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Nicolò Pavan

Nicolò Pavan

Avvocato - Pirola Pennuto Zei & Associati

Avvocato iscritto all'Albo degli Avvocati di Verona. Svolgo la mia attività professionale presso lo studio Pirola Pennuto Zei & Associati, principalmente presso la sede di Verona. Mi occupo di diritto societario e commerciale, anche con riferimento alla consulenza societaria, alla contrattualistica commerciale (anche internazionale) e alla compliance societaria, operazioni straordinarie, M&A e private equity, nonché in via residuale di diritto fallimentare e restructuring.

16 Ottobre 2022

Responsabilità dell’amministratore di fatto per i danni cagionati alla società fallita

L'azione di responsabilità dei creditori si propone di tutelare l'integrità del patrimonio sociale, in relazione all'obbligo della sua conservazione; essa riveste natura di azione aquiliana ex art. 2043 c.c. in cui il danno ingiusto è integrato dalla lesione dell'aspettativa di prestazione dei creditori sociali, a garanzia della quale è posto il patrimonio della società, trovando così fondamento nel principio generale della tutela extracontrattuale del credito di cui agli artt. 2740 e 2043 c.c.

A rivestire la qualità di amministratore di fatto può essere anche un terzo totalmente estraneo alla società e alla sua compagine, poiché a rilevare è la prova che vi sia, per facta concludentia, l’intromissione nella direzione dell’impresa sociale, con istruzioni agli amministratori ufficiali e condizionamento delle scelte operative e gestionali, nonostante l’assenza di un’investitura formale quale amministratore da parte dell’assemblea dei soci. L’estensione della qualifica soggettiva di amministratore presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione e la “significatività e continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale. L’accertamento deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, fosse sintomatica della esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

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20 Maggio 2023

La condanna accertativa di un illecito contiene altresì l’accertamento della responsabilità sociale

La condanna, accertativa di un illecito, e non solo di mera liquidazione dell’indennizzo, non può che ritenersi contenente anche l’accertamento, sia pur implicito, di una responsabilità della cooperativa e, pertanto, essa non è titolo per alcun recupero verso i soci. [ Continua ]
15 Ottobre 2022

L’insanabilità dell’azione di responsabilità per l’errata indicazione dei legittimati passivi

Il giudizio ex art. 2395 c.c. instaurato nei confronti della società verso la quale non sono state formulate domande, e priva della citazione dei soggetti - componenti il Consiglio di Amministrazione - nei cui confronti le domande sono state proposte, è causa di rigetto della domanda. Non può pertanto essere accolta la richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti del terzo consigliere, in quanto la domanda, per come proposta, sconta un vizio di fondo costituito dalla citazione in giudizio di un unico soggetto (la società) che non è il legittimato passivo dell’azione; bensì, poteva essere, in caso di domanda formulata ex art. 2476 c.c. (caso diverso dal presente), il litisconsorte necessario dal lato attivo. L’ordine di integrazione del contraddittorio - richiesto ma disatteso dal giudice istruttore - ha infatti la funzione di garantire la regolarità del processo, ma non può sanare l’errata individuazione dei soggetti legittimati passivi della domanda, che attiene al merito del giudizio. [ Continua ]
25 Gennaio 2023

Cessazione della materia del contendere per sostituzione della delibera impugnata

Il tenore dell’art. 2377, co. 8 c.c. consente di escludere che il rilievo relativo alla sostituzione della delibera impugnata con altra presa in conformità della legge e dello statuto integri una eccezione non rilevabile d’ufficio. La norma, infatti, contiene un comando per il giudice il quale non potrà pronunziare l’annullamento della delibera, dovendo egli pronunciare la cessazione della materia del contendere. Al giudice spetta, comunque, di valutare la validità della deliberazione sostitutiva e, quindi, di accertare, ai fini della condanna alle spese di lite, la soccombenza virtuale e, dunque, la fondatezza dell’originaria impugnazione della delibera sostituita. In altre parole, la conformità a legge e statuto della seconda delibera è compresa tra i fatti costitutivi dell’effetto sanante o, comunque, tra quelli impeditivi del provvedimento che il giudice è chiamato ad emanare nel giudizio di annullamento. [ Continua ]
5 Marzo 2023

Legittimazione attiva per l’impugnativa della delibera del CdA; differenza tra arbitrato rituale e irrituale

Ai sensi dell’art. 2388, co. 4, c.c., le deliberazioni del consiglio di amministrazione che non sono prese in conformità della legge o dello statuto possono essere impugnate solo dal collegio sindacale e dagli amministratori assenti o dissenzienti entro novanta giorni dalla data della deliberazione. Possono, altresì, essere impugnate dai soci le deliberazioni lesive dei loro diritti. La norma, poi, rinvia agli artt. 2377 e 2378 c.c. in quanto compatibili. La suddetta disposizione, quindi, limita espressamente la legittimazione ad impugnare ai soli amministratori assenti o dissenzienti. Inoltre, l’espresso rinvio ai soli artt. 2377 e 2378 c.c. e non al successivo art. 2379 c.c. induce a ritenere che, dal punto di vista dell’invalidità, tutte le decisioni consiliari vadano assoggettate alla medesima disciplina e, in particolare, quella della annullabilità, ciò impedendo che le delibere suddette possano essere impugnate da chiunque vi abbia interesse. In ogni caso, si deve escludere che la società stessa possa impugnare la delibera emessa da uno dei propri organi. In virtù del principio di autonomia della clausola compromissoria, essa ha un’individualità nettamente distinta dal contratto nel quale inserita, non costituendone un accessorio. Ne consegue che la nullità del negozio sostanziale non travolge, per trascinamento, la clausola compromissoria in esso contenuta, restando rimesso agli arbitri l’accertamento della dedotta invalidità. La clausola di arbitrato irrituale consiste in una normale clausola negoziale, con la quale le parti non hanno inteso derogare alla giurisdizione, ma hanno conferito un mandato negoziale ad un terzo incaricato di comporre una lite, sostituendosi alla volontà dei contraenti, mediante composizione amichevole, conciliativa o transattiva, o mediante negozio giuridico di mero accertamento. La differenza tra abitrato rituale e arbitrato irrituale va ravvisata nel fatto che, nel primo, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nel secondo esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Ne consegue che ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria che enunci l’impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio tra le parti concluso e, quindi, come espressione della propria personale volontà, restando, di contro, irrilevanti sia la previsione della vincolatività della decisione, anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri, dato che pure l’arbitrato libero ammette tale modalità, in difetto di una contraria volontà delle parti, e sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l’arbitrato libero e il necessario rispetto anche in quest’ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento esistente tra il principio di cui all’art. 101 c.p.c. e gli artt. 2, 3 e 24 Cost. ed in consonanza con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. [ Continua ]