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Oggetto del contratto di cessione di partecipazioni e competenza delle sezioni specializzate
Oggetto del contratto di cessione di partecipazioni societarie è la partecipazione in sé, ovvero il complesso dei diritti che la...

Oggetto del contratto di cessione di partecipazioni societarie è la partecipazione in sé, ovvero il complesso dei diritti che la partecipazione medesima attribuisce in seno alla società (oggetto immediato), tanto che va escluso quale effetto naturale del contratto che il venditore sia obbligato a garantire l’effettivo valore patrimoniale della partecipazione ceduta. Tuttavia, un simile obbligo di garanzia può essere previsto dalle parti, di modo che l’acquirente possa dolersi del fatto che la partecipazione acquistata abbia valore difforme dal prezzo pattuito.

Ai fini dell’individuazione della competenza della Sezione Specializzata in Materia di Impresa, il riferimento ai “diritti inerenti”, contenuto nell’art. 3, co. 2, lett. b), del d. lgs. 168/2003, deve essere interpretato nel senso che tale norma allude anche ai diritti conseguenti agli atti di trasferimento delle partecipazioni sociali e a ogni altro negozio che le abbia ad oggetto, per cui la competenza in questione sussiste tutte le volte in cui la controversia abbia a oggetto non solo la validità e l’efficacia dell’atto di cessione della partecipazione sociale (ovvero i diritti sociali ad essa inerenti), ma anche il credito del venditore della partecipazione societaria al pagamento del relativo prezzo.

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Il difetto di convocazione dell’assemblea nelle s.r.l.
La mancata convocazione dell’assemblea dei soci di s.r.l. determina l’invalidità della delibera ai sensi dell’art. 2479 ter c.c., in quanto...

La mancata convocazione dell'assemblea dei soci di s.r.l. determina l'invalidità della delibera ai sensi dell'art. 2479 ter c.c., in quanto assunta in assenza assoluta di informazione. Al riguardo, non assume alcun rilievo l’ipotesi in cui il socio impugnante abbia acquisito aliunde notizia dell’assemblea e del relativo ordine del giorno. Ai sensi dell’art. 2479 bis, co. 5, c.c., l’ambivalenza tra convocazione e informazione è riferita solo ed esclusivamente ad amministratori e sindaci per l’ipotesi in cui l’assemblea, che pure non sia stata convocata secondo le modalità prescritte, abbia deliberato con la partecipazione dell’intero capitale sociale.

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Voto dell’usufruttuario sulla quota di s.r.l. e scioglimento della società
Lo scioglimento della società, anche se provocato dall’usufruttuario con il proprio voto o la propria condotta, non costituisce perimento della...

Lo scioglimento della società, anche se provocato dall’usufruttuario con il proprio voto o la propria condotta, non costituisce perimento della cosa ai sensi dell’art. 1014 c.c., né abuso dell’usufruttuario ai sensi dell’art. 1015 c.c. Lo scioglimento dell’organizzazione societaria e la conseguente liquidazione del suo patrimonio, infatti, non estingue i diritti sociali, ma li trasforma in diritto alla quota di liquidazione, sicché il nudo proprietario non soffre nessun pregiudizio per il mero fatto dello scioglimento della società cui partecipava.

La particolarità della res, nel caso di usufrutto insistente su partecipazioni societarie, impone di valutare la condotta dell’usufruttuario con ottica diversa e più ampia rispetto a quella strettamente dominicale, essendo il valore della partecipazione connesso alla consistenza patrimoniale della società e alla concreta possibilità che l’ente possa continuare ad esercitare attività economica in forma collettiva. Sicché, in caso di conflitto insanabile fra i soci e di stallo societario, la liquidazione potrebbe risultare l’unico esito ex lege perseguibile.

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Annullamento per dolo del contratto di compravendita di quote sociali
L’errore provocato dall’altrui azione ingannatrice costituisce causa di annullamento del contratto solo in quanto abbia inciso sul processo formativo del...

L’errore provocato dall’altrui azione ingannatrice costituisce causa di annullamento del contratto solo in quanto abbia inciso sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà, a causa della quale il contraente si sia determinato a stipulare.

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Sostituzione della delibera assembleare invalida
In applicazione della disciplina di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., una volta accertato che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata,...

In applicazione della disciplina di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., una volta accertato che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata, non si può procedere alla dichiarazione di nullità o all’annullamento della deliberazione impugnata, venendo meno ogni interesse delle parti ad ottenere una pronuncia nel merito circa la validità della prima delibera, sostituita dalla seconda.

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Responsabilità di amministratori e sindaci di società consortile
La società consortile non ha una propria disciplina, dovendosi, per l’effetto, applicare di volta in volta le norme previste per...

La società consortile non ha una propria disciplina, dovendosi, per l’effetto, applicare di volta in volta le norme previste per il tipo di società scelto all’atto di relativa costituzione. Ne deriva che, linea di principio, ove i soci abbiano così costituito il consorzio sotto forma di società di persone o di capitali dovrà applicarsi la disciplina della corrispondente tipologia di compagine.

Dalla qualificazione della responsabilità degli amministratori ex art. 2476 c.c. in termini di responsabilità contrattuale (colposa) deriva che, mentre sulla società che agisce grava l'onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi, i pregiudizi concretamente sofferti ed il nesso eziologico tra l'inadempimento ed il danno prospettato, per converso compete all'amministratore l'onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto danno, ovvero di fornire la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell'osservanza dei doveri e dell'adempimento degli obblighi posti a suo carico. Deve, infatti, ritenersi operante la presunzione di colpa di cui al generale disposto dell'art.  1218 c.c., con la conseguenza che la società che agisce con il rimedio di cui all'art. 2476 c.c. non è tenuta ad offrire la prova positiva del cennato elemento soggettivo. Il tutto, in ogni caso, nei limiti dell'art. 1223 c.c., con la conseguenza che all'amministratore di società di capitali legato ad essa da un rapporto di mandato che, pure, si sia reso responsabile di condotte illecite, non potrà imputarsi ogni effetto patrimoniale dannoso che la società sostenga di aver subìto ma, al contrario, soltanto quei pregiudizi che si pongano quale conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento ascrittogli.

Quanto ai doveri dei sindaci in generale, giova rammentare che il controllo del collegio sindacale non è circoscritto all'operato degli amministratori, estendendosi, invero, a tutta l'attività sociale, con funzione di tutela non solo dell'interesse dei soci, ma anche di quello, concorrente, dei creditori sociali.

I sindaci possono essere chiamati a rispondere dei danni sofferti dalla società ovvero dai creditori sociali sia nel caso in cui l’evento lesivo sia conseguenza del mancato o negligente adempimento dei doveri di verità e segretezza che la legge pone specificamente a carico dell’organo di controllo, sia nel caso in cui il pregiudizio lamentato sia conseguenza, anche ed innanzitutto, di un comportamento doloso o colposo degli amministratori, che i sindaci avrebbero potuto e dovuto prevenire nell’espletamento dei loro compiti. Originando quindi la responsabilità dei sindaci sia per fatto proprio che per omissione del controllo, è chiaro che, vigente il principio di colpevolezza, la responsabilità concorrente del collegio sindacale per i fatti dannosi ascrivibili agli amministratori sussisterà solo nel caso in cui ai sindaci potrà in ogni caso addebitarsi il mancato o negligente espletamento dei compiti di controllo. Segnatamente, i sindaci rispondono non per il fatto in sé degli amministratori foriero di danni, ma solo se ed in quanto, in relazione all’evento lesivo oggetto di doglianza, sia configurabile, a loro carico, la violazione dell’obbligo di esercitare il controllo sull'amministrazione della società con la diligenza richiesta dal comma primo dell’art. 2407 c.c., di denunciare le irregolarità riscontrate e di assumere, se necessario, le iniziative sostitutive dell'organo gestorio.

La responsabilità concorrente dei sindaci, pur trovando uno dei suoi presupposti nell’illegittimo comportamento degli amministratori, resta pur sempre una responsabilità per fatto proprio dei componenti dell’organo di controllo, postulando che i sindaci siano venuti meno al loro dovere di vigilare sugli amministratori e di impedire il compimento di attività illegittime ad opera di costoro; il tutto, peraltro, con l’importante conseguenza che detta responsabilità potrà essere affermata solo ove sia in concreto dimostrata anche l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inosservanza dell’obbligo di controllo gravante sui sindaci ed il pregiudizio prodotto dall’illecito comportamento degli amministratori.

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Presunta adozione abusiva di accordi di ristrutturazione dei debiti e sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione
L’affermazione della responsabilità dell’amministratore per la violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c. presuppone che: (i)...

L’affermazione della responsabilità dell’amministratore per la violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 2447, 2485 e 2486 c.c. presuppone che: (i) risulti specificamente cristallizzato l’arco temporale a partire dal quale non avrebbe dovuto essere proseguita la consueta attività imprenditoriale; (ii) emerga che, in epoca successiva alla perdita del capitale sociale, fossero state poste in essere attività estranee ad una logica meramente conservativa; (iii) risulti acclarato che la prosecuzione della gestione, con modalità non meramente manutentive, avesse aggravato le perdite patrimoniali. Inoltre, occorre non soltanto che siano specificamente allegate e provate circostanze utili ai fini degli anzidetti accertamenti, ma anche che siano offerti elementi per la quantificazione del danno eziologicamente connesso a tale addebito.

La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell’art. 161, co. 6, l. fall. presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi dell’abuso del processo, che ricorre quando con violazione dei canoni di buona fede e correttezza e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per proseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento le ha predisposte.

Gli amministratori sono responsabili nel caso in cui adottino uno strumento inadeguato a gestire la crisi di impresa, sempre che, tuttavia, tale inadeguatezza, rilevata ex post, venga ritenuta tale con la ragionevolezza di un giudizio ex ante.

A cospetto di una domanda di accordo di ristrutturazione ex art. 182 bis l. fall., in sede di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, il sindacato del tribunale non è limitato ad un controllo formale della documentazione richiesta, ma comporta anche una verifica di legalità sostanziale compresa quella circa l’effettiva esistenza, in termini di plausibilità e ragionevolezza, della garanzia del pagamento integrale dei creditori estranei all’accordo, nei tempi previsti per legge. L’attestazione del professionista, seppure indispensabile, non ha però un effetto vincolante sul giudice, né questi può limitarsi ad un esame estrinseco della relazione, limitata cioè alla persuasività delle argomentazioni. Infatti, benché al professionista attestatore sia demandato il compito di certificare la veridicità dei dati forniti dall’imprenditore e di esprimere una valutazione in ordine alla fattibilità del piano dallo stesso proposto, occorre precisare che il controllo del giudice su questi aspetti non è di secondo grado, destinato cioè a realizzarsi soltanto sulla completezza e congruità logica della motivazione offerta dal professionista anche sotto il profilo del collegamento effettivo tra i dati riscontrati ed il giudizio espresso; il giudice può, infatti, discostarsi dal giudizio espresso dal professionista, così come potrebbe fare a fronte di non condivise valutazioni di un suo ausiliario.

La norma di cui all’art. 182 sexies l. fall. è stata introdotta dal legislatore al fine di non pregiudicare la possibilità di successo del piano di ristrutturazione dei debiti. Pertanto, è opportuno derogare alla disciplina civilistica degli obblighi gravanti sugli amministratori in caso di riduzione del capitale sociale, a partire dalla data di deposito delle domande di ammissione al concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione, sino alla data dell’omologa o della declaratoria di inammissibilità della stessa. Resta tuttavia inteso che gli amministratori sono comunque tenuti al rispetto dell’art. 2486 c.c. fino al momento della presentazione delle ridette domande e, altresì, a convocare senza indugio l’assemblea al fine di adottare i dovuti provvedimenti qualora dovesse configurarsi una perdita di oltre un terzo del capitale sociale. D’altra parte, durante il suddetto arco temporale tanto non esime gli amministratori dal dovere di improntare la gestione in funzione della tutela del ceto creditorio e, dunque, preservare a tal precipuo scopo l’integrità del patrimonio sociale. In tali casi gli amministratori soggiacciono altresì ad un dovere di gestione in linea con il tipo di procedura concorsuale prescelta, potendo in talune ipotesi la prosecuzione dell’attività esser richiesta proprio al fine di soddisfacimento dei creditori (come nel caso di concordato in continuità, mentre in ordine all’accordo di ristrutturazione dei debiti non vi è una norma che imponga il divieto di gestione ordinaria dell’impresa). In ogni caso, una volta intervenuta l’omologa rivivono in capo agli amministratori tutti gli obblighi solo temporaneamente sospesi ai sensi dell’art. 182 sexies l. fall.; gli stessi, pertanto, una volta avvedutisi del procrastinarsi della situazione di crisi, devono adottare i provvedimenti richiesti dalla legge.

L’attestatore di un piano di risanamento può essere sempre chiamato a rispondere anche per semplice negligenza ex art. 1176, co. 2, c.c. e non solo per dolo o colpa grave ai sensi dell’art. 2236 c.c.; e tanto perché lo stesso, in ragione degli specifici obblighi assunti, è tenuto alla prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata, di cui al combinato disposto dell’art. 1176, co. 2, e dell’art. 2236 c.c., espletando la sua attività professionale in modo funzionale non solo al raggiungimento dello scopo tipico cui essa è preordinata, ma anche al rispetto degli obblighi imposti ed al conseguimento degli effetti vantaggiosi previsti dalla normativa in concreto applicabile, dovendo altresì adottare tutte le misure e le cautele necessarie e idonee per l’esecuzione della prestazione, secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto richiesto, sicché, in difetto, egli risponde dei danni originati dal comportamento non conforme alla diligenza qualificata cui è obbligato anche nella sola ipotesi di colpa lieve.

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Sulla natura dell’azione promossa dalla curatela contro l’organo gestorio e i requisiti del periculum in mora per il sequestro conservativo
Nell’ipotesi di azione promossa dalla curatela nei confronti degli organi gestori della società, la pretesa azionata per la quale la...

Nell’ipotesi di azione promossa dalla curatela nei confronti degli organi gestori della società, la pretesa azionata per la quale la cautela è richiesta ha natura di credito risarcitorio per responsabilità contrattuale, in ragione della violazione dell’obbligo gestorio che l’amministratore ha nei confronti della società e relativo alla conservazione del suo patrimonio, azione che si cumula con quella dei creditori sociali, avente invece natura extracontrattuale. Di conseguenza, la curatela ha l’obbligo di allegare l’inadempimento imputato all’amministratore, così come ha l’onere di allegare e provare il danno derivante dall’inadempimento ed il nesso causale, essendo invece onere del convenuto, a mente dell’art. 1218 c.c., allegare e provare di avere adempiuto agli obblighi conservativi del patrimonio, il che si traduce nell’onere di allegare e provare che le condotte imputate e che hanno determinato un depauperamento patrimoniale della società siano state poste in essere negli interessi della società stessa.

Quanto al periculum in mora per l'ottenimento di un sequestro conservativo, detto presupposto cautelare può essere indagato sia sotto il profilo eminentemente soggettivo, riferito alla stessa condotta inadempiente dell’amministratore che, in termini prognostici, possa far ritenere che il medesimo, nelle more del giudizio di cognizione, ponga in essere atti dispositivi del suo patrimonio volti a diminuire la garanzia generica di soddisfazione del credito risarcitorio vantato dalla procedura, così come può essere indagato sotto il profilo eminentemente oggettivo, riferito cioè alla oggettiva insufficiente consistenza del patrimonio rispetto alla verosimile consistenza del cautelando credito risarcitorio.

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Inammissibilità del ricorso volto a ottenere la nomina di un amministratore provvisorio di una società di capitali
Nessuna norma attribuisce al tribunale il potere di procedere alla nomina dell’amministratore di una società di capitali allorquando l’assemblea non...

Nessuna norma attribuisce al tribunale il potere di procedere alla nomina dell’amministratore di una società di capitali allorquando l’assemblea non vi provveda. Invero, allorché l’assemblea sia impossibilitata ad adottare delibere indispensabili per la prosecuzione dell’attività societaria o sia continuativamente inattiva, ricorre a ben vedere la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 3, c.c. che rende necessaria la relativa iscrizione e la nomina di un liquidatore, rispetto alla quale – nell’inerzia dell’assemblea – è previsto invece il potere sostitutivo del tribunale ai sensi dell’art. 2487 c.c. Tuttalpiù, il tribunale ha il potere di procedere alla nomina di un amministratore giudiziario nell’ambito del procedimento ex art. 2409 c.c., allorquando sussistano le gravi irregolarità gestorie denunciate dalla minoranza.

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Azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di s.r.l. esercitata dal curatore
L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni...

L’azione di responsabilità contro gli amministratori esercitata dal curatore fallimentare ex art. 146 l. fall. compendia in sé le azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c., con conseguente possibilità per il curatore medesimo di cumulare i vantaggi di entrambe le azioni sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393, co. 4; 2941, n. 7; 2949; 2394, co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.) ed è diretta alla reintegrazione del patrimonio della società fallita, patrimonio visto unitariamente come garanzia sia per i soci che per i creditori sociali.

In caso di fallimento, il danno deve essere determinato avuto riguardo agli specifici atti di mala gestio addebitati all’amministratore e non parametrato alla differenza tra passivo ed attivo fallimentare. Infatti, nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento. La mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all’amministratore, di per sè sola non giustifica che il danno da risarcire sta individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l’attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto.

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L’onere della prova della finzione di avveramento della condizione ex art. 1359 c.c.
L’onere di provare l’avveramento della condizione grava su colui che affermi il suo verificarsi, anche nell’ipotesi di cui all’art. 1359...

L’onere di provare l’avveramento della condizione grava su colui che affermi il suo verificarsi, anche nell’ipotesi di cui all’art. 1359 c.c.

L'art. 1359 c.c., ovvero la finzione di avveramento della condizione nell’ipotesi in cui essa sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento, fonda la sua ratio, secondo il disposto dell’art. 1358 c.c., nell’inadempimento degli obblighi collaborativi della parte che, col proprio fatto, abbia cagionato il mancato avveramento, costituendo tale comportamento un inadempimento del dovere di comportarsi secondo buona fede in pendenza di condizione al fine di conservare integre la ragioni dell’altra parte.

L’iscrizione al registro delle imprese di un atto giudiziale avente ad oggetto la titolarità di quote di S.r.l. non può essere ottenuta in ragione del principio di tassatività delle iscrizioni, ricavabile dalla disposizione di cui al primo comma dell’art. 2188 c.c., secondo la quale il registro delle imprese è deputato a ricevere “le iscrizioni previste dalla legge”, e della mancanza di una espressa previsione di iscrivibilità delle domande giudiziali relative alla titolarità di quote di S.r.l. nonché del correlativo effetto c.d. prenotativo. In particolare, l’art. 2470 c.c., al secondo comma, si limita a prescrivere deposito dell’atto di trasferimento di tali quote, senza fare alcuna menzione delle domande giudiziali inerenti la titolarità di quote di S.r.l. e, al terzo comma, a regolare la soluzione del conflitto tra più titolari di diritti incompatibili sulla stessa quota, risolvendo tale conflitto in favore di chi abbia per primo “effettuato in buona fede l’iscrizione nel registro delle imprese”.

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L’interesse all’impugnazione della delibera da cui deriva la perdita dello status di socio
L’interesse di un socio ad impugnare una delibera assembleare, asseritamente illegittima, dalla cui esecuzione deriva, quale conseguenza, la cessazione della...

L’interesse di un socio ad impugnare una delibera assembleare, asseritamente illegittima, dalla cui esecuzione deriva, quale conseguenza, la cessazione della qualità di socio, risiede proprio nella pretesa al mantenimento di tale qualità. Di conseguenza, l'ex socio non è carente di interesse ad impugnare per aver perso tale status in conseguenza dell'esecuzione della delibera, ma la stessa perdita della qualità di socio costituisce il motivo di interesse. Infatti, l'azione di annullamento delle delibere di una società per azioni, disciplinata dall'art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell'attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta.

Le clausole statutarie che prevedono un quorum rafforzato per la deliberazione di un aumento di capitale non sono applicabili al caso del conferimento aggiuntivo richiesto al socio in caso di perdita totale del capitale sociale o sua riduzione al di sotto del minimo legale e successiva ricostituzione ex art. 2482-ter c.c., in quanto, in questo caso, la delibera non costituisce una libera scelta imprenditoriale, bensì l'unica alternativa per evitare lo scioglimento della società.

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