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Rossana Leggieri

Rossana Leggieri

Avvocato presso Studio De Poli - Venezia; docente Cuoa; curatore speciale e custode per il Tribunale delle Imprese di Venezia

17 Novembre 2024

Eccezione di arbitrato e finanziamenti soci

Ai sensi dell’art. 808 quater cpc, nel dubbio, la convenzione d'arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto devoluta ad arbitrato irrituale una controversia relativa all'adempimento di scritture private aventi ad oggetto la regolazione tra i soci di finanziamenti erogati dagli stessi alla società (una s.r.l.)] La natura contrattuale dell'arbitrato irrituale rende l'eccezione di compromesso una questione di proponibilità della domanda attinente al merito della controversia e non pone invece un tema di competenza. [ Continua ]
14 Agosto 2024

Compromettibilità in arbitrato di impugnazione di delibere assembleari

L’indisponibilità del diritto conteso costituisce l’unico limite posto all’autonomia negoziale nella devoluzione agli arbitri della risoluzione delle controversie nascenti dal vincolo societario e previsto dall’art. 34, co. 1, d.lgs. 5/2003. L’area della non compromettibilità per le impugnazioni di delibere assembleari è ristretta all’assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili. Sono dunque compromettibili in arbitri anche tutte le impugnazioni per nullità delle delibere assembleari soggette a termini di decadenza, mentre è configurabile l’indisponibilità del diritto solo laddove l’impugnazione riguardi censure relative alla violazione di norme che trascendono l’interesse del socio in quanto tale, coinvolgendo invece interessi dell’intera collettività. La decisione sull'eccezione di arbitrato va resa con sentenza, posto che non si verte in materia di incompetenza territoriale e non trova quindi applicazione l'art. 38, co. 2, c.p.c. [ Continua ]
16 Agosto 2024

Morte dell’unico socio accomandatario

Se alla morte del de cuius è venuta meno la pluralità dei soci ex art. 2272, n. 4, c.c. (richiamato direttamente dall’art. 2308 c.c. e indirettamente dall’art. 2323 c.c.) e al contempo non vi sono più i soci accomandatari (art. 2323 .c.c.), queste due autonome fattispecie possono condurre ciascuna allo scioglimento della società in caso di mancata ricostituzione della pluralità dei soci entro il semestre successivo. In caso di concorso tra cause di scioglimento del singolo rapporto sociale e cause di scioglimento della società diverse da quella prevista dall’art. 2284 c.c., prevale quella verificatasi e perfezionatasi per prima. Le due disposizioni di cui agli artt. 2284 e 2272, n. 4, c.c. risultano compatibili, visto che la loro operatività si svolge su piani diversi e che ciascuna di esse conserva un proprio ambito applicativo.  Pertanto, anche in caso di morte del socio in una società costituita da due soli soci rimangono comunque attivabili tutte le opzioni previste dall’art. 2284 c.c. Ove i superstiti optino per lo scioglimento della società, su tale decisione gli eredi, o legatari, del de cuius non possono incidere, giacché la loro posizione non è quella di soci, non essendo subentrati in tale veste al de cuius, ma di meri creditori della quota di liquidazione del loro dante causa. In tale ipotesi, quindi, cessa immediatamente il diritto a vedersi liquidata la quota del proprio dante causa nell’arco dei sei mesi dalla sua morte, e al fine di conseguire il valore di detta quota essi dovranno necessariamente attendere la conclusione delle operazioni relative alla liquidazione della società. In tale sede gli eredi del socio defunto, unitamente ai soci superstiti, potranno partecipare alla divisione dell’eventuale attivo, quale residuerà dopo l’estinzione di tutte le passività sociali. Invero, il diritto alla liquidazione della quota rimane attratto nel più esteso ambito della liquidazione della società, prodotta da tale scioglimento, e nella relativa sede è tutelabile. Gli eredi non assumono tuttavia la qualità di soci della società in liquidazione, partecipando solo alla distribuzione dell’eventuale attivo e, dunque, per converso, non dovendo anticipare le spese di liquidazione. Il prezzo della compravendita è tale da determinare la carenza di causa del contratto solo laddove sia concordato un prezzo obiettivamente non serio o perché privo di valore reale e perciò meramente apparente e simbolico, o perché programmaticamente destinato nella comune intenzione delle parti a non essere pagato. Da ciò consegue che la pattuizione di un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato della cosa venduta, ma non del tutto privo di valore, può rilevare sotto il profilo dell'individuazione del reale intento negoziale delle parti e della effettiva configurazione e operatività della causa del contratto, ma non può determinare la nullità del medesimo per la mancanza di un requisito essenziale. [ Continua ]
31 Maggio 2024

Estinzione del giudizio con sentenza

Qualora la rinuncia agli atti del giudizio e la conseguente accettazione pervengano dopo la rimessione della causa al collegio per la decisione, il provvedimento che definisce il giudizio deve, quanto alla forma, essere reso con sentenza ex art. 307, co. 4, c.p.c. [ Continua ]
31 Maggio 2024

Esclusione del socio di cooperativa: interesse ad agire per l’accertamento della legittimità della delibera e riflessi sul rapporto contrattuale con la società

In termini generali l’interesse ad agire, costituendo una condizione per far valere il diritto sotteso mediante l'azione, si identifica nell'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice. In particolare, nell'azione di mero accertamento esso presuppone uno stato di incertezza oggettiva sull'esistenza di un rapporto giuridico, tale da arrecare all'interessato un pregiudizio concreto e attuale, che si sostanzia in un'illegittima situazione di fatto continuativa. L’interesse ad agire che connota l’azione di accertamento presuppone, dunque, la violazione del diritto vantato dall’attore mediante la contestazione del convenuto che minando la certezza della sua esistenza arreca concreto pregiudizio al suo titolare [Nel caso di specie, mancando ogni contestazione da parte del socio escluso, rimasto anche contumace nel giudizio, la domanda di accertamento della legittimità dell'esclusione del socio avanzata dalla società è stata dichiarata inammissibile]. Solo la risoluzione di diritto del rapporto contrattuale di locazione dell’alloggio che lega il socio alla cooperativa può giustificare la condanna del convenuto alla restituzione dell’abitazione e al pagamento dell’indennità di occupazione sino alla data dell’effettivo rilascio, e solo una specifica previsione contrattuale o statutaria può stabilire tra il rapporto sociale e il rapporto contrattuale espressione della finalità mutualistica una interdipendenza tale che dallo scioglimento dell’uno derivi anche di diritto lo scioglimento dell’altro. [ Continua ]
21 Marzo 2024

Effetti della violazione di una clausola di gradimento

L'interesse ad agire richiede non solo l'accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l'esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice, poiché il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per la parte, senza che sia precisato il risultato utile e concreto che essa intenda in tal modo conseguire. In particolare, poi, quanto alla legittimazione generale all'azione di nullità, prevista dall'art. 1421 c.c., quest’ultima non esime l'attore dal dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse, a norma dell'art. 100 c.p.c., non potendo tale azione essere esercitata per un fine collettivo di attuazione della legge. Il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese; altrimenti, sarebbe impossibile, per la controparte, controdedurre e, per lo stesso giudice, valutare le risultanze probatorie e i documenti ai fini della decisione. [ Continua ]
8 Marzo 2024

Amministratore di comodo e doveri gestori

L’amministratore di società, in forza della mera accettazione dell’incarico, è gravato dagli specifici obblighi contemplati dalla legge o dallo statuto nonché, dal generale dovere di esercitare le proprie funzioni con diligenza e in assenza di conflitto di interessi in vista del perseguimento dell’oggetto sociale. In particolare, l’accettazione del mandato gestorio comporta per l’amministratore l’obbligo di attivarsi affinché i beni e le risorse di pertinenza della società vengano destinati al perseguimento dei fini sociali e non siano in altro modo distratti o distolti. Pertanto, non esclude la responsabilità per mala gestio l’ aver assunto solo “formalmente” la carica di amministratore e di non aver, di fatto, gestito la società; ché, anzi, l’inerzia dell’amministratore di diritto e la circostanza che lo stesso, pur avendo accettato la carica di amministratore unico, abbia omesso le attività - anche di controllo - dovute in ragione della assunzione del mandato gestorio vale di per sé a fondare la responsabilità anche per eventuali sottrazioni o distrazioni di risorse sociali poste in essere da terzi senza l’opposizione del soggetto che, per legge, è gravato dal dovere di preservare l’integrità del patrimonio sociale e la destinazione dello stesso all’attività di impresa. Il cosiddetto amministratore di comodo (o “testa di legno”) non può mai invocare tale sua posizione (di non concreta attività di gestione) per essere ritenuto indenne da responsabilità conseguente ad atti di mala gestio compiuti o, comunque, non impediti dal medesimo. È amministratore di fatto chi, senza valido titolo – ad esempio, per nomina irregolare, per usurpazione dei poteri o per assenza di una formale investitura – gestisce, da solo o anche con l’amministratore formale, la società, esercitando con sistematicità e completezza un potere di fatto corrispondente a quello degli amministratori di diritto. [ Continua ]
7 Marzo 2024

Il bilancio può essere vero e corretto solo se redatto nell’osservanza delle disposizioni codicistiche

Ciò che rileva, al fine di verificare la compromettibilità o meno in arbitri della controversia, non è l’oggetto della delibera o la circostanza che la stessa coinvolga interessi individuali dei singoli soci ovvero interessi di carattere più generale, come quelli posti a tutela della società o della collettività dei soci. Invero, l'area dell'indisponibilità è più ristretta di quella degli interessi genericamente superindividuali e, pertanto, la natura sociale o collettiva dell'interesse non può valere ad escludere la deferibilità della controversia al giudizio degli arbitri, poiché la presenza di tale carattere denota soltanto che l'interesse è sottratto alla volontà individuale dei singoli soci, ma non implica che eguale conseguenza si determini anche rispetto alla volontà collettiva espressa dalla società (o da altro gruppo organizzato) secondo le regole della rispettiva organizzazione interna, la cui finalità è proprio quella di assicurare la realizzazione più soddisfacente dell'interesse comune dei partecipanti. Perché l'interesse possa essere qualificato come indisponibile è necessario che la sua protezione sia assicurata mediante la predisposizione di norme inderogabili, la cui violazione determina una reazione dell'ordinamento svincolata da una qualsiasi iniziativa di parte, come, ad esempio, nel caso delle norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio, la cui inosservanza rende la delibera di approvazione illecita e, quindi, nulla. La deliberazione di assemblea di società di capitali con la quale venga approvato un bilancio non chiaro, non veritiero o non corretto (o in violazione delle norme dettate dalle altre disposizioni in materia di bilancio, costituenti espressione dei medesimi precetti) è da ritenersi nulla per illiceità dell’oggetto (art. 2379 c.c.), essendo tali disposizioni poste a tutela di interessi che trascendono i limiti della compagine sociale e riguardano anche i terzi, del pari destinatari delle informazioni sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, che il bilancio deve fornire con chiarezza e precisione. In altri termini, un bilancio redatto in violazione dell’art. 2423, co. 2, c.c. è, di per sé, illecito e costituisce, quindi, l’oggetto illecito della deliberazione assembleare che lo abbia approvato; invero, il bilancio di una società di capitali deve considerarsi illecito tanto in ragione della divaricazione fra risultato effettivo dell’esercizio e quello di cui il bilancio dà contezza, quanto in tutti quei casi nei quali dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite con riguardo alle singole poste di cui è richiesta l’iscrizione. Con il principio della chiarezza si è voluto perseguire l’obiettivo di dare agli interessati (soci, terzi, mercato, ecc.) un’adeguata e intellegibile informazione sulla composizione del patrimonio sociale e non solo sui fattori positivi e negativi del reddito; per tale ragione si è ritenuto di imporre l’indicazione analitica delle poste e degli elementi che, complessivamente considerati, conducono ad enucleare il valore globale del patrimonio sociale e del risultato economico del periodo. Con i principi della verità e della correttezza il legislatore ha inteso far sì che il bilancio fornisca una rappresentazione corrispondente alla realtà tanto del risultato economico conseguito nel periodo di riferimento, quanto della consistenza e composizione del patrimonio sociale al termine dell’esercizio. In particolare, il principio di verità attiene sia al contenuto del bilancio, che alla valutazione degli elementi patrimoniali che in esso figurano. E così, sotto il primo profilo, un bilancio può ritenersi vero se comprende tutti o solo gli elementi che compongono il patrimonio dell’impresa alla data considerata, senza alcuna omissione di attività o passività reali o appostazione di attività e passività fittizie. La veridicità e la correttezza, nei termini innanzi indicati, possono e devono essere assicurate mediante l’esatta osservanza delle norme di dettaglio che indicano le voci rilevanti e le condizioni per la relativa appostazione. Ancor più marcato è, poi, il rilievo delle norme di dettaglio in rapporto alla verità e correttezza del bilancio, sotto il profilo della valutazione delle poste. Ed infatti, atteso che diversi possono essere i criteri di valutazione utilizzabili, la verità del bilancio, per i fini prescritti dalla disciplina civilistica, ricorre allorquando le diverse poste siano rappresentate nella stretta osservanza dei criteri di valutazione dettati dal codice civile. In definitiva, dunque, il bilancio può dirsi vero e corretto solo quando venga redatto nell’osservanza delle disposizioni codicistiche – completate ed integrate dai principi contabili – in tema di struttura, forma e contenuto del cennato documento contabile e di criteri di valutazione dei singoli elementi. [ Continua ]
5 Dicembre 2023

Responsabilità di amministratori e liquidatori di s.r.l. nei confronti dei creditori

Ai sensi dell'art. 2476, co. 6, c.c., gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l'inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell'integrità del patrimonio sociale e la relativa azione di responsabilità può essere esperita dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. Tale disposizione, al pari dell’art. 2394 c.c. in materia di s.p.a., attribuisce ai creditori sociali di s.r.l., quali soggetti terzi, la legittimazione ad agire nei confronti degli amministratori che, violando i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto, hanno pregiudicato l’integrità ed il valore del patrimonio sociale, impendendo, in tal modo, il soddisfacimento della loro legittima pretesa creditoria. La norma configura un’ipotesi speciale di responsabilità aquiliana che, secondo l’ordinario criterio di riparto dell’onere probatorio, addossa in capo ai creditori sociali che promuovono il giudizio di responsabilità l’onere di provare l'inosservanza da parte dell'amministratore degli obblighi inerenti la conservazione del patrimonio sociale, che tali inadempimenti sono dovuti a dolo o colpa e, infine, che hanno provocato l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti sociali. Una siffatta responsabilità, quindi, presuppone anzitutto il riscontro di un’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori che sia causalmente connessa all’inosservanza, da parte dell’amministratore, degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale. Ad analoga disciplina, inoltre, è soggetta la responsabilità del liquidatore a norma degli artt. 2489 ss. c.c., che può essere fatta valere anche dai creditori rimasti insoddisfatti a seguito della cancellazione della società (art. 2495 c.c.). Sussiste la responsabilità personale illimitata (extracontrattuale) dell’ex liquidatore nei confronti dei creditori sociali insoddisfatti qualora, dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, il terzo leso nei propri diritti creditori verso la società estinta dimostri in giudizio (i) la sussistenza del proprio credito, certo, liquido ed esigibile al tempo della liquidazione; (ii) il danno subìto per effetto del comportamento doloso/colposo dell’ex liquidatore che abbia omesso di effettuare una completa ricognizione dei crediti/debiti sociali esistenti al tempo della liquidazione, con conseguente omessa considerazione del credito che è stato pretermesso e/o nell’aver violato il principio della par condicio creditorum senza tenere in dovuto conto le legittime cause di prelazione oppure effettuando pagamenti preferenziali; nonché (iii) il nesso causale tra il danno lamentato e il comportamento doloso/colposo dell’ex liquidatore nei termini appena indicati. L’ex liquidatore chiamato in causa potrà fornire la prova liberatoria dimostrando che l’insussistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di massa attiva utile a soddisfare il creditore che lamenta la lesione del proprio diritto, non è dipesa da propri comportamenti omissivi/commissivi che abbiano cagionato la lesione della par condicio creditorum e/o pagamenti preferenziali e/o una incompleta ricognizione dei debiti/crediti sociali, di talché non potrà essere ritenuto personalmente responsabile verso il creditore sociale insoddisfatto. [ Continua ]
5 Dicembre 2023

Natura e caratteri del patto leonino

Il patto leonino ricorre allorché gli accordi finalizzati all’esclusione del socio dalle perdite e dagli utili siano stati stipulati dai soci con la società, mentre il patto avente identico contenuto e finalità, ove stipulato inter socios, non è riconducibile nell’alveo del predetto divieto in quanto esso non sarebbe opponibile alla società rimasta ad esso estranea, la quale, per ciò, continuerebbe ad imputare perdite ed utili alle proprie partecipazioni sociali in base agli ordinari criteri e principi, nel rispetto anche del divieto de quo. La ratio che informa il divieto del patto leonino di cui all'art. 2265 c.c., applicabile anche alle società di capitali, consiste nel preservare la purezza della causa societatis, evitando che un socio possa essere escluso dagli utili o dalle perdite; ipotesi questa che contrasta con l'interesse generale alla corretta amministrazione della società, inducendo il socio a disinteressarsi della proficua gestione della stessa, avendo comunque assicurato il guadagno o restando esonerato da ogni possibile perdita. Deve, quindi, trattarsi di un patto finalizzato alla regolamentazione degli assetti ed equilibri societari con conseguenti implicazioni anche di natura organizzativa/gestoria. Il patto leonino è ravvisabile solo in presenza di una esclusione totale e costante dalle perdite e dagli utili e solo quando questa non integri una funzione autonoma meritevole di tutela. L'esclusione dalle perdite o dagli utili, quale situazione assoluta e costante, deve cioè riverberarsi sullo status del socio. Infatti, perché il limite all'autonomia statutaria dell'art. 2265 c.c. sussista è necessario che l'esclusione dalle perdite o dagli utili costituisca una situazione assoluta e costante. Assoluta, perché il dettato normativo parla di esclusione "da ogni" partecipazione agli utili o alle perdite, per cui una partecipazione condizionata (ed alternativa rispetto all'esclusione in relazione al verificarsi, o non della condizione) esulerebbe dalla fattispecie preclusiva. Costante, perché riflette la posizione, lo status, del socio nella compagine sociale, quale delineata nel contratto di società. Detta esclusione deve finire per alterare la causa societaria nei rapporti con l'ente-società, che trasla, quanto al socio interessato da quell'esonero dalla condivisione dell'esito dell'impresa collettiva, da rapporto associativo a rapporto di scambio con l'ente stesso. Il patto parasociale, in forza del quale taluni soci si impegnano ad eseguire prestazioni a beneficio della società, integra la fattispecie del contratto a favore di terzo, ai sensi dell'art. 1411 c.c., del quale sono legittimati a pretendere l'adempimento sia la società, quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati a che l'obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte. Una domanda avente ad oggetto l’adempimento di obbligazioni nascenti da patti parasociali coinvolgenti società di capitali, e diretti, in generale, a disciplinare, inter alia, profili di natura organizzativa e gestoria della società partecipata, la circolazione delle relative partecipazioni e, quindi, l’assetto e la struttura della compagine sociale, nonché,  a dotare quest’ultima delle necessarie risorse finanziarie, introduce una controversia, oggettivamente e soggettivamente, riconducibile a quelle per le quali la competenza è, ope legis, riservata, in via esclusiva funzionale ed inderogabile, ratione materiae, alle sezioni specializzate in materia di impresa, in virtù del disposto di cui all’art. 3, lett. c, d.lgs. n. 168/2003, il quale, tra le controversie attribuite alla competenza funzionale ed inderogabile delle sezioni specializzate in materia di impresa, include espressamente quelle “in materia di patti parasociali”. [ Continua ]