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I criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto
Le norme di legge che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali, dettate al fine di consentire un...

Le norme di legge che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali, dettate al fine di consentire un corretto svolgimento dell’amministrazione dell’ente, sono applicabili non soltanto alle persone fisiche immesse, nelle forme stabilite dalla legge, mediante atto negoziale di preposizione gestoria nelle funzioni di amministrazione, ma anche a coloro che si siano di fatto ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea, sia essa irregolare o implicita. Ne consegue che i responsabili delle violazioni di dette norme vanno individuati, anche nell’ambito del diritto privato, non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate; con l’ulteriore, necessaria, precisazione che l’individuazione della figura del cosiddetto “amministratore di fatto” presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione (e non anche meramente esecutive) della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. Al fine di far emergere il soggetto che effettivamente esercita le funzioni gestorie e di individuare, quindi, l’amministratore di fatto è possibile far riferimento a elementi quali: (i) assenza di una efficace investitura assembleare; (ii) attività esercitata (non occasionalmente ma) continuativamente; (iii) funzioni riservate alla competenza degli amministratori di diritto; (iv) autonomia decisionale (non necessariamente surrogatoria, ma almeno cooperativa non subordinata) rispetto agli amministratori di diritto.

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Riduzione ex lege dei compensi di amministratori e sindaci delle società controllate dalla regione Calabria
Ha carattere cogente ed applicazione automatica il disposto normativo di cui all’art. 15, co. 1, lett. e) della legge regionale...

Ha carattere cogente ed applicazione automatica il disposto normativo di cui all’art. 15, co. 1, lett. e) della legge regionale della Calabria n. 69/2012 che, con finalità di contenimento della spesa pubblica, ha espressamente stabilito che “a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge i compensi, gettoni, le indennità, le retribuzioni o altre utilità comunque denominate, corrisposti agli organi di amministrazione, indirizzo, vigilanza e controllo, sono automaticamente ridotti del 20 per cento rispetto agli importi risultanti alla data del 30 novembre 2012 o, se inferiore, alla data del 30 aprile 2010 e, in ogni caso, non possono essere cumulativamente superiori al trattamento economico del primo presidente della Corte di Cassazione in conformità all’art. 3 del d.p.c.m. del 23 marzo 2012”. Ne consegue che, applicata la riduzione prevista dalla legge al compenso spettante al componente del collegio sindacale di una società controllata dalla regione Campania, sussiste il diritto della società ad ottenere la restituzione del maggior importo corrisposto al sindaco successivamente alla data di entrata in vigore della legge citata.

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La rilevanza probatoria delle scritture contabili
A norma dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione – senza distinguere...

A norma dell’art. 2709 c.c., i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione – senza distinguere i libri obbligatori per legge e quelli richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa da quelli meramente facoltativi – fanno sempre prova contro l’imprenditore, mentre per valere a suo favore occorre che ricorrano i presupposti previsti dall’art. 2710 c.c., ossia: (i) che siano regolarmente tenuti, nonché bollati e vidimati; (ii) che riguardino rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa; (iii) che si facciano valere in una controversia con un altro imprenditore. Le risultanze delle annotazioni contabili fanno sorgere una presunzione iuris tantum contraria all’imprenditore, poiché egli può liberamente contrastare le proprie registrazioni con qualunque mezzo di prova. Ed invero, l’art. 2709 c.c., nello statuire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, pone una presunzione semplice di veridicità, a sfavore di quest’ultimo; pertanto, tali scritture, come ammettono la prova contraria, così possono essere liberamente valutate dal giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento probatorio, e il relativo apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se sufficientemente motivato.

Il medesimo principio vale anche per l’utilizzabilità delle scritture contabili a favore dell’imprenditore nei rapporti con l’altro imprenditore inerenti all’esercizio dell’impresa, la cui efficacia probatoria, non avendo esse valore di prova legale, è rimessa dall’art. 2710 c.c. al libero apprezzamento del giudice di merito.

Possiedono l’efficacia probatoria di cui all’art. 2709 c.c. anche i bilanci delle società per azioni, redatti ed approvati conformemente agli artt. 2423-2435 c.c., i quali quindi possono costituire utile prova delle obbligazioni sociali. Ne consegue che la prova che il bilancio di una società di capitali, regolarmente approvato, al pari dei libri e delle scritture contabili dell’impresa soggetta a registrazione, fornisce in ordine ai debiti della società medesima, è affidata alla libera valutazione del giudice del merito, alla stregua di ogni altro elemento acquisito agli atti di causa.

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L’onere della prova della simulazione del contratto di cessione di partecipazioni
Per il principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., secondo il quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve...

Per il principio generale contenuto nell’art. 2697 c.c., secondo il quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, l’onus probandi nella simulazione incombe a chi, parte contraente, erede o avente causa di esso, creditore o terzo, ne allega l’esistenza. In materia di simulazione, diverso è il regime della prova, a seconda che la domanda sia proposta dai contraenti ovvero da terzi. Invero, a norma dell’art. 1417 c.c., la prova per testimoni della simulazione è ammissibile senza limiti, se la domanda è proposta da creditori o da terzi, e, qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche se è proposta dalle parti. Se la domanda è, dunque, proposta da una delle parti, la dimostrazione della simulazione incontra gli stessi limiti della prova testimoniale di cui agli artt. 2721 ss. c.c., poiché le parti hanno la possibilità e l’onere di munirsi delle controdichiarazioni.

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Recesso nelle s.r.l.: rapporti con lo scioglimento della società ed efficacia del recesso ad nutum
Ai sensi dell’art. 2473, co. 5, c.c. il recesso del socio dalla s.r.l. non può essere esercitato e, se già...

Ai sensi dell’art. 2473, co. 5, c.c. il recesso del socio dalla s.r.l. non può essere esercitato e, se già esercitato, è privo di efficacia, se la società revoca la delibera che lo legittima ovvero se è deliberato lo scioglimento della società. A seguito dello scioglimento della società, dunque, se non si è ancora proceduto alla liquidazione della quota del socio receduto, il recesso viene meno, e ciò anche nel caso in cui lo scioglimento non rappresenti una diretta conseguenza del recesso e si verifichi per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale per perdite preesistenti al recesso e non connesse alla domanda di liquidazione dei soci receduti. La formulazione letterale dell’art. 2473, co. 5, c.c., infatti, non consente di distinguere fra le ipotesi di c.d. recesso “qualificato” e le altre ipotesi di recesso. Successivamente allo scioglimento, il socio receduto non avrà diritto a vedersi rimborsato il valore della quota di partecipazione, ma sarà coinvolto nella procedura di liquidazione della società al pari degli altri soci.

A differenza di quanto previsto all’art. 2437 bis c.c. (in tema di s.p.a.), l’art. 2473, co. 5, c.c. non fissa alcun termine per l’adozione della deliberazione di revoca o di scioglimento della società. Tale lacuna normativa deve essere colmata mediante un’applicazione analogica della disciplina delle s.p.a. e, pertanto, gli effetti del recesso possono essere pregiudicati dalla revoca della delibera e dall’adozione della deliberazione di scioglimento della società solo laddove tali delibere intervengano entro il termine di 90 giorni dalla dichiarazione di recesso.

L’esercizio del diritto di recesso è un atto unilaterale recettizio, i cui effetti si producono nella sfera giuridica della società sin dal momento in cui questa riceve la relativa dichiarazione ex art. 1334 c.c., con la conseguente immediata perdita della qualità di socio e dunque anche della legittimazione all’esercizio dei diritti sociali. Tuttavia, in ipotesi di recesso esercitato ad nutum nel caso di società contratta a tempo indeterminato, il termine di preavviso imposto dalla legge determina uno slittamento in avanti degli effetti del recesso, i quali non si produrranno fino allo spirare dello stesso. Pertanto, in pendenza del termine di preavviso, non essendosi ancora prodotti gli effetti del recesso, il socio che ha manifestato la volontà di uscire dalla società non cessa di correre il rischio d’impresa dal momento in cui ha esercitato il diritto, ma partecipa pienamente alla vita sociale e a tutte le sue conseguenze fino al momento in cui la sua dichiarazione produce gli effetti desiderati, quindi dal momento della completa decorrenza del preavviso.

In tema di impugnazione di delibere di s.r.l., la deliberazione dell’assemblea assunta senza la convocazione di uno dei soci è da ritenersi nulla, poiché il disposto dell’art. 2479 ter, co. 3, c.c., nella parte in cui considera le decisioni prese in assenza assoluta di informazioni, non si riferisce soltanto alla mancanza di informazioni sugli argomenti da trattare ma anche alla mancanza di informazioni sull’avvio del procedimento deliberativo. Più nello specifico, la mancata convocazione del socio di una s.r.l. per l’assemblea è qualificabile come vizio di nullità della deliberazione e, pertanto, la comprovata ignoranza da parte del socio della convocazione determina la nullità della deliberazione adottata.

L’invalidità di una delibera non incide sulla validità delle successive delibere adottate dalla società, a meno che la prima delibera non sia stata sospesa ai sensi dell’art. 2378 c.c. La mancanza di un provvedimento di sospensione comporta la legittimità degli atti esecutivi, ancorché relativi a una delibera annullabile. E tale legittimità resiste al sopravvenire dell’annullamento: in caso contrario, l’istituto della sospensione non avrebbe alcun senso, visto che gli effetti giuridici sarebbero i medesimi sia che l’impugnante abbia ottenuto la sospensione della delibera, sia che non l’abbia ottenuta. Ciò, del resto, è del tutto coerente con le esigenze di certezza e stabilità sottese alla disciplina delle società commerciali, la gestione delle quali rischierebbe di essere paralizzata dal propagarsi degli effetti della illegittimità delle delibere assembleari oltre un certo segno.

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Effetti processuali della nullità della società dichiarata in un separato giudizio
L’accoglimento in altro giudizio della domanda di accertamento della nullità di una società non preclude in ogni caso lo scrutinio...

L’accoglimento in altro giudizio della domanda di accertamento della nullità di una società non preclude in ogni caso lo scrutinio delle domanda di pagamento del rimborso degli oneri relativi alla manutenzione straordinaria e all’ICI di unità immobiliari concesse in godimento ai soci titolari di azioni speciali. Ciò in quanto tali spese non sono connesse alla prosecuzione dell’attività sociale, ma riguardano piuttosto le obbligazioni dei soci verso la società e, considerata la ratio del secondo comma dell’art. 2332 c.c. (che pure parla di “conferimenti”), deve giungersi non già alla declaratoria di inammissibilità della domanda, bensì al suo esame nel merito.

Né al fine di escludere la fondatezza della pretesa di pagamento, può essere utilmente invocata la circostanza per cui la società non verserebbe all’erario l’ICI che chiede ai soci. L’eventuale inadempimento da parte della società agli obblighi tributari su di essa gravanti se consente al fisco di agire per il recupero di quanto allo stesso spettante, non fa certamente venir meno il debito dei soci nei confronti della società, fondato su valide delibere societarie.

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L’onere della prova in relazione alla legittimità dell’esclusione del socio di società cooperativa
Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che,...

Nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una società cooperativa, incombe sulla società – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato. Tale redistribuzione dell’onere della prova sui fatti costitutivi della fattispecie non porta alla svalutazione della rilevanza dei motivi posti dal socio a sostegno della propria opposizione, quasi che questa si risolva in una mera sollecitazione al controllo giurisdizionale dell’esclusione indipendentemente dagli argomenti addotti dall’interessato per contestarne la legittimità. L’onere della prova è pur sempre circoscritto a quel che forma oggetto della controversia, i cui confini non possono che essere desunti dal contenuto dell’atto introduttivo del giudizio: senza che il giudice possa, ex officio, ricercare ulteriori ragioni di illegittimità della delibera di esclusione, onerando la società di provarne la conformità a legge e statuto oltre i motivi allegati dal socio.

Non v’è dubbio che compete al giudice di merito la valutazione in concreto dalla riconducibilità dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione. Ed è del pari indubbio che, nel fare ciò, quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica, quel giudice deve tener conto della rilevanza dalla lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, potendosi ragionevolmente ritenere che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintenda un elementare criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento addebitato al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo. Sarebbe del resto contrario al fondamentale principio di buona fede l’ammettere che un pregiudizio di scarsa rilevanza, in applicazione di una previsione statutaria di carattere generico, possa provocare una reazione a tal punto radicale. Ma, se tutto questo è vero, ugualmente vero è che il giudice di merito deve dare conto con adeguata e logica motivazione della valutazione in proposito operata, a che tale valutazione egli è tenuto a compiere non perdendo di vista il già richiamato principio di buona fede, cui ovviamente non soltanto il comportamento della cooperativa, ma anche quello del socio, dev’esser improntato. Né deve il giudicante trascurare, in un simile contesto, la rilevanza centrale che ha l’elemento personale nella società cooperativa, essendo questa fondata su un principio solidaristico che necessariamente postula, in misura ancora maggiore di quanto accade in società di altro tipo, il reciproco affidamento dei soci, il venir meno del quale costituisce il sostrato logico necessario di qualsiasi anche più specifica previsione statutaria di comportamenti implicanti l’esclusione.

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Legittimazione all’impugnazione della delibera assembleare ed effetti della sospensiva cautelare
L’azione di annullamento delle delibere assembleari presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore non solo...

L'azione di annullamento delle delibere assembleari presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell'attore non solo al momento della proposizione della domanda, ma anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta. È pertanto privo di legittimazione attiva ad impugnare una delibera assembleare colui che non era socio al momento dell’adozione della suddetta delibera, avendo egli perso la sua qualità di socio in conseguenza di una precedente delibera di esclusione di cui sia pur stata disposta la sospensione in via cautelare in un secondo momento.

La sospensiva cautelare di una delibera assembleare non retroagisce al momento della domanda ma produce i suoi effetti soltanto a partire dalla sua concessione. Invero, unicamente la sentenza di merito determina la rimozione totale del provvedimento gravato, provocando l'eliminazione, con efficacia ex tunc, degli effetti medio tempore prodotti e con preclusione di eventuali sue reiterazioni pedisseque, in virtù dell'exceptio rei judicatae: effetti, questi ultimi, che non conseguono in alcun modo alla mera sospensione interinale. Pertanto, alla sospensione della delibera assembleare di esclusione del socio deve essere ascritta la mera finalità di evitare che la durata del processo possa incidere irreversibilmente sulla posizione del socio stesso, qualora, all'esito del giudizio, egli venga confermato tale (natura conservativa), consentendo un ripristino provvisorio del rapporto societario ed evitando che la posizione di socio venga ad essere definitivamente compromessa, non solo non percependo gli utili, ma anche e soprattutto non potendo influire - cosa ancora più evidente quando si tratti, come nel caso concreto, di società di persone - sull'amministrazione e gestione della società.

Quando due giudizi tra cui sussiste pregiudizialità risultino pendenti davanti al medesimo ufficio giudiziario, non deve disporsi la sospensione di quello pregiudicato, ma occorre verificare la sussistenza dei presupposti per la riunione dei processi ai sensi dell’art. 274 c.p.c.

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Azione di ripetizione nei confronti di un socio di S.r.l. beneficiario di somme oggetto di distrazione
La domanda di ripetizione di un pagamento non dovuto promossa dalla società a responsabilità limitata nei confronti di un proprio...

La domanda di ripetizione di un pagamento non dovuto promossa dalla società a responsabilità limitata nei confronti di un proprio socio, non in qualità di socio che ha intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento degli atti di distrazione dannosi per la società ex art. 2476, comma 8, cc., ma come soggetto terzo a cui sono stati indebitamente effettuati dei pagamenti non dovuti, consente di inquadrare la fattispecie all’interno della ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c. c. Peranto, la società attrice ha il solo onere di allegare (ma non di provare) l’inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo del pagamento, essendo onere del convenuto provare che il pagamento era sorretto da una giusta causa.

Ai fini della ripetizione dell’indebito oggettivo non è necessario che il solvens versi in errore circa l’esistenza dell’obbligazione, posto che, diversamente dall’indebito soggettivo ex persona debitoris (in cui l’errore scusabile è previsto dalla legge come condizione della ripetibilità, ricorrendo l’esigenza di tutelare l’affidamento dell’accipiens), nell’ipotesi di cui all’art. 2033 non vi è un affidamento da tutelare, in quanto l’accipiens non ha alcun diritto di conseguire, né dal solvens né da altri, la prestazione ricevuta e la sua buona o mala fede rileva solo ai fini della decorrenza degli interessi.

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Durata della società di capitali e recesso ad nutum
E’ escluso il diritto di recesso ad nutum del socio di società per azioni nel caso in cui lo statuto...

E’ escluso il diritto di recesso ad nutum del socio di società per azioni nel caso in cui lo statuto preveda una prolungata durata della società , non potendo tale ipotesi essere assimilata a quella, prevista dall’art. 2437, comma 3, c.c., della società costituita per un tempo indeterminato, stante la necessaria interpretazione restrittiva delle cause che legittimano la fuoriuscita del socio dalla società. Si deve altresì escludere l’estensione della disciplina prevista dall’art. 2285 c.c. per le società di persone (nelle quali prevale l’intuitus personae), ostandovi le esigenze di certezza e di tutela dell’interesse dei creditori delle società per azioni al mantenimento dell’integrità del patrimonio sociale, potendo essi fare affidamento solo sulla garanzia generica da quest’ultimo offerta, a differenza dei creditori delle società di persone, che invece possono contare anche sui patrimoni personali dei soci illimitatamente responsabili.

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Sugli elementi valutabili ai fini della compromettibilità in arbitri delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere di aumento o riduzione del capitale sociale
L’aspetto determinante per decidere circa l’arbitrabilità delle controversie riguardanti le impugnazioni delle delibere societarie consiste nella prospettazione dei fatti concretamente...

L’aspetto determinante per decidere circa l’arbitrabilità delle controversie riguardanti le impugnazioni delle delibere societarie consiste nella prospettazione dei fatti concretamente fornita dalle parti e degli interessi specificamente convolti. In linea generale, al fine di negare o consentire un giudizio arbitrale su controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di delibere societarie incidenti sul capitale sociale (in termini di suo aumento e/o riduzione), occorre verificare se le stesse, rispettivamente, influiscano, o meno, su interessi superindividuali della società, dei soci e dei terzi la cui tutela sia assicurata, o non, mediante la predisposizione di norme inderogabili che, se violate, determinerebbero la reazione dell’ordinamento svincolata da una qualsiasi iniziativa di parte. Pertanto, laddove il coinvolgimento di tali interessi non sia direttamente inciso dall’oggetto del processo, deve escludersi che si sia al cospetto di diritti indisponibili, con conseguente possibilità, in presenza di una clausola compromissoria contenuta nell’atto costitutivo o nello statuto della società, di sottoporre le controversie suddette alla cognizione arbitrale.

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