hai cercato per: silvia.cerrato
13 Settembre 2024

Estensione della competenza della sezione impresa a controversie connesse con l’uso indebito del nome

Rientrano nella competenza della Sezione Specializzata Impresa anche le materie che, come l’uso indebito del nome ai sensi dell’art 7 c.c., presentano ragioni di connessione, anche impropria, con quelle di competenza delle sezioni specializzate ai sensi dell’art 134 c.p.i. Ai sensi dell’art. 7 c.c. “la persona ... che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni”, onde il titolare di un nome (prenome e/o cognome) può impedirne qualsiasi uso indebito, intendendosi per “indebito” non solo il vero e proprio uso usurpativo del nome altrui a fini di identificazione personale – idoneo come tale a creare confusione con altri soggetti –, ma anche ogni altro impiego del nome che possa recare pregiudizio all’identità, intesa estensivamente come il riflesso esteriore della complessiva personalità di un soggetto, come nel caso in cui la lesione del diritto alla corretta identificazione di un soggetto agli occhi della collettività avvenga con l’attribuzione al soggetto di atti, dichiarazioni, iniziative e attività – anche in ambito e per finalità commerciali – cui egli sia totalmente estraneo. In un’operazione di fusione, secondo la stessa logica per cui la società incorporante non acquisisce la denominazione sociale dell’incorporata – che è elemento identificativo di un soggetto che non esiste più e non un “bene” del patrimonio aziendale che viene acquisito per effetto della vicenda riorganizzativa della fusione – allo stesso modo, ai sensi dell’art. 7 c.c., non potrà usare il nome di un socio defunto, senza il consenso degli eredi, qualora questi abbiano acconsentito all’inclusione del medesimo solo in relazione alla società incorporata di cui era amministratore. Ciò in ragione del fatto che sussiste la mera possibilità per gli eredi di subire un pregiudizio nel vedersi attribuire un’attività a cui sono totalmente estranei o, addirittura, concorrenti. L’avvalersi del cognome di un soggetto noto nella comunità locale, in particolare associato a un’attività storica e ben radicata nel territorio, costituisce violazione delle norme sui segni distintivi dell’impresa qualora tale uso avvenga senza il consenso degli eredi e sia finalizzato a trarre vantaggio dalla notorietà del nome per attrarre clientela. La modifica della denominazione sociale e dell'insegna aziendale, introducendo tale cognome in un contesto commerciale concorrente, configura altresì atto di concorrenza sleale qualora induca il pubblico a confondere le due attività imprenditoriali e a far erroneamente ricondurre a sé il prestigio accumulato dalla precedente gestione familiare. Nelle operazioni di fusione tra due società, entrambe aventi come denominazione sociale il nome e cognome dei rispettivi soci fondatori, il diritto della società incorporante di cambiare la propria denominazione sociale con quella della società incorporata – possibile solo se sia stato manifestato consenso espresso a che ciò avvenga –  si reputa inequivocabilmente rinunciato se la società incorporante non adotti tempestivamente, rispetto all’evento fusione, le procedure interne necessarie a mutare la propria denominazione. Qualora due società di capitali abbiano come denominazione lo stesso cognome, ai sensi dell’art.2564 c.c. il conflitto tra i segni distintivi deve essere risolto attribuendo prevalenza all’iscrizione nel registro delle imprese che è intervenuta per prima, non essendo rilevante che una delle due società abbia incorporato tramite fusione altra società avente il medesimo cognome nella denominazione, in quanto questa, per mezzo della fusione, ha cessato di esistere insieme al proprio nome. [ Continua ]
4 Aprile 2025

Fideiussioni omnibus successive al 2005: onere della prova dell’illecito anticoncorrenziale in capo al fideiussore

La produzione in giudizio del provvedimento della Banca d’Italia n. 55/2005 non fornisce di per sé prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza quando la stipulazione della garanzia fideiussoria omnibus è intervenuta successivamente al provvedimento stesso, relativo a una fase temporale conclusasi nel maggio del 2005. Pertanto, la vicenda contrattuale dà origine ad un giudizio c.d. "stand alone", nel quale la parte che intende far valere la nullità delle clausole di rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., di reviviscenza e di sopravvivenza, chiamata a dar prova dei fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi – come nelle c.d. "follow on actions" – dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente a vigilare sulla conservazione dell’assetto concorrenziale del mercato, e ciò perché un simile accertamento manca del tutto o comunque riguarda un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale che avrebbe leso la sfera giuridica del fideiussore. Pertanto, l’inquadramento della controversia tra le cause "stand alone" fa sì che l'attore sia onerato dell’allegazione e dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, tra i quali rientra quello della perdurante esistenza di un’intesa illecita all’epoca della sottoscrizione del contratto di fideiussione per cui è causa.   La legge antitrust n. 287 del 1990 detta norme, segnatamente l'art. 2, a tutela della libertà di concorrenza, aventi come destinatario qualunque soggetto del mercato che abbia un interesse processualmente rilevante alla conservazione del suo carattere competitivo, al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un'intesa vietata. In tale prospettiva chiunque, a prescindere dalla qualità rivestita, può ritenersi vittima dell’illecito anticoncorrenziale e far valere quindi la nullità del contratto. [ Continua ]