hai cercato per: Vincenzo Roberto Palmisano
10 Dicembre 2023

Impugnazione di delibere assembleari e sopravvenuta liquidazione coatta amministrativa

Nei giudizi di impugnazione delle deliberazioni assembleari di società, il sopravvenuto fallimento di quest'ultima, comporta il venir meno dell'interesse ad agire per ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato, quando l'istante non deduca argomenti e dimostri il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare. Una volta sopravvenuta la dichiarazione di liquidazione coatta della società, la legittimazione all’esercizio dell’azione di responsabilità spetta in via esclusiva al commissario liquidatore, previa autorizzazione dell'autorità che vigila sulla liquidazione, venendo in essa assorbita quella già di spettanza dei soci. [ Continua ]
31 Marzo 2023

I limiti di applicabilità dell’art. 2497 c.c. agli enti pubblici

L’art. 2497 c.c. delinea il proprio ambito di applicazione soggettiva individuando, al primo comma, quali destinatari della disciplina ivi contenuta le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento. La locuzione “società ed altri enti” non comporta alcuna possibilità di escludere, dall’ambito applicativo della normativa, gli enti pubblici. La portata applicativa dell’art. 2497 c.c. in relazione alle società partecipate dagli enti locali ha avuto un chiarimento da una disposizione di interpretaizone autentica, contenuta nell’art. 19, co. 6, d.l. 78/2009, convertito nella l. 102/2009. In base a questo dato legislativo, il primo comma dell’art. 2497 c.c. si interpreta nel senso che per enti si intendono i soggetti giuridici collettivi, diversi dallo Stato, che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale, ovvero per finalità di natura economica o finanziaria. Le società detenute dagli enti locali, ai sensi dell’art. 3, co. 27 ss., l. 244/2007, devono unicamente: prestare servizi di interesse generale nei limiti di competenza dell’ente locale socio; svolgere servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente locale socio, la cui disciplina di riferimento è l’art. 13 d.l. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006. Sulla base di tale distinzione, è possibile ripartire la partecipazioni comunali in due categorie: (a) le società che gestiscono servizi di interesse generale e svolgono attività d’impresa; (b) le società che prestano servizi o attività strumentali per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente locale socio e non svolgono attività d’impresa, ma funzioni amministrative (cc.dd. società semi-amministrazioni). Pertanto, qualora l’ente locale detenga partecipazioni di categoria (a) l’ente locale medesimo e la sua partecipata sono sottoposti alla disciplina degli artt. 2497 ss. c.c. al pari di ogni altro socio “privato” che esercita attività di direzione e coordinamento sulle proprie controllate; qualora, invece, l’ente locale detenga partecipazioni di categoria (b), tali disposizioni non si applicano. Gli enti soggetti a responsabilità ex art. 2497 c.c. sono quelli che detengono la partecipazione sociale nell’ambito della propria attività imprenditoriale ovvero per finalità di natura economica o finanziaria. Dalla lettura della norma può affermarsi che l’interesse imprenditoriale, quale criterio per individuare i soggetti attivi dell’attività di direzione e coordinamento di società, è riscontrabile in capo agli enti pubblici (in linea generale chiamati ad agire in vista di finalità di interesse generale, in astratto incompatibili con la funzione di holding di chi dirige e coordina con la sottesa funzione imprenditoriale) che esercitano, per il tramite di una o più società, l’attività di produzione di beni o servizi secondo un criterio di obiettiva economicità: così inteso, l’interesse patrimoniale può addirsi (oltre agli enti pubblici economici) anche agli enti pubblici locali le cui attività (definibili) economiche sono dirette a realizzare pubbliche finalità. Un simile interesse non è invece ravvisabile nei confronti dello Stato, in quanto portatore di un interesse politico attinente al governo dell’economia, né degli altri enti pubblici che agiscono secondo criteri di pura erogazione (cc.dd. enti pubblici di protezione sociale). Più in particolare, tale interesse potrebbe ravvisarsi laddove l’ente pubblico partecipi in società che erogano servizi pubblici di rilevanza economica (quali, a titolo esemplificativo, i servizi di distribuzione di energia elettrica) e non anche qualora l’ente partecipi in società che erogano servizi pubblici privi di rilevanza economica. In maniera sostanzialmente analoga, nell’ambito di applicazione dell’art. 2497 c.c. dovrebbero rientrare gli enti pubblici territoriali detentori di partecipazioni in società che erogano servizi rivolti al pubblico in regime di concorrenza, restandone esclusi gli enti pubblici territoriali esercenti attività amministrativa strumentale a favore degli enti medesimi (cc.dd. società semi-amministrazioni). È, quindi, la natura imprenditoriale dell’attività espletata dalla società controllata che è dirimente ai fini dell’applicazione, all’ente controllante, della responsabilità ex art. 2497 c.c., ma tale natura imprenditoriale non ricorre allorquando la controllata sia una società meramente strumentale. L’ente in posizione di controllo contro il quale si agisce, per essere ritenuto responsabile, deve essere portatore di un interesse di impresa che va qualificato come detenzione di partecipazione societaria per svolgere attività imprenditoriale, ovvero per finalità economiche o finanziarie, cioè deve perseguire finalità latu sensu lucrative. [ Continua ]
27 Maggio 2023

Maturazione di oneri consortili successivamente alla dichiarazione di fallimento

Con l'apertura del fallimento di una società consortile - tranne che nell'ipotesi di esercizio provvisorio dell'impresa - cessano le attività mutualistiche connesse alla funzione consortile, con la conseguenza che le spese sostenute dal fallimento per la conservazione e la manutenzione di proprietà immobiliari sono funzionali a preservare un valore presente nell'attivo fallimentare nell'esclusivo interesse dei creditori della società fallita. Pertanto, i consorziati non sono ulteriormente tenuti al pagamento degli oneri consortili. E' legittima la clausola presente nello statuto di società consortile a responsabilità limitata che obblighi i soci al versamento di contributi in denaro la cui entità sia commisurata al totale delle perdite della gestione mutualistica in base ad un criterio oggettivo di partecipazione. [ Continua ]
20 Marzo 2023

Sul sindacato delle scelte di gestione degli amministratori

L'insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali di gestione non è assoluta. Sotto il profilo della relativa legittimità rileva, infatti, il modo con cui le scelte sono state assunte ed attuate, ossia il percorso decisionale che ha portato a preferire una determinata scelta, rispetto ad un'altra. Spetta al giudice ripercorrere il procedimento decisionale, onde verificare che la decisione degli amministratori sia stata coerente e congrua rispetto alle informazioni da questi raccolte e valutare l'eventuale violazione del dovere di diligenza in relazione ai normali criteri che dovrebbero ispirare l'operatore economico, ossia: liceità, razionalità, congruità, attenzione. Sotto il profilo della ragionevolezza della scelta e della prevedibilità dei risultati, gli amministratori devono poi ritenersi responsabili nei confronti della società quando le decisioni assunte non siano in alcun modo idonee a realizzare l'interesse della società, in quanto avventate o irrazionali, tali da permettere agli amministratori di prevedere l'erroneità dell'operazione compiuta. In conclusione, gli amministratori andranno esenti da responsabilità nel caso in cui provino di aver in buona fede raggiunto una decisione adeguatamente informata, ragionevole e in assenza di un interesse in conflitto con quello della società e di aver seguito le cautele e svolto le verifiche che si imponevano nel singolo caso. [ Continua ]
18 Marzo 2023

Cessazione della materia del contendere

Se nel corso del giudizio la parte convenuta, oltre a non contestare alcuno degli inadempimenti riportati dall'attrice, abbia ammesso l'esistenza del diritto fatto valere dall'attore, ciò non legittima l’eccezione di parte convenuta, riproposta anche in sede di comparsa conclusionale, secondo cui la domanda deve essere dichiarata inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse dell’attore. Infatti, non è da ritenersi sufficiente una mera dichiarazione di disponibilità a rendere non attuale l’interesse ad agire dell’attore nel presente giudizio, essendo al contrario necessario che il bene giuridico che costituisce il petitum dell’azione, si realizzi compiutamente. [ Continua ]
10 Aprile 2024

Ambito di applicazione dell’art. 2560, co. 2, c.c. sui debiti relativi all’azienda

Al termine dell'affitto d'azienda, l'affittante risponde in solido con l'affittuario delle obbligazioni assunte da quest'ultimo durante l'affitto, dovendosi pur in tal caso applicare l’art. 2560, co. 2, c.c., secondo una lettura della norma che trova indiretta conferma nell’art. 104 bis, co. 6, l.fall., il quale stabilisce oggi che la retrocessione al fallimento di aziende o rami di aziende non comporta la responsabilità della procedura per i debiti maturati sino alla retrocessione, in deroga a quanto previsto dagli artt. 2112 e 2560 c.c.: il che significa che, pur nell'ipotesi di affitto di azienda attuato nell'ambito della procedura concorsuale, in mancanza di detta norma di contenuto derogatorio, si applicherebbe l'art. 2560 c.c., che determinerebbe, all'esito della retrocessione dell'azienda affittata, la responsabilità della procedura per i debiti sorti a carico dell'affittuario. Il rigore dell’art. 2560, co. 2, c.c., per il quale l’acquirente dell’azienda non risponde dei debiti contratti dall’alienante, se non risultano dalle scritture contabili obbligatorie, cessa di essere applicabile nel caso limite dell’identità soggettiva – sostanziale, se non formale – tra alienante e acquirente, la quale è significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri, estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare nell'azienda, sottesa all’art. 2560 c.c., come nel caso di un conferimento dell'azienda di un'impresa individuale in una società unipersonale. [ Continua ]
11 Dicembre 2023

Azione di responsabilità dell’amministratore di s.r.l. e onere della prova

In tema di azione di responsabilità promossa contro gli amministratori di una società di capitali, ove i comportamenti che si assumono illeciti non siano in sé vietati dalla legge o dallo statuto, l'onere della prova gravante sulla parte attrice non si esaurisce nel dimostrare che l'amministratore abbia posto in essere le condotte produttive del danno, ma anche che in questo modo siano stati violati i suoi doveri di lealtà o di diligenza, spettando poi all'amministratore allegare e provare i fatti idonei ad escludere o ad attenuare la sua responsabilità. L'azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l'attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l'onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi imposti. [ Continua ]
28 Gennaio 2023

Presupposti di legittimità della delibera di esclusione di un socio di società cooperativa

L’esclusione del socio dalla cooperativa consiste nello scioglimento particolare del vincolo sociale per decisione unilaterale della società ed è consentita soltanto in peculiari circostanze e, in via di principio, unicamente in presenza di un inadempimento del socio, ovvero quando la sua partecipazione sia incompatibile, inutile o dannosa con il perseguimento del fine sociale. Nelle società cooperative, il fondamento dell’esclusione è legato alle finalità mutualistiche della società. L’esclusione di un socio da una società cooperativa può essere disposta, ai sensi dell’art. 2533, co. 1, n. 1, c.c. nei casi previsti dall’atto costitutivo. Ai soci è quindi consentito prevedere, statutariamente, ulteriori fattispecie di estromissione oltre quelle previste nel medesimo art. 2533 c.c. Le cause di origine convenzionale, peraltro, devono essere indicate in modo tassativo e non generico al fine di evitare la concentrazione, in subiecta materia, di un’eccessiva discrezionalità in capo all’organo amministrativo. Così, la clausola statutaria che dispone l’esclusione del socio il quale, in qualunque modo, arrechi danno materiale o morale alla cooperativa e fomenti in seno ad essa dissidi e disordini è nulla, per contrasto con l’art. 1346 c.c. È ammessa la previsione in forma sintetica delle clausole relative all’estromissione dei soci solo nell’ipotesi in cui sia riferita a fatti comunque determinati, quali attività concorrenziali o ripetuta assenza alla riunioni assembleari. Qualora i motivi di esclusione siano indicati in categorie sintetiche sarà il giudice, eventualmente adito in sede di opposizione, a dover valutare la coincidenza tra l’evento contestato e la categoria ipotizzata, apprezzando la rilevanza dell’interesse sociale ritenuto leso. Sono invalide le clausole che, per la loro assoluta genericità, impediscono in concreto di verificare la sussistenza in concreto degli addebiti anche al fine di scongiurare una discrezionalità dell’organo amministrativo tanto ampia da sconfinare nell’arbitrarietà. Il medesimo art. 2533, co. 1, n. 2, c.c. individua una causa generica di esclusione consistente nelle “gravi inadempienze”, vale a dire nell’inadempimento, appunto grave, del socio agli obblighi derivanti dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico. Detta fattispecie integra un’ipotesi di risoluzione per inadempimento e deve pertanto considerarsi legittima soltanto laddove il mancato adempimento non rivesta scarsa importanza, nel senso che sia tale da impedire o rendere più gravoso il perseguimento del fine sociale e sia comunque imputabile a un comportamento doloso o colposo del socio, a nulla rilevando l’eventualità di un danno effettivamente arrecato alla società. La gravità dell’inadempimento deve essere valutata avendo riguardo alla qualità del socio, di tal che non rilevano le violazioni di obblighi di natura personale, salvo espressa previsione statutaria in tal senso. Ai fini dell’esclusione di un socio da una società cooperativa per inadempimento configurano requisiti necessari sia la colposità del detto inadempimento sia la gravità del medesimo, da riscontrarsi in relazione al pregiudizio arrecato al perseguimento dello scopo sociale. Fra i comportamenti idonei a giustificare l’esclusione del socio di una cooperativa di capitali, con particolare riguardo alla figura del socius rixosus, può assumere rilevanza l’esercizio dei diritti sociali, qualora volutamente ostruzionistica e ostile verso la società. Tale non è invece il diritto di proporre querela a tutela del proprio onore e reputazione, siccome esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, inidoneo a incidere sul vincolo fiduciario tra socio e cooperativa. Per giudicare in merito alla legittimità dell’esclusione del socio deve verificarsi non solo l’effettiva ricorrenza della causa di esclusione sottesa al provvedimento di estromissione impugnato e la sua riconducibilità fra quelle previste dalla legge ovvero dallo statuto, ma anche la congruità della motivazione adottata a sostegno della ritenuta gravità, restando preclusa soltanto l’indagine sull’opportunità del provvedimento. Occore compiere un’analisi volta ad accertare la sussitenza dei fatti contestati e la corrispondenza tra gli stessi e i casi in cui la legge o l’atto costitutivo consentono l’estromissione, compresa la valutazione in merito alla gravità dell’inadempimento e all’incidenza della condotta del socio escludendo sul rapporto sociale, a nulla rilevando le intenzioni del socio escluso. [ Continua ]
13 Novembre 2022

Compromettibilità in arbitrato di controversie afferenti l’impugnazione di delibere assembleari

Secondo la consolidata giurisprudenza della Suprema Corte le controversie in materia societaria possono formare oggetto di compromesso, con esclusione di quelle che hanno ad oggetto interessi della società o che concernono la violazione di norme poste a tutela dell'interesse collettivo dei soci o dei terzi; peraltro, l'area della indisponibilità deve ritenersi circoscritta a quegli interessi protetti da norme inderogabili, la cui violazione determini una reazione dell'ordinamento svincolata da qualsiasi iniziativa di parte, quali le norme dirette a garantire la chiarezza e la precisione del bilancio di esercizio. Nella specie, attengono a diritti indisponibili, come tali non compromettibili in arbitri ex art. 806 c.p.c., soltanto le controversie relative all'impugnazione di deliberazioni assembleari di società aventi oggetto illecito o impossibile, le quali danno luogo a nullità rilevabili anche di ufficio dal giudice. È pacifico che la controversia sulla nullità della delibera assembleare di una società a responsabilità limitata, in relazione all'omessa convocazione del socio, quale soggetta al regime di sanatoria previsto dall'art. 2379 bis cod. civ., è compromettibile in arbitri, atteso che l'area della non compromettibilità è ristretta all'assoluta indisponibilità del diritto e, quindi, alle sole nullità insanabili. [ Continua ]