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Omessa rimozione dei caricamenti illeciti da parte dell’hosting provider
In materia di hosting provider una delle fattispecie di responsabilità a carico di tale prestatore di servizi, è quella che...

In materia di hosting provider una delle fattispecie di responsabilità a carico di tale prestatore di servizi, è quella che collega il sorgere della obbligazione risarcitoria al fatto della “conoscenza”, da parte del prestatore del servizio, circa la illiceità dell’informazione, in particolare connotata dall’essere essa “manifesta” nelle azioni di risarcimento del danno. Trattasi di responsabilità derivante da una condotta “commissiva mediante omissione” per avere il prestatore, dal momento in cui sussista l’elemento psicologico predetto, concorso nel comportamento lesivo altrui a consumazione permanente, non avendo provveduto alla rimozione del dato informativo o al blocco all’accesso, sulla base di una posizione di garanzia dell’ hosting provider. Dal punto di vista strettamente tecnico la fase di utile rimozione dei contenuti dev’essere preceduta da ulteriori due indefettibili passaggi (identificazione e ricerca), dove il primo (identificazione) si connota per il delicato passaggio della acquisizione di una informazione esatta circa la risorsa da rimuovere, consentendo di riconoscerla puntualmente, distinguendola da ogni altra. Nella seconda fase della ricerca, il provider, elaborando le informazioni ricevute dell’utente segnalatore, produce un fingerprint ovvero un’impronta digitale delle risorsa segnalata; deve dunque ritenersi come tanto più la segnalazione è precisa tanto più la elaborazione della impronta è efficace poiché, diversamente, la fase di identificazione può essere praticabile con tale margine di errore da divenire del tutto inefficace se non addirittura controproducente, e potendo condurre alla eliminazione di contenuti caricati lecitamente. Se è, dunque, vero, da un lato che il contenuto illecito possa essere in astratto identificato attraverso varie modalità di precisione decrescente, e cioè l’URL, l’URN e, infine, la indicazione del titolo dell’opera, è senz’altro vero come senza l’url il processo di eliminazione resti inevitabilmente affidato a processi euristici, rischiando di caratterizzarsi per un margine di errore tale da non garantire la correttezza e la completezza del processo. La richiesta di interventi generalizzati di contrasto ad opera dell’ hosting provider, da effettuarsi anche con riferimento a caricamenti avvenuti nonostante la mancanza della segnalazione di qualsivoglia violazione da parte del titolare si traduce, a ben guardare, nella imposizione a carico del provider di un controllo attivo e indiscriminato sui contenuti che circolano sulla piattaforma gestita dall’ ISP che si vedrebbe esposto ad un imprevedibile obbligo di rimozione di qualsiasi contenuto che presenti profili di identità o anche solo somiglianze con un contenuto rivendicato, senza alcun limite oggettivo o temporale rispetto all’ampiezza di un tale intervento di “bonifica”. Ammettere un obbligo di tale ampiezza comporterebbe, quindi, un surrettizio aggiramento dei limiti di responsabilità dell’hosting provider, il quale si troverebbe tenuto ad assicurare quel sistema di controllo generalizzato e preventivo che l’ordinamento non contempla, così operando la sostanziale vanificazione del meccanismo normativo che, all’art. 16 d lgs. 70/2003 delinea con chiarezza un obbligo di attivazione pro futuro e non “retroattivo”.

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Contraffazione relativa ai marchi di fatto: onere della prova
Ai sensi dell’art. 121 c.p.i. l’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare, con la precisazione che in caso di...

Ai sensi dell’art. 121 c.p.i. l’onere di provare la contraffazione incombe sul titolare, con la precisazione che in caso di contraffazione di diritti non titolati l’attore dovrà dimostrarne i fatti costitutivi, e cioè l’esistenza e la validità
(presunte per i diritti titolati attraverso la registrazione) della privativa, dunque del marchio di fatto, attraverso la dimostrazione: dell’uso attuale; della notorietà conseguente, identificativa dei prodotti per cui si chiede tutela e correlata con la priorità dell’uso implicante la novità richiesta dall’art.12 c.p.i. necessaria anche per i marchi di fatto; della conseguente percepibilità del segno come riferibile ad una determinata realtà imprenditoriale da parte dei soggetti interessati; del compimento da parte del soggetto al quale si contesta la contraffazione di uno dei comportamenti enucleabili dall’art. 20 c.p.i.

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Reverse engineering e tutela del software per utilizzare un un formato di archiviazione non liberamente accessibile ai terzi
L’ingegneria inversa in informatica – attività in astratto lecita – è, per definizione, il processo di analisi di un sistema...

L'ingegneria inversa in informatica – attività in astratto lecita - è, per definizione, il processo di analisi di un sistema software esistente, eseguito al fine di crearne una rappresentazione ad alto livello di astrazione. In senso stretto, l'attività di ingegneria inversa consiste nella comprensione del funzionamento e della realizzazione di un dispositivo fisico o virtuale al fine di produrre il nuovo dispositivo. L'adozione di misure che rendono particolarmente complessa la procedura di reverse engineering, tanto che sia astrattamente possibile eseguire il reverse engineering ma il processo per risalire alle informazioni non sia qualificabile come "facile per gli esperti del settore", rende le informazioni segrete ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 98 CPI: ne è infatti agevole la lettura, ma non l’interpretazione.

 

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Illiceità della condotta del dipendente consistente nel caricamento su piattaforma streaming di files coperti da copyright
Una condotta posta in essere su autorizzazione del titolare del diritto d’autore, conforme alle condizioni d’uso della piattaforma, al fine...

Una condotta posta in essere su autorizzazione del titolare del diritto d'autore, conforme alle condizioni d'uso della piattaforma, al fine di accertare la veridicità delle affermazioni relative alla predisposizione di un filtro in grado di bloccare qualsiasi ulteriore caricamento dei contenuti segnalati, non integra responsabilità extra-contrattuale.

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Il caso Vespa: validità del marchio di forma e tutela come opera di industrial design
La volgarizzazione o generalizzazione del marchio quale causa di decadenza ai sensi degli artt. 13, co. 4, e 26 c.p.i.,...

La volgarizzazione o generalizzazione del marchio quale causa di decadenza ai sensi degli artt. 13, co. 4, e 26 c.p.i., si produce a seguito di un uso del segno tale da produrre la perdita del suo carattere distintivo, divenendo così il marchio inidoneo a caratterizzare specificamente il prodotto come proveniente da un determinato imprenditore: va ribadito inoltre che la prova della volgarizzazione, nei termini idonei a produrre gli effetti ora descritti, deve essere offerta da chi la invochi. Il codice di proprietà industriale, pur non contenendo una norma ad hoc, sicuramente non impedisce che la forma – ove dotata dei requisiti di cui agli artt. 32 e ss. cpi – possa eventualmente essere registrata come disegno o modello e, successivamente, una volta affermatasi sul mercato come indicatore dell’origine del bene, ottenere la registrazione come marchio di forma ai sensi dell’art. 9 cpi. Anzi, proprio con specifico riferimento all’acquisizione di una capacità distintiva di fatto, può ravvisarsi il punto di contatto tra la protezione del marchio di forma e quella dei disegni e modelli. Il riconoscimento collettivo da parte del mondo culturale costituisce evidenziazione e prova del valore artistico dell’opera del design.

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Azione di decadenza per non uso promossa dall’azienda produttrice dei nuovi motoveicoli Lambretta
Colui che agisce per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato deve provare il non uso del marchio nell’intero...

Colui che agisce per la declaratoria di decadenza di un marchio brevettato deve provare il non uso del marchio nell’intero territorio nazionale; tale onere probatorio può essere assolto anche in via indiretta e presuntiva purché con circostanze significative e concordanti idonee ad evidenziare tale non uso e dev’essere inteso nel senso che, accertate particolari circostanze connesse alla vita del marchio, il mancato uso di questo possa essere desunto anche in via di presunzione. Ne discende che la mancata prova dell’utilizzazione (o la prova di un uso limitato) da parte del titolare della privativa non è, ex se, una prova negativa indiretta del non uso, tanto più che nell’uso effettivo del marchio viene ricompreso anche quello svolto in funzione pubblicitaria di veicolazione del segno. La dottrina e la giurisprudenza hanno provveduto ad individuare elementi e parametri da cui è possibile far derivare le presunzioni di non uso del marchio, quali l’assenza dei prodotti marchiati dai listini pubblicati dalle associazioni di categoria, l’assenza dei prodotti marchiati dai cataloghi dell’impresa titolare della
privativa, e simili.

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Risoluzione del contratto di affiliazione commerciale, concorrenza sleale e tutela delle informazioni riservate
Il mancato riscontro probatorio dell’esistenza di un know how tutelabile ex art.98, 99 c.p.i. non esclude che il complesso di...

Il mancato riscontro probatorio dell’esistenza di un know how tutelabile ex art.98, 99 c.p.i. non esclude che il complesso di informazioni riservate, comunque esistenti e qualificabili come know how in senso lato, possa rientrare nell’ambito dell’operatività e quindi della tutela riconosciuta dall’art.2598 c.c. Le informazioni segrete ex art.98 c.p.i. non esauriscono l'ambito di tutela delle informazioni riservate in ambito industriale, pur sempre esperibile anche attraverso la disciplina della concorrenza sleale contro gli atti contrari alla correttezza professionale ex art.2598 n.3 c.c. nei confronti della scorretta acquisizione di informazioni riservate, ancorché non caratterizzate dai requisiti di segretezza e segretazione dell'art.98 c.p.i. Appartiene al tribunale ordinario, e non alle sezioni specializzate in materia di impresa, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 168 del 2003, la competenza a decidere sulla domanda di accertamento di un'ipotesi di concorrenza sleale in cui la prospettata lesione degli interessi della società danneggiata riguardi l’appropriazione, mediante storno di dirigenti, di informazioni aziendali, di processi produttivi e di esperienze tecnico-industriali e commerciali (cd. “know how” aziendale, in senso ampio), ma non sia ipotizzata la sussistenza di privative o altri diritti di proprietà intellettuale, direttamente o indirettamente risultanti quali elementi costitutivi, o relativi all’accertamento, dell’illecito concorrenziale.

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Concorrenza sleale e comparazione di marchi nel giudizio tra soggetti operanti nell’organizzazione di corsi di formazione
Lo storno di dipendenti, mediante il quale l’imprenditore tende ad assicurarsi le prestazioni lavorative di uno o più collaboratori di...

Lo storno di dipendenti, mediante il quale l'imprenditore tende ad assicurarsi le prestazioni lavorative di uno o più collaboratori di un'impresa concorrente, costituisce normale espressione della libertà di iniziativa economica ex art. 41 cost. e della libera circolazione del lavoro ex art. 4 cost.. Affinché l'attività di acquisizione di collaboratori e dipendenti integri l'ipotesi della concorrenza sleale è necessario che la stessa sia stata attuata con la finalità di danneggiare l'altrui azienda, in misura che ecceda il normale pregiudizio che può derivare dalla perdita di prestatori di lavoro che scelgano di lavorare presso altra impresa. L’illiceità della condotta ex art. 2598, n. 3, c.c. deve, pertanto, essere desunta dall'obiettivo essenziale che l'imprenditore concorrente si proponga, attraverso questo passaggio di dipendenti, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, non essendo sufficiente che l'atto in questione sia diretto a conquistare lo spazio di mercato del concorrente. Tale condotta è configurabile come illecito concorrenziale solo allorché sia accompagnata da una serie di elementi – il numero dei dipendenti stornati, la loro competenza professionale, il ruolo che rivestivano – che evidenzino l'illiceità della condotta dell'impresa stornante, la quale si avvalga degli investimenti formativi effettuati dall'impresa stornata sui propri dipendenti perseguendo il risultato di crearsi un vantaggio competitivo a danno dell'altra, acquisendo uno staff costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona o un settore determinati, con la conseguenza di svuotare l'organizzazione concorrente delle sue specifiche possibilità operative.

 

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Decorrenza del termine d’impugnazione della delibera di esclusione del socio di società cooperativa
La conoscenza aliunde del contenuto della delibera di esclusione del socio di società cooperativa (che non dev’essere allegata alla comunicazione...

La conoscenza aliunde del contenuto della delibera di esclusione del socio di società cooperativa (che non dev’essere allegata alla comunicazione di esclusione) è idonea a far decorrere il termine decadenziale di sessanta giorni per l’impugnazione della stessa. Ciò in quanto la comunicazione della delibera di esclusione, al fine del decorso del termine per proporre opposizione, è sufficiente che sia idonea a rendere edotto il socio delle ragioni e del contenuto del provvedimento per porlo nelle condizioni di articolare le proprie difese.

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Illecita sottrazione di informazioni aziendali riservate, storno di dipendenti e prova del danno subito
Come confermato dal più recente orientamento della Suprema Corte, la consulenza tecnica d’ufficio non è certamente un mezzo di prova...

Come confermato dal più recente orientamento della Suprema Corte, la consulenza tecnica d’ufficio non è certamente un mezzo di prova necessario per dimostrare il danno, ma può fornire un ausilio al giudicante per la quantificazione dello stesso. In tal senso, la CTU non costituisce né la prova per individuare l’an debeatur, né la prova per dimostrare il nesso causale. La consulenza tecnica d’ufficio, dunque, non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati.

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