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L’ordine d’inibitoria stabilito nella sentenza di un giudice di un altro Stato membro dell’Unione Europea (Germania) non è dotato in sé di efficacia extraterritoriale rispetto ai fatti illeciti commessi in Italia. Infatti, il principio della territorialità degli effetti delle privative su diritti immateriali non titolati, quale riserva di sovranità dello Stato (com’è noto progressivamente erosa dalla disciplina sovranazionale sostanziale e processuale in materia di Marchio Comunitario -Reg. (CE) n. 207/2009- e di Modello Comunitario -Reg. (CE) n.6/2002- e, a breve, in materia di Brevetto Unico Europeo) sembra doversi ancora applicare in materia di segreti, per la quale una giurisdizione e un diritto sostanziale uniformi non esistono nello spazio europeo. Dunque ad oggi, ad esclusione dell’ipotesi del marchio comunitario e del modello comunitario, perché una sentenza di uno Stato Membro abbia efficacia extraterritoriale, il giudice che l’ha pronunciata deve essersi posto la questione della giurisdizione su fatti avvenuti fuori dal proprio Stato di appartenenza (e conseguentemente avere individuato i criteri di collegamento per radicare la propria giurisdizione anche per fatti fuori dal territorio nazionale). Questa interpretazione appare sorretta proprio dal nuovo dettato di cui all’art. 45 del Reg. (CE) n. 1215/2012, secondo il quale l’autorità dello Stato richiesto “è vincolata dall’accertamento dei fatti sul quale l’autorità giurisdizionale d’origine ha fondato la propria competenza”. Tuttavia, l’impossibilità di un nuovo riesame della questione sulla giurisdizione da parte del giudice ad quem (salvo le eccezioni di cui agli art. 34 e 35 del precedente Reg. (CE) n. 44/2001 corrispondenti all’art. 44 del nuovo Regolamento) opera sul presupposto che un controllo sulla giurisdizione sia stato compiuto dal giudice a quo, ossia dall’autorità che ha emesso il provvedimento dotato di efficacia transfrontaliera.
Cosicché, nell’ipotesi di marchio comunitario (secondo gli artt. 97 e 98 del Reg. (CE) 207/2009) e di modello comunitario (secondo gli artt. 82 e 83 del Reg. (CE) 6/2002) se la giurisdizione è fondata sul criterio di collegamento del forum rei, l’inibitoria deve ritenersi cross-border (art. 98 comma 1 del Reg. (CE) 207/2009; art. 83 comma 1 del Reg. (CE) 6/2002), mentre nel caso di giurisdizione fondata sul forum commissi delicti, essa è limitata al territorio dello Stato-Membro in cui il Tribunale ha sede (art. 98 comma 2 del Reg. (CE) 207/2009; art. 83 comma 2 del Reg. (CE) 6/2002). Negli altri casi, ivi inclusi i segreti industriali, la pronuncia- qualunque sia il criterio di giurisdizione applicato per avere efficacia transfrontaliera deve essere in ogni caso esplicitamente tale.
Secondo indirizzo pacifico, comunitario e nazionale gli effetti del giudicato vanno riguardati in base alle norme dello Stato d’origine (e dunque dell’ordinamento interno al quale appartiene il giudice a quo che ha adottato la sentenza) e non alle regole del giudizio dettate dell’ordinamento interno del giudice che deve recepirlo (ad quem).
Ai sensi dell’art. 2359 c.c., comma 1, numero 3 c.c. e secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza anche comunitaria in materia Antitrust, va ritenuta responsabile una società consorella, che pur non detenendo quote nel capitale sociale di quella che ha posto in essere l’illecito, eserciti comunque un’influenza determinante su di essa in virtù di vincoli economici e giuridici quali, appunto, la sussistenza di vincoli contrattuali .
I segni distintivi di fatto possono articolarsi in maniera separata, sicché è astrattamente possibile che un imprenditore abbia preusato il segno per la ditta-denominazione sociale, senza aver fatto uso dello stesso come marchio, per contraddistinguere merci prodotte o servizi forniti, onde la necessità, in caso di affermazione del possesso di un marchio di fatto, che colui il quale chieda di affermare il conseguimento di un proprio diritto fornisca, al riguardo, una prova completa sia della ditta-denominazione sociale sia di quello del segno in funzione di marchio (e della conseguente notorietà di esso), atteso che l’uso di fatto di un segno in funzione di ditta/denominazione sociale non ne comporta l'automatica e meccanica estensione in funzione di marchio e viceversa. [Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che la dicitura “il Dollaro”, originariamente soprannome dell'attore, abbia assunto nel corso del tempo valenza identificativa dell’attività commerciale esercitata dalla stesso, divenendo così un marchio di fatto, senza che assuma rilievo determinante, in senso contrario, l’assenza di un’insegna esterna che è stata apposta solo successivamente.]
[ Continua ]Per ritratto si intende un’opera dell’arte figurativa, una fotografia o anche il fotogramma di un film, ove appaiano riconoscibili le sembianze di una determinata persona, anche se l’immagine è soltanto parte di una raffigurazione più vasta e complessa. Coerentemente alla disciplina in materia di ritratto, si ritene illecita la divulgazione a fini pubblicitari dell’immagine di una persona nota senza il suo consenso, anche qualora la stessa immagine sia tratta da rappresentazioni (nel caso di specie, film) nelle quali la stessa ha prestato la propria opera, venendo in rilievo, nel caso di specie, non già lo sfruttamento delle opere cinematografiche nella loro interezza, bensì l’utilizzazione a fini pubblicitari/commerciali di singoli fotogrammi, del tutto avulsi dall’originario contesto per il quale era stata resa la prestazione artistica e con conseguente esclusivo rilievo dell’immagine in sé dell’artista.
La tutela dei diritti della personalità (al nome, all’immagine, all’identità personale) ed in particolare del diritto all’immagine-ritratto concorre necessariamente, ove la persona nota ritratta sia un interprete-attore cinematografico, con la tutela dei diritti di riproduzione e diffusione dell’opera cinematografica e della sequenza dei suoi fotogrammi, spettante al produttore, in via presuntiva, salvo prova contraria (di mancata cessione, da parte dell’artista, dei relativi diritti contestualmente alla stipula del contratto di produzione dell’opera cinematografica) ex art. 84 L.A.
Il diritto all’utilizzazione economica dell’opera originaria da parte del produttore e/o fotografo, non determina alcuna cessione del diritto allo sfruttamento dell’immagine degli attori che vi hanno partecipato e/o dei soggetti ritratti. Essi, infatti, salvo prova contraria, hanno prestato il loro consenso alla sola utilizzazione della propria interpretazione nell’opera cinematografica o alla messa in commercio della foto o del ritratto da parte del fotografo che ha ottenuto il loro consenso. Tale consenso, tuttavia, non si estende anche allo sfruttamento dell’immagine per ulteriori finalità commerciali e/o pubblicitarie con scopo di lucro. Essi pertanto (o i loro eredi) conservano il diritto di chiedere che sia inibita la pubblicazione, riproduzione o diffusione della propria immagine, su qualsiasi supporto e/o prodotto essa circoli, nonché di richiedere un risarcimento in ragione di tale abusiva circolazione. Peraltro, anche in assenza di precise limitazioni, siano queste espresse o desumibili dalle circostanze concrete, deve ritenersi operante il limite generale della prevedibilità dell’utilizzo dell’immagine, alla cui stregua non sono ammesse forme di divulgazione completamente avulse dal contesto nel quale le riproduzioni sono state eseguite e per finalità ultronee rispetto a quelle inizialmente prospettate.
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