pervenuta e la sua ragionevole fondatezza (ovvero, il buon diritto del soggetto che si assume leso, tenuto conto delle norme positive che lo tutelano, come interpretate ad opera della giurisprudenza interna e comunitaria), nonché, in ipotesi di esito positivo della verifica, ad attivarsi rapidamente per eliminare il contenuto segnalato. L'aggettivo vale, in sostanza, a circoscrivere la responsabilità del prestatore alla fattispecie della colpa grave o del dolo: se l'illiceità deve essere «manifesta», vuol dire che sarebbe possibile riscontrarla senza particolare difficoltà, alla stregua dell'esperienza e della conoscenza tipiche dell'operatore del settore e della diligenza professionale da lui esigibile, così che non averlo fatto integra almeno una grave negligenza dello stesso. [ Continua ]