E’ responsabile nei confronti della società l’amministratore di società in nome collettivo che abbia:
i. effettuato prelievi ingiustificati dai conti correnti;
ii. distratto corrispettivi relativi alla attività caratteristica non registrati o regolarizzati (e non scontrinati o fatturati);
iii. utilizzato beni sociali per fini personali. Tale condotta illegittima costituisce una forma di inadempimento ai propri obblighi ed ingenera una responsabilità in capo all’amministratore, il quale è tenuto a risarcire il danno cagionato.
Grava sulla società l’onere di dimostrare la sussistenza delle condotte illegittime, il nesso causale ed il danno cagionato (nel caso di specie i prelievi e l’indebito utilizzo di risorse sociali e di proventi e corrispettivi della attività non fatturati e contabilizzati); tuttavia, una volta allegati e/o dimostrati e non specificamente contestati i prelievi e gli ammanchi di cassa, spetta all’ex amministratore fornire la prova liberatoria di cui all’art. 1218 c.c., dimostrando con evidenza contabile (o con adeguata prova costituenda) che il denaro sociale oggetto di tali prelievi e pagamenti fosse stato reimpiegato per spesare costi o saldare debiti della società.
In assenza di contestazione e di prova di ciò, l’ex amministratore deve restituire alla società le somme non reimmesse nelle casse sociali.
La mancata impugnazione della decisione di rimozione delle funzioni gestorie da parte del socio-amministratore di snc rende la cessazione dalla carica definitiva e le eventuali irregolarità ed illegittimità inopponibili alla società.
In una società di persone l’utile di esercizio realizzato e risultante da rendiconto non opposto è automaticamente distribuibile tra i soci, vantando in tal caso il socio un vero e proprio diritto di credito liquido ed esigibile; diritto non conculcabile neppure (a differenza che nelle società di capitali) per delibera maggioritaria (salvo che non sia l’atto costitutivo a prendere una diversa disciplina).
E’ nulla la clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo di una società di persone che, in difformità rispetto al dettato normativo di cui all’art. 34, co. 2 del d.lgs. n. 5/2003 ed anche se anteriore allo stesso, non attribuisca il potere di nomina degli arbitri ad un soggetto terzo, demandandone l’individuazione alle parti stesse.
I dissidi tra soci che, tuttavia, non hanno neppure comportato l'impossibilità di perseguire l'oggetto sociale, non integrano gli estremi per disporre né la esclusione né la revoca dalla carica di amministratori dei soci.
L’apporto del socio d’opera di società di persone non deve necessariamente essere “capitalizzato”, ovverosia valutato e conteggiato ai fini della determinazione della cifra di capitale sociale indicata nell’atto costitutivo, con la conseguenza che la mancata capitalizzazione dell’apporto di opera da parte del socio accomandatario di società in accomandita semplice non costituisce un presupposto per procedere alla cancellazione dal registro delle imprese né dell’iscrizione relativa all’ingresso dell’accomandatario nella compagine sociale né dell’iscrizione relativa alla ragione sociale della predetta società riportante il nominativo dell’accomandatario stesso. La capitalizzazione dei conferimenti
d’opera non è infatti necessaria né per garantire la parità di trattamento tra soci di capitale e soci d'opera, né per tutelare l'interesse dei
creditori sociali alla conservazione dei mezzi propri dell'impresa [nella specie il Registro delle Imprese contestava l'iscrizione di un atto di trasformazione da s.r.l. a s.a.s. ove il socio accomandatario non risultava avere effettuato alcun conferimento per l'ingresso nella società in accomandita].
E' legittimo il recesso ad nutum esercitato dal socio di una s.n.c. che, pure essendo a tempo determinato, prevede una durata più lunga delle aspettative di vita del socio più anziano.
Sussiste una giusta causa di recesso dell’accomandante qualora l’accomandatario ponga in essere comportamenti in violazione dell’obbligo di correttezza e lealtà tra soci (altro…)
L’accordo tra i soci che prevede l’accollo dei debiti sociali da parte di un socio non può prevedere l’attribuzione privata di utilità riservate in primo luogo alla soddisfazione dei creditori, in palese contrasto con le disposizioni inderogabili di legge in materia.
Il giudizio di rendimento del conto, proposto nei confronti del liquidatore della società ex artt. 2261, 2262 c.c. e 263 c.p.c., fondandosi sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività in quanto influente nella sfera di interessi patrimoniali altrui, deve ricollegarsi all'esistenza di un rapporto di natura sostanziale. Per cui se il giudizio si sviluppa su tale rapporto, l’atto con cui questo viene definitivamente accertato è idoneo ad acquisire efficacia di giudicato sul modo di essere della situazione sostanziale inerente all'obbligo di rendiconto. [nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto definitivamente accertata, con l’efficacia propria del giudicato, l’esistenza di spese non documentate e il corrispondente credito, di natura risarcitoria, vantato dalla società nei confronti del liquidatore inadempiente, come da risultanze di un precedente giudizio avente ad oggetto il rendimento del conto]
L’azione dei soci di società semplice nei confronti del socio gestore di fatto per la condivisione dei debiti sociali configura azione di regresso fondata sulla responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 2267 co. 1 c.c.. La responsabilità del socio di fatto nei confronti degli altri soci presuppone l’accertamento della sua qualità di socio illimitatamente responsabile per i debiti sociali oltre che dell’inadempimento della società nei confronti dei terzi creditori e dell’avvenuto pagamento del dovuto da parte degli altri soci.
Deve ritenersi ammissibile in corso di causa - secondo le regole generali - l'istanza anticipatoria di sospensione degli effetti della delibera impugnata, ponendo l’art. 2378 c.c. un vincolo solo quanto alla preventiva instaurazione del giudizio di merito. L'istanza cautelare deve ritenersi ammissibile anche in relazione all'impugnativa delle delibere di società di persone.
Nelle società semplici il contratto può essere modificato esclusivamente con il consenso di tutti i soci se non è convenuto diversamente ex art. 2252 c.c. Se tale deroga è prevista dallo stesso atto costitutivo, deve ritenersi legittima la delibera dei soci che deroghi al criterio ordinario di ripartizione degli utili ex art. 2263 c.c., introducendo un diverso criterio, purché rispettoso del principio dell'art. 2265 c.c.
Qualora il contratto sociale non preveda regole particolari con riferimento all’attribuzione di compenso per l’amministrazione, all’attività del socio amministratore di società di persone si applica la presunzione di onerosità posta dall’art. 1709 c.c. in tema di mandato e, salva la prova di una sua pattizia esclusione, compete all’amministratore un compenso. Tale presunzione di onerosità del mandato ad amministrare può comunque essere vinta dimostrando che la società, in assenza di un’espressa disciplina statutaria, non ha mai remunerato i soci per le attività di amministrazione svolte.
Nelle società di persone, i soci hanno il diritto a vedersi attribuire gli utili subordinatamente all’approvazione del rendiconto, salvo patto contrario che deve essere preso all’unanimità dei soci. Tenuto conto della deformalizzazione che contraddistingue le società di persone, per la decisione di non distribuire gli utili non è richiesta una decisione assembleare e la unanime volontà dei soci può essere desunta anche da comportamenti concludenti.
Vanno indiscutibilmente riconosciuti l'autonomia del patrimonio della società in nome collettivo da quello dei soci e, conseguentemente, un preciso obbligo dei soci-amministratori, quali gestori di un patrimonio autonomo, di dare conto della attività svolta nella amministrazione della società. Da ciò deriva un interesse della società all'integrità del proprio patrimonio e, pertanto, laddove la stessa successivamente sia messa in liquidazione ed acceda a concordato preventivo, sussiste l'interesse del liquidatore ad agire a tutela di tale integrità, promuovendo azione di responsabilità nei confronti degli ex amministratori che abbiano effettuato dei prelievi di cassa nonostante la società avesse perduto il proprio capitale sociale, così violando il divieto di distribuire utili di cui all'art. 2303 c.c. Per promuovere detta azione, il liquidatore non necessita della preventiva autorizzazione dell'assemblea – organo, peraltro, non contemplato dal legislatore per le s.n.c. – ma della preventiva autorizzazione del giudice delegato, che svolge funzione vicariante rispetto alla delibera assembleare.