hai cercato per: Teodoro Marena
Teodoro Marena

Teodoro Marena

Studio Legale Marena

Avvocato del Foro di Avellino, sin dall'inizio della sua carriera professionale si è occupato di diritto commerciale, in particolar modo di diritto societario, fallimentare e bancario. E', inoltre, autore di numerosi articoli e monografie in materia di diritto commerciale e bancario su riviste di interesse nazionale. Infine, presso il Tribunale di Avellino, riveste il ruolo sia di curatore fallimentare sia di custode giudiziario.

Il concetto giuridico di creatività in tema di violazione del diritto d’autore di un’opera figurativa

In tema di diritto d'autore, il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento la norma ex art. 1 della legge n. 633 del 1941, non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un'oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell'art. 1 della Legge citata, di modo che un'opera dell'ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l'opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia. [ Continua ]
5 Ottobre 2022

Considerazioni processuali sull’istanza di limitazione ex art. 79, III comma, c.p.i.

In tema di istanza di limitazione, la disposizione prevista dall'art. 79, III comma, c.p.i., secondo cui "in un giudizio di nullità, il titolare del brevetto ha la facoltà di sottoporre al giudice, in ogni stato e grado del giudizio, una riformulazione delle rivendicazioni che rimanga entro i limiti della domanda di brevetto quale inizialmente depositata e non estenda la protezione conferita dal brevetto concesso", deve formare oggetto di un'interpretazione costituzionalmente orientata, alla luce dei principi del giusto processo e della ragionevole durata dello stesso, ex art. 111, comma 1, Cost.. In tal senso la formulazione della limitazione non può ritenersi compatibile con tali principi e deve, quindi, essere dichiarata inammissibile, quando richieda il regresso della causa alla fase istruttoria, ormai chiusa con la fissazione di udienza di precisazione delle conclusioni. Oltre a ciò, la possibilità di riformulare le rivendicazioni deve essere esercitata, dal titolare del brevetto, attraverso il deposito di un'istanza contenente una riformulazione precisa e priva di ambiguità, da valutarsi con il dovuto rigore formale, sia in quanto comporta una disposizione del diritto di contesa, sia a tutela dei diritti dei terzi. [ Continua ]
25 Aprile 2023

Invocabilità della nullità ex art. 2358 c.c.

La nullità negoziale ex art. 2358 c.c. richiede la prova che il finanziamento sia stato destinato all’acquisto azionario: ai fini dell’invocabilità della norma, è dunque necessario dare prova dell’esistenza di una correlazione significativa tra il finanziamento erogato e l’acquisto delle azioni. [ Continua ]
8 Febbraio 2022

La responsabilità degli amministratori e del socio per illegittima prosecuzione dell’impresa

Desumere la responsabilità del socio, ai sensi dell'art. 2476, comma VIII, codice civile dal compimento di atti propri della qualità di socio (come l'approvazione del bilancio o l'onere di ricapitalizzazione) ovvero apoditticamente dalla qualità di socio unico costituirebbe un sostanziale svuotamento di significato della specifica intenzionalità della condotta e del danno, richiesti dall'articolo citato. Ai fini della sussistenza della responsabilità degli amministratori per prosecuzione illegittima dell'impresa e della relativa quantificazione del danno, è proprio l'attività funzionale alla medesima prosecuzione che costituisce voce di danno. Detto in altri termini, e la motivazione vale per qualsiasi altra voce che vada ad incidere sui costi, aumentandoli: tutte le perdite incrementali che attengono maggiori valori del patrimonio netto negativo sono voci di danno imputabili all'amministratore laddove tale criterio sia individuato per la quantificazione del danno da illegittima prosecuzione dell'impresa. [ Continua ]
12 Maggio 2022

Sull’effetto estintivo conseguente alla cancellazione delle società di persone

In tema di cancellazione di società di persone, le Sezioni Unite della Suprema Corte, nel 2010 e successivamente sempre ribadito, hanno statuito che una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2495 c.c., dettato in tema di società di capitali, impone di ritenere che l'effetto estintivo alla cancellazione di una società si produca anche in relazione alle società di persone. Pur sottolineando la natura dichiarativa della cancellazione, la Suprema Corte ha così stabilito che il venir meno della pur limitata capacità e soggettività di tali tipi di società permette di rendere opponibile ai terzi detto evento contestualmente alla pubblicità, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali (Cass. Sez. Un. n. 4060/2010; Cass. 26196/2018). In secondo luogo, il Giudice di legittimità ha evidenziato la diversità del comportamento del legislatore in materia di rapporti non esauriti al momento dello scioglimento della società, avendo disciplinato espressamente la sorte dei rapporti passivi originariamente facenti capo alla società estinta e non avendo previsto alcuna regolamentazione dei rapporti attivi. In particolare, quanto ai debiti, proprio in materia di società in nome collettivo, la Corte ha richiamato l'art. 2312 c.c. che consente ai creditori insoddisfatti di agire nei confronti dei soci, con una meccanismo di tipo successorio secondo cui i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, facendo emergere il sostrato personale che è alla base della società (Cass. sez. un. 2013/6070). Quanto ai rapporti attivi facenti capo all'ente disciolto, dopo aver osservato la maggior difficoltà di una soluzione in assenza di una normativa specifica, la Cassazione ha descritto le diverse ipotesi configurabili al momento dello scioglimento volontario dell'ente collettivo. Essa ha così distinto le pendenze non definite, qualificabili come mere pretese a cui, ancorché azionate o azionabili in giudizio, ancora non corrisponda la possibilità di individuare con sicurezza nel patrimonio sociale un diritto o un bene definito o relative ad un diritto di credito contestato o illiquido, dall'ipotesi dei beni o dei diritti che, se fossero stati conosciuti o non trascurati al tempo dello scioglimento della liquidazione, in quel bilancio avrebbero dovuto senz'altro figurare e sarebbero perciò stati suscettibili di ripartizione tra i soci. [ Continua ]
8 Febbraio 2022

La tutela giuridica del marchio

L'uso indebito del marchio e l'aver posto in essere atti di concorrenza sleale con conseguente sviamento della clientela sono ipotesi di illeciti civili di sé diversi in quanto il primo presuppone la prova della esistenza del marchio protetto oltre l'esistenza di atti consistenti nel suo indebito uso, mentre il secondo comporta esclusivamente la prova di atti concretamente idonei allo sviamento della clientela di altrui ditta, che prescindono dall'esistenza di un marchio registrato o di fatto di quest'ultima e dall'uso indebito di esso. La molteplicità di elementi che integrano la tutela del marchio di fatto deve essere oggetto di prova da parte di colui che invoca la tutela. Questi in particolare dovrà, dunque, fornire la prova in primo luogo dell'uso del segno e la conseguente notorietà qualificata, il relativo riferimento merceologico e l'estensione della ambito territoriale: ciò anche attraverso una serie di indici quali ad esempio la rilevanza quantitativa del prodotto o del servizio, la durata di questa presenza, il suo ambito territoriale, la pubblicità cui il prodotto o il servizio siano stati fatti oggetto, il tutto parametrato alla originaria forza o debolezza del segno. [ Continua ]
19 Maggio 2022

I presupposti per la sussistenza della “evocazione” della denominazione protetta

Con riguardo al concetto di "evocazione", la Corte di Giustizia lo ritiene sussistente nel caso in cui il termine utilizzato incorpori una parte della denominazione protetta di modo che il consumatore sia indotto ad aver in mente, come immagine di riferimento, la merce che fruisce della denominazione protetta nonché in presenza di analogie fonetiche, visive e concettuali tra le denominazioni in un contesto in cui i prodotti siano simili nel loro aspetto esterno (decisione del 4 marzo 1999, causa C-87/97). L'evocazione viene avvalorata, altresì, ogni qualvolta sussista una similarità visiva [nella grafica delle etichette contestate e quelle del prodotto registrato] in presenza di prodotti di apparenza analoga [entrambi riposti in buste di rete]. [ Continua ]
24 Gennaio 2023

La quantificazione del danno derivato dall’illecita prosecuzione dell’attività

In applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità degli amministratori e recepiti dal nuovo codice della crisi, al fine di imputare all’amministratore colpevole il danno effettivamente derivato dall’illecita prosecuzione dell’attività, occorrerà confrontare i bilanci – vale a dire quello relativo al momento in cui si è realmente verificata la causa di scioglimento e quello della messa in liquidazione (ovvero in mancanza del fallimento) – dopo avere effettuato non solo le rettifiche volte a elidere le conseguenze della violazione dei criteri di redazione degli stessi ma pure, quelle derivanti dalla necessità di porsi nella prospettiva della liquidazione, visto che proprio alla liquidazione, se si fosse agito nel rispetto delle regole, si sarebbe dovuti giungere. [ Continua ]

Profili probatori nell’impugnativa della delibera di aumento di capitale per abuso della maggioranza

In tema di onere della prova nel caso di impugnativa della delibera di aumento di capitale per abuso della maggioranza, la giurisprudenza ritiene che - pur non risultando decisiva - assume una fondamentale importanza la difficoltà economica del socio a sottoscrivere detto aumento di capitale. In tale ipotesi, potrebbe essere dichiarata l'invalidità della delibera, qualora i soci di maggioranza fossero a conoscenza della situazione di difficoltà del socio di reperire i mezzi necessari per procedere alla sottoscrizione. Prospettandosi tale circostanza, si può ritenere che la decisione della maggioranza di aumentare il capitale avesse come obiettivo quello di pregiudicare il socio di minoranza, così pervenendo ad una pronuncia di invalidità. Ai fini dell'annullamento di una delibera di aumento di capitale a pagamento perché ritenuta finalizzata esclusivamente alla riduzione proporzionale del peso della partecipazione del socio ricorrente, approfittando consapevolmente della sua difficoltà che non gli consentiva la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, il socio impugnante deve dimostrare: - il fatto che, al momento della delibera, egli si trovava in una situazione di illiquidità tale da determinare una sproporzione rilevante tra la propria situazione finanziaria e l'importo di capitale da sottoscrivere; - la consapevolezza che di tale condizione i soci i cui voti sono risultati determinati per l'approvazione della delibera; - l'assenza di ragioni oggettive in grado di giustificare l'aumento di capitale nell'interesse della società (Trib. Bologna del 09.07.2009; Trib. Torino del 05.11.2015). [ Continua ]

Profili sostanziali sull’invalidità delle delibere assembleari per abuso di potere di maggioranza

La figura dell'abuso del potere di maggioranza non trova diretto fondamento nella legge, ma ha origini di matrice giurisprudenziale. Tale profilo di invalidità è considerato integrato laddove la delibera risulti arbitrariamente e fraudolentemente volta al perseguimento di interessi divergenti da quelli societari, ovvero preordinata alla lesione degli interessi dei soci di minoranza. Così delineata, è l'unica ipotesi in cui al giudice è concesso un esame del merito della delibera societaria, andando oltre un controllo di mera legalità formale. In tali ipotesi formalmente non vi è violazione di alcuna disposizione di legge o di atto costitutivo, ma il principio di maggioranza, usato per l'approvazione delle delibere societarie, viene strumentalizzato a danno degli interessi della minoranza assembleare. Orientamento ormai consolidato sostiene che l'abuso di potere costituisca una violazione della clausola generale di correttezza e buona fede contrattuale nell'esecuzione del contratto sociale, che trova fondamento negli artt. 1175 e 1375 c.c., sull'assunto che le delibere assembleari costituiscono fondamentali momenti esecutivi del contratto di società. Tali norme impongono che i soci informino il proprio operato ai suddetti principi, imponendo un impegno di cooperazione in base al quale ciascun socio deve tenere condotte "idonee a soddisfare le legittime aspettative degli altri membri della compagine societaria" (Cass. 11 giugno 2003, n. 9353) In sostanza, una delibera può definirsi invalida per abuso del potere di maggioranza quando essa non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società, o perché tesa al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico con quello sociale, oppure perché espressione di un'attività fraudolenta dei soci di maggioranza preordinata a ledere i diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza. Tali requisiti evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa. In tema di onere della prova, il socio che assume l'illegittimità della deliberazione per abuso della maggioranza sarà tenuto a provare che la maggioranza, attraverso il deliberato impugnato, abbia perseguito interessi extrasociali, ovvero che questi interessi erano finalizzati a danneggiare la minoranza. Soprattutto sarà onere della parte impugnante dimostrare che alla base della decisione della maggioranza non vi fosse alcun interesse sociale e che alcun vantaggio per la società possa derivarne. [ Continua ]