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Michele Rossi

Michele Rossi

Dottore di ricerca (Università di Bologna) e Avvocato in Bologna - Studio Legale Associato Demuro Russo

5 Dicembre 2023

Diritto al compenso dell’amministratore e compromettibilità in arbitri

Il diritto dell’amministratore di società al compenso per la carica svolta è un diritto patrimoniale disponibile che spetta se riconosciuto dallo statuto o dall’assemblea dei soci. La contestazione circa l’esistenza del diritto sollevata dalla società non trasforma il diritto da disponibile in indisponibile; pertanto, esso resta assolutamente compromettibile. La clausola di uno statuto va interpretata secondo i principi ermeneutici previsti per l'interpretazione dei contratti (artt. 1362 e ss. c.c.) e, quindi, avuto riguardo al senso letterale delle parole, attribuendo a ciascuna clausola il senso che risulta dal complesso dell'atto (art. 1363 c.c.). [ Continua ]
17 Gennaio 2024

Azione di responsabilità esperita dalla Curatela e assenza del parere del comitato dei creditori

Ai fini della proposizione dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il parere del comitato dei creditori non costituisce un elemento indispensabile per l’integrazione dei poteri del curatore e assume valenza solo endofallimentare; da ciò consegue che la sua assenza non configura un vizio dell’azione ma implica una mera irregolarità tutta interna alla procedura concorsuale, reclamabile solo ex art. 26 l. fall. Data l’unitarietà dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall., la prescrizione quinquennale decorre dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori è percepibile all’esterno e per presunzione iuris tantum la manifestazione di tale insufficienza coincide con la dichiarazione di fallimento, sicché incombe sull’amministratore convenuto che eccepisce la prescrizione provare che l’insufficienza preesisteva ed era conoscibile prima del fallimento. [ Continua ]

Conferimento dell’azienda in una NewCo e decisioni che “comportano una sostanziale modificazione dell’oggetto sociale”

In materia di s.r.l., sebbene l’art. 2479 c.c. contempli come ipotesi distinte, ai nn. 4) e 5), le decisioni in tema di “modificazioni dell'atto costitutivo” rispetto a quelle che implicano la “sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo”, va osservato che entrambe le tipologie di decisioni sono poi accumunate all’art. 2479-bis, comma 3, c.c. che riserva all’assemblea dei soci la loro adozione richiedendo il “voto favorevole dei soci che rappresentano almeno la metà del capitale sociale”, “salvo diversa disposizione dell’atto costitutivo”, in coerenza con la circostanza che sia l’una che l’altra decisione rivestono natura straordinaria per la vita della società, indipendentemente dalla natura “formale” di detta modifica, mediante una modifica delle previsioni statutarie, piuttosto che “sostanziale”, in forza di operazioni che pur non comportando una modifica testuale determinino comunque una trasformazione societaria. In altre parole, il fatto che il codice civile abbia trattato congiuntamente, all’art. 2479-bis, comma 3, c.c., le ipotesi richiamate rende evidente, da un lato, l’intenzione di demandare ai soci la possibilità di prevedere una maggior cautela nell’adozione di delibere che vertano su tali fattispecie, optando per maggioranze qualificate, dall’altro, l’assimilazione sostanziale delle due ipotesi. In quest’ottica, la “decisione di compiere operazioni che comportano una sostanziale modificazione dell'oggetto sociale determinato nell'atto costitutivo” appare quindi, più che un’ipotesi a sé stante, una specificazione dell’ipotesi di “modificazioni dell'atto costitutivo” comprensiva di tutti i casi che non implicano una formale modifica del testo dello statuto ma sono riconducibili ad operazioni che impattano, modificandolo in concreto, sull’assetto societario. [ Continua ]
Codice RG 380 2021
26 Aprile 2023

Buona fede e correttezza nell’esercizio del diritto di consultazione del socio di s.r.l.

L’art. 2476 c.c. riconosce ai soci il diritto di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione. Segnatamente, in analogia con quanto previsto dall’art. 2261 c.c. in tema di controllo sulla gestione di società di persone da parte dei soci che non partecipano alla relativa amministrazione, anche nelle società a responsabilità limitata il diritto alla consultazione dei libri e documenti sociali è riconosciuto a qualunque socio non amministratore, indipendentemente dalla consistenza della partecipazione di cui lo stesso sia titolare. In particolare, il diritto di cui si discute – strumentale all’esercizio del potere di controllo accordato al socio – attiene alla consultazione di tutti i documenti afferenti all’amministrazione della società, dal momento della relativa costituzione, e comprende, quale necessario corollario, anche la facoltà di estrarre copia dei documenti esaminati (naturalmente a spese del socio interessato). Il diritto di controllo del socio non amministratore, non a caso disciplinato nell’ambito dell’art. 2476 c.c., soddisfa l’esigenza di acquisizione di informazioni utili in merito alle modalità di effettivo svolgimento della funzione gestoria da parte degli amministratori ed è funzionale, altresì, all’esperimento dell’azione sociale di responsabilità promuovibile in via surrogatoria da ciascun socio, nonché dell’azione di revoca dell’organo gestorio. Il diritto di consultazione ex art. 2476, co. 2, c.c. spettante al socio non amministratore di s.r.l., in quanto strumentale all’esercizio del fondamentale potere di controllo, non tollera limitazioni di sorta, se non quelle connesse alla generale operatività del principio di buona fede e correttezza. In omaggio al principio di buona fede e correttezza sono da considerare illegittimi i comportamenti che risultino rivolti a fini diversi da quelli strettamente informativi. Il socio è infatti tenuto ad astenersi da una ingerenza nell’attività degli amministratori per finalità di turbativa dell’operato di questi ultimi con la richiesta di informazioni di cui il socio non ha effettivamente bisogno al solo scopo di ostacolare l’attività sociale; in tal caso l’esercizio del diritto non potrebbe ricevere tutela in quanto mosso da interessi ostruzionistici. Parimenti contraria a buona fede è la condotta del socio che eserciti il controllo in modo contrastante con l’interesse sociale. In siffatti casi, sussiste un vero e proprio obbligo degli amministratori di rifiutare informazioni sociali riservate, considerato anche che gli amministratori potrebbero rendersi responsabili verso la società per l’indebito uso delle informazioni da parte del socio ai danni della società. Sia che si invochi il limite generale derivante dai doveri di correttezza e buona fede, sia che si invochi la figura dell’abuso del diritto, è certo che i soci non possano esercitare i propri diritti di controllo con modalità tali da recare intralcio alla gestione societaria ovvero da svantaggiare la società nei rapporti con imprese concorrenti: una scelta puramente emulativa o vessatoria o antisociale di tempi e modi dei diritti di controllo farebbe, infatti, esorbitare questi ultimi dallo scopo per cui sono stati concessi dall’ordinamento ai soci stessi. Fra le esigenze che possono legittimare la società a richiedere il rispetto di determinate condizionalità e modalità di accesso e, financo, di precludere la visione di taluni documenti o informazioni in essi riportati, rientrano la salvaguardia dei dati e del know-how aziendale e la prevenzione di un uso strumentale del diritto di ispezione da parte del socio; segnatamente, non indirizzato a fini di controllo individuale, quanto piuttosto a scopi concorrenziali, avuto riguardo alla concreta posizione del socio richiedente che renda verosimili e seri i rischi di utilizzo abusivo della documentazione riservata. Qualora le circostanze facciano presagire un comportamento del socio contrario a buona fede nei rapporti sociali, è ammissibile che la società subordini l’esercizio del diritto di ispezione a specifiche proprie richieste. Tra queste, l’oscuramento dei dati sensibili, anche di natura commerciale, sulle copie dei documenti maggiormente rilevanti ovvero la firma di impegni di non disclosure da parte del socio. Tuttavia, tali prassi devono trovare giustificazione, in concreto, dal pregiudizio che potrebbe conseguire alla società dalla divulgazione a terzi delle informazioni oggetto di ostensione al socio ovvero dall’utilizzo delle stesse da parte del medesimo. Ciò a maggior ragione poiché l’assenso da parte degli amministratori della società ad una richiesta di ispezione pretestuosa potrebbe esporre gli amministratori a responsabilità verso la società per i danni ad essa arrecati dall’indebito uso delle informazioni da parte del socio. Al di là delle limitazioni derivanti dall’operatività del principio di buona fede e correttezza, l’ingiustificato procrastinarsi del rifiuto da parte degli amministratori all’accesso del socio alla documentazione sociale vale, di per sé, ad integrare il periculum in mora che giustifica l’emissione di un provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., poiché il ritardo lede il diritto di controllo del socio medesimo sull’amministrazione della società e l’esercizio dei poteri connessi sia all’interno della società che mediante eventuali iniziative giudiziarie. Proprio in quanto fondamentale strumento per l’esercizio dei poteri di controllo spettanti al socio non amministratore, il diritto alla consultazione ed eventuale estrazione di copie deve intendersi riferito a tutti i libri sociali e documenti relativi alla gestione. Quindi, integra una seria e grave lesione di tale diritto anche la preclusione dell’esame di taluni soltanto dei documenti richiesti. [ Continua ]

Business judgement rule e corretta valutazione preventiva dei margini di rischio

Se è vero che, in virtù del principio della business judgement rule, all'amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico (atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell'amministratore, e non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società) e che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte) anche se presentino profili di rilevante alea economica, è pur vero tuttavia che, in tal tipo di giudizio, può ben sindacarsi l'omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità, e perciò anche la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere. [ Continua ]
21 Aprile 2023

Il diritto al compenso dei sindaci

L’art. 2402 c.c. prevede che la retribuzione annuale dei sindaci, se non stabilita nello statuto, deve essere determinata dall’assemblea dei soci all’atto di nomina per l’intero periodo di durata del loro ufficio. Da ciò deriva, quindi, che l’incarico di componente del collegio sindacale è necessariamente oneroso, in quanto non riflette solo interessi corporativi, ma concorre a tutelare, a garanzia dei terzi e del mercato, la serietà, l’indipendenza e l’obiettività della funzione, onde, ove l’entità del compenso non sia stabilita nell’atto costitutivo, né fissata dall’assemblea, spetta al giudice che ne sia richiesto di procedere alla sua determinazione ai sensi dell’art. 2233 c.c. Ove l’ammontare del compenso non sia determinato né dall’atto costitutivo e statuto né dall’assemblea, se, da una parte, si esclude che ciò determini la gratuità dell’ufficio, dall’altro, si ammette che il sindaco possa adire il giudice per chiedere la liquidazione giudiziale del proprio compenso. In tal caso il giudice dovrà determinare la misura del compenso in modo adeguato all’importanza dell’opera prestata, alla difficoltà dell’incarico ed al decoro della professione. Al contrario, non possono assumere alcuna rilevanza eventuali accordi intercorsi con l’amministratore sul criterio di calcolo della remunerazione. L’assunzione della qualità di sindaco in più società del gruppo non costituisce una causa di ineleggibilità o decadenza ex art. 2399, co. 1, lett. c), c.c., poiché tale circostanza non incide in astratto sulla garanzia di indipendenza nello svolgimento dell’incarico. [ Continua ]
14 Dicembre 2023

Responsabilità dell’amministratore per mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili e dei libri sociali

Per potere affermare la responsabilità dell’amministratore occorre la prova che la società abbia subito un danno quale diretta conseguenza della sua azione o omissione posta in essere nell’esercizio delle sue funzioni. Il comportamento dell’amministratore non può invece essere sindacato, anche se contrario ai suoi doveri, se non ha determinato alcun danno. La tenuta irregolare dei libri e delle scritture contabili, sebbene accertata, non è quindi causa di responsabilità risarcitoria dell’amministratore ove non sia dimostrato che dette irregolarità abbiano comportato il depauperamento del patrimonio sociale. Il debito risarcitorio ex art. 2393 c.c. ha natura di debito di valore – come tale sensibile al fenomeno della svalutazione monetaria sino al momento della sua liquidazione – ancorché il danno consista nella perdita di una somma di danaro, costituendo questo solo un elemento per la commisurazione dell’ammontare del danno, privo di incidenza rispetto alla natura del vincolo. [ Continua ]
17 Gennaio 2024

Natura della responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore rimasto insoddisfatto

In ordine alla responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori rimasti insoddisfatti, l’art. 2495 c.c. prevede che questi ultimi possano fare valere i loro crediti nei confronti del liquidatore se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La natura della responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore è tipicamente extracontrattuale, con la conseguenza che il creditore che agisce in giudizio ha l’onere di provare: (i) l’esistenza del credito; (ii) l’inadempimento di esso da parte della società; (iii) la condotta dolosa o colposa del liquidatore, che si sostanzia nel mancato adempimento, con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico, dei doveri legali e statutari; (iv) il nesso di causalità fra tale condotta e il mancato soddisfacimento del credito. Quanto al nesso eziologico, il creditore è tenuto a provare l’esistenza nel bilancio finale di liquidazione di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il proprio credito, eventualmente distribuita ai soci o utilizzata per pagare solo alcuni creditori in violazione della par condicio creditorum, oppure la sussistenza di una qualsivoglia condotta dolosa o colposa del liquidatore che abbia impedito la corretta conservazione del patrimonio. [ Continua ]

Credito da spese di lite e assoggettamento a c.d. falcidia concordataria

Il credito per spese di lite, avente causa in fatti anteriori all’istanza di concordato e liquidate con sentenza intervenuta nel corso della procedura, non è assoggettato alla c.d. falcidia concordataria. È da respingere la tesi che vede tale credito come fondato sul medesimo fatto generatore del credito sostanziale per cui si è agito o come fondato su condotte quali l’introduzione del giudizio. Difatti, solo all’esito della lite, in fase di decisione, vengono esaminati e valutati gli elementi rilevanti per la pronuncia, fra i quali la soccombenza e gli eventuali fattori correttivi ex art. 92 c.p.c. In tema di ammissibilità di procedure esecutive in corso di concordato è da respingere la tesi che vorrebbe protrarre il divieto di cui all’art. 168 l. fall. a tutta la durata del concordato, non trovando giustificazione nel dato letterale della disposizione normativa che vieta invece le iniziative esecutive solo in pendenza di domanda di concordato. [ Continua ]

Esclusione del socio di s.n.c. e tolleranza delle inadempienze da parte degli altri soci

L’art. 2286 c.c. prevede che l’esclusione del socio di società semplice, norma applicabile anche alle società in nome collettivo in forza del rinvio contenuto nell’art. 2293 c.c., possa essere disposta facoltativamente per tre ordini di motivi: (i) per gravi inadempienze ascrivibili al socio; (ii) per mutamenti dello stato personale del socio; (iii) per impossibilità del socio di eseguire il conferimento promesso. A fondamento della delibera di esclusione del socio di s.n.c. per gravi inadempienze non può essere posto un fatto che gli altri soci hanno tollerato per fatti concludenti, non essendo sussistente in tali ipotesi il necessario presupposto del venir meno del rapporto fiduciario. Pur in difetto di espressa previsione legislativa, il giudizio di opposizione alla delibera di esclusione, secondo il procedimento di cui all’art. 2287, co. 2, c.c., deve essere introdotto dal socio con atto di citazione. Ne consegue che il rispetto del termine decadenziale di trenta giorni per promuovere opposizione, decorrenti dalla data di comunicazione della decisione di esclusione, deve essere valutato avendo riguardo alla data di notifica della citazione. [ Continua ]