Laddove abbia rivestito il ruolo di amministratore di fatto della società, il socio accomandante non è legittimato a invocare la tutela prevista dall'art. 2320, comma III, c.c., ivi compreso il diritto a ricevre il conto della gestione.
Il socio accomandante assume il ruolo di amministratore di fatto solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione - intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi - o di trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Per aversi ingerenza dell'accomandante nella amministrazione della s.a.s. vietata dal citato art. 2320 c.c., deve essere realizzata una attività gestoria che sia espressione del potere di direzione degli affari sociali in quanto implicante una scelta che è propria del titolare dell'impresa. Inoltre, l'attività amministrativa vietata al socio accomandante riguarda il momento genetico del rapporto in cui si manifesta la scelta operata dall'imprenditore, mentre tutto quanto attiene al momento esecutivo dell'adempimento delle obbligazioni che da quel rapporto derivano, non esclude di per sé la qualità di terzo dell'accomandante rispetto alla gestione della società, alla quale pertanto, rimane estraneo.
Ove vi sia controversia in ordine al diritto del socio accomandante di ricevere il conto della gestione da parte del socio accomandatario, l'ordine del giudice di presentazione del conto deve essere preceduto dal positivo accertamento dell'esistenza di detto diritto.
L’azione di annullamento delle delibere assembleari presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. Pertanto, la legittimazione del socio escluso ad ulteriormente interferire con l'attività sociale sta o cade a seconda che la deliberazione impugnata risulti o meno legittima.
Nelle società di persone il diritto alla percezione degli utili sorge con l’approvazione del rendiconto, a differenza di quanto avviene nelle società di capitali, laddove la distribuzione degli utili presuppone una espressa decisione dell’assemblea dei soci. Tale diritto può essere limitato solo da una manifestazione di volontà dei soci che richiede il consenso unanime o da apposita previsione statutaria che limiti il diritto soggettivo del socio a percepire gli utili conseguiti dalla società prevedendo, ad esempio, un obbligo di parziale accantonamento degli utili medesimi o rimetta ad una decisione dei soci, da assumere secondo maggioranze predeterminate, la scelta in ordine alla distribuzione o all’accantonamento.
I soci delle società di persone possono riunirsi e deliberare all’unanimità o a maggioranza, a seconda di quanto richiesto dalla legge. Tale facoltà non è impedita dall’assenza di una normativa ad hoc sulla società di persone sulle modalità di raccolta del consenso (pur contemplandosi il criterio della maggioranza, per teste o quote di interessi o in alternativa il criterio dell’unanimità) e dalla mancata previsione tra gli organi sociali dell’assemblea, chiamata ad esprimere la volontà dei soci. Con riguardo al rimedio concesso dall’ordinamento in caso di delibera assunta in violazione di legge o di statuto, va individuata negli artt. 2377 ss. c.c. la disciplina applicabile, risultando dunque la delibera annullabile, valorizzando così il sottoinsieme del diritto societario caratterizzato da autonomi principi che lo distinguono dal diritto civile ed enfatizzando il principio organizzativo e l’esigenza di stabilità dell’agire dell’impresa esercitata in forma societaria.
Nelle società di persone, che non hanno personalità ma solo soggettività giuridica e un’autonomia patrimoniale c.d. imperfetta, le decisioni dei soci non sono soggette al metodo collegiale: invero, non esiste l’organo sociale assemblea, così come non esiste l’organo consiglio di amministrazione, propri, invece, delle società di capitali. Sicché i soci deliberano liberamente, senza l’obbligo della osservanza di formalità e la volontà dai medesimi espressi, all’unanimità o a maggioranza, non si manifesta attraverso l’assemblea, salvo ciò non sia, legittimamente, previsto nello statuto, ma attraverso la raccolta interna del consenso dei singoli soci, come si desume anche da disposizioni quali quelle di cui agli artt. 2256 e 2301 c.c., le quali richiedono “il consenso degli altri soci” e non già “l’autorizzazione della società”. Sul tema della necessità di una volontà unanime o maggioritaria dei soci, deve ritenersi che sussista la necessità di raccogliere il consenso unanime dei soci laddove si tratti di decidere aspetti organizzativi di base (legali o convenzionali) della società, mentre sia sufficiente quello della sola maggioranza quando si tratti di decidere su temi che attengono alla gestione dell’impresa (come l’approvazione del rendiconto, o la revoca dell’amministratore).
Ciascun socio dispone del proprio diritto alla distribuzione degli utili e, quindi, certamente non sarebbe sufficiente il consenso della maggioranza a negarla, come potrebbe avvenire in una società di capitali ove la distribuzione degli utili è rimessa alla volontà collegiale dell’assemblea, essendo bensì necessario il consenso di ciascuno dei soci, che all’esito dell’approvazione del rendiconto che ne attesta l’esistenza, matura il relativo diritto ex art. 2262 c.c. In assenza della previsione, anche statutaria, di specifiche formalità, l’espressione della volontà contrattuale dei soci di una società di persone può avvenire anche in forma tacita, per effetto di atti non formali, ma di facta concludentia.
La perdita del beneficio della responsabilità limitata del socio accomandante non discende automaticamente dalla sottoscrizione da parte di quest’ultimo di un documento avente contenuto dichiarativo del fatto che egli avrebbe posto in essere atti di amministrazione, potendo l’accomandante assumere ex art. 2320 c.c. la responsabilità illimitata per le obbligazioni della società soltanto nel caso in cui egli abbia effettivamente compiuto atti di ingerenza che abbiano avuto influenza decisiva o almeno rilevante sull’attività gestoria.
Sussiste la violenza morale ex art. 1435 c.c. quale vizio del consenso solo quando la minaccia sia stata specificatamente diretta ad estorcere la dichiarazione negoziale della quale si deduce l’annullabilità e risulti di natura tale da incidere, con efficacia causale concreta, sulla libertà di autodeterminazione dell’autore di essa.
Per le società di persone l’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’atto costitutivo e delle modifiche dei patti sociali ha natura normativa e non costitutiva; conseguentemente, è ben possibile per un soggetto - che formalmente non sia tra i sottoscrittori e/o gli aderenti successivi al contratto sociale - essere riconosciuto come socio (occulto) e richiedere l'esercizio dei propri diritti sociali (tra i quali il diritto alla corresponsione dell’utile): il socio occulto assume, dunque, tutti i diritti e le obbligazioni scaturenti dalla partecipazione ad una società di persone.
Grava sul soggetto che agisce per il riconoscimento della sua qualità di socio occulto di società di persone l’onere di dimostrare la propria natura di socio e l’accordo intervenuto con gli altri soci (anche con riguardo poi alla ripartizione degli utili e delle percentuali); onere che può essere espletato anche mediante elementi indiziari o presuntivi, non essendo necessaria l’esistenza di una scrittura privata inter partes ai fini della configurabilità della partecipazione occulta al rapporto sociale. In effetti, nel caso di specie la domanda avanzata dal socio (dichiaratosi) occulto era stata respinta non solo perché la scrittura invocata a fondamento della esistenza dell’accordo sociale si era rivelata non veritiera ma anche perché l’attore non aveva introdotto altri elementi di prova utili e l’interrogatorio formale dei convenuti non aveva prodotto una confessione sul punto.
Nel contesto di una holding pura, deve ritenersi del tutto ragionevole e coerente con il concreto atteggiarsi dei rapporti tra holding e società controllate direttamente e indirettamente che il socio non amministratore della holding abbia il diritto di essere informato (dall’organo amministrativo della controllante di cui è socio) anche su cosa succede “a valle”, nelle società controllate, la cui gestione è l’attività specifica della capogruppo. Non è dunque questione di raffrontare i poteri del socio della S.r.l. con i poteri del socio della società controllata (in ipotesi S.p.A.) o con quelli dei sindaci nel caso di cui all’art. 2403 bis comma 2 c.c., quanto piuttosto di parametrare il potere di controllo del socio della S.r.l. al potere di gestione spettate all’organo amministrativo della S.r.l. stessa.
Il perimetro del diritto di informazione del socio sui documenti relativi all’amministrazione della società da lui stesso direttamente partecipata deve intendersi comprensivo di tutta la documentazione “ragionevolmente necessaria ovvero in concreto esaminata/utilizzata per l’esercizio delle proprie funzioni dall’organo amministrativo della società soggetta al potere di ispezione e conseguentemente da reputarsi nella materiale disponibilità giuridica della stessa, nella necessaria coincidenza fra poteri di gestione e poteri di controllo di una società di capitali, quale assicurata nell’attuale assetto normativo dal controllo sindacale nella spa e dal controllo dei soci non amministratori nella srl” e del tutto “a prescindere … dalla … irrilevante intestazione formale dei relativi atti” (v. Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, ord. 27.9.17). La questione, dunque non è quella dell’esistenza del diritto ma quella dell’esercizio del diritto e quindi, in sostanza, quella di definire quali sono le conoscenze che l’organo amministrativo della controllante deve avere sulla società direttamente controllata - e quindi anche su quello che segue, cioè sulla controllata dalla controllata - e che può/deve trasferire al socio ex art. 2476 comma 2 c.c. In proposito, si deve ritenere che l’organo amministrativo della holding debba senz’altro conoscere la documentazione sociale e quella attinente alle scelte gestionali di maggior rilevanza e che, di norma, la sua conoscenza non si spinga/debba spingersi a dati che riguardano la minuta operatività ordinaria delle società sottoposte a controllo/coordinamento.
Nonostante l’ampiezza della formula usata dal legislatore (“notizie sullo svolgimento degli affari sociali”), si deve ritenere che possano rientrare nella dizione legale solo informazioni/notizie tratte da elementi già costituiti, escludendo, per converso, che possano rientrarvi documenti costituendi che implichino attività di valutazione o anche solo di elaborazione dei dati.
La clausola statutaria che preveda la sospensione del diritto di voto per il socio in mora dei "versamenti legittimamente richiesti dall'organo amministrativo" è da interpretarsi in senso tecnico-contabile sicché non sarà applicabile la sospensione al socio inadempiente alla richiesta di un amministratore di erogare in favore della società un finanziamento fruttifero, trattandosi quest'ultimo di un apporto a titolo di capitale di debito e non di rischio.