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Natura sinallagmatica del compenso dell’amministratore di S.r.l.: applicabilità dei principi delle obbligazioni contrattuali
Al compenso dell’amministratore della S.r.l. va riconosciuta natura sinallagmatica. Esso costituisce il corrispettivo per l’attività espletata e può riconoscersi all’amministratore...

Al compenso dell’amministratore della S.r.l. va riconosciuta natura sinallagmatica. Esso costituisce il corrispettivo per l’attività espletata e può riconoscersi all'amministratore solo ove detta attività sia stata in concreto svolta. In ragione di tale natura, trovano applicazione i principi propri delle obbligazioni contrattuali ed è dunque proponibile, da parte della società, l’eccezione di inadempimento ex art 1460 c.c..

Non può essere ammessa l'applicazione del meccanismo della prorogatio in favore di un amministratore revocato giudizialmente. La medesima regola deve ritenersi applicabile al caso della sospensione della delibera di nomina.

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Traslatio iudicii ed estinzione del giudizio ex artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c.
In caso di traslatio iudicii ex artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., la riassunzione della causa dinanzi al giudice competente...

In caso di traslatio iudicii ex artt. 50 c.p.c. e 125 disp. att. c.p.c., la riassunzione della causa dinanzi al giudice competente va effettuata mediante comparsa - o con atto equipollente, citazione o ricorso, che tuttavia presenti i requisiti formali ex art. 125 disp. att. c.p.c. - da notificarsi alla controparte o, se quest'ultima non costituita, al relativo procuratore costituito, entro il termine di legge assegnato dal giudice dichiaratosi incompetente o entro tre mesi dalla comunicazione della pronuncia di incompetenza, a pena di estinzione del processo.

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Insussistenza del diritto di accesso alla documentazione sociale a favore del socio receduto
Il diritto del socio non amministratore di S.r.l. di accedere alla documentazione sociale ex art. 2476, comma 2, c.c. presuppone, in capo...

Il diritto del socio non amministratore di S.r.l. di accedere alla documentazione sociale ex art. 2476, comma 2, c.c. presuppone, in capo al richiedente, la qualità di socio (non amministratore) e, pertanto, non sussiste in capo al socio che abbia già esercitato il diritto di recesso dalla società.

La natura recettizia della dichiarazione di recesso comunicata dal socio, alla stregua di quanto previsto dall’art. 1334 c.c., è produttiva di effetti immediatamente nel momento in cui entra nella sfera di conoscenza della società e non al termine della procedura di modificazione definitiva della compagine sociale, consistente nella liquidazione della quota mediante acquisto della stessa da un socio o da un terzo. Pertanto, quando la manifestazione di volontà del socio recedente viene portata a conoscenza della società, il socio receduto si trasforma in un mero creditore nei confronti della società per il rimborso della quota e, conseguentemente, perde la propria legittimazione ad esercitare il diritto di controllo previsto dall’art. 2476, comma 2, c.c.

Il socio recedente è comunque tutelato dalla possibilità, prevista dall’art. 2476, comma 3, c.c., di richiedere al Tribunale la nomina di un esperto che, tramite relazione giurata, proceda alla determinazione del valore della quota al medesimo spettante.

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Attività di direzione e coordinamento: definizione della fattispecie e responsabilità
L’attività di coordinamento realizza un sistema di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva,...

L’attività di coordinamento realizza un sistema di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva, estesa all’insieme delle società, mentre l’attività di direzione individua una pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa ossia sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali. In particolare, la direzione e il coordinamento richiedono una incidenza nella gestione dell’impresa, mentre le funzioni di audit e compliance imposte dalla controllante sulle controllate non sarebbero significative di per sé della eterodirezione (e così, ad esempio, la predisposizione di codici di comportamento, circolari relative all’assetto organizzativo, amministrativo o contabile). Non si esclude che possa esservi un esercizio concorrente nell’ambito dello stesso gruppo di attività di direzione e coordinamento laddove la subholding abbia il potere di determinare essa stessa i contenuti delle direttive ricevute dalla holding di vertice.

L’azione di responsabilità riconosciuta al socio ed al creditore della società eterodiretta è azione propria, diretta e non azionata in via surrogatoria rispetto all’azione sociale. Si tratta di un’azione volta alla riparazione di un danno comunque riflesso maturato in capo alla società: si tratta di ipotesi derogatoria rispetto alla regola del diritto societario comune per la quale il singolo socio che ha subito un danno riflesso non può agire in via individuale per reintegrare il proprio patrimonio personale, ma solo agire in via surrogatoria per la reintegrazione del patrimonio sociale. Nel caso dell’art. 2497 c.c., invece, il socio, pur avendo subito un danno riflesso, viene tutelato e gli è consentito chiedere il risarcimento del proprio danno, sulla base della considerazione che difficilmente la società eterodiretta, che partecipa dell’interesse di gruppo e che ne ha attuato le direttive, proporrebbe una azione risarcitoria nei confronti della capogruppo.

L’art. 2497, co. 3, c.c. non prevede una condizione di procedibilità costituita dalla preventiva infruttuosa escussione della eterodiretta, in quanto l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento è posto unicamente in capo alla società capogruppo. Tale norma, infatti, si limita a prevedere un’ipotesi meramente fattuale, al ricorrere della quale l’obbligo risarcitorio della controllante viene meno. È esclusa la responsabilità della capogruppo in tre casi, in cui un danno risarcibile non esiste più: (i) perché è mancante, alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento (art. 2497, co. 1, ultima parte, c.c.); (ii) perché è integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette (art. 2497, co. 1, ultima parte, c.c.); (iii) o perché è azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (art. 2497, co. 3, c.c.), secondo un meccanismo meramente fattuale.

Legittimato attivo all’esperimento dell’azione ex art. 2497 c.c. è anche il socio di maggioranza della società eterodiretta.

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Il danno cagionato dagli amministratori con pagamenti preferenziali e la irregolare tenuta delle scritture contabili
Se i pagamenti preferenziali sono certamente dannosi per la massa dei creditori e il curatore del fallimento è l’unico soggetto...

Se i pagamenti preferenziali sono certamente dannosi per la massa dei creditori e il curatore del fallimento è l’unico soggetto legittimato ad agire per il relativo risarcimento, tale danno non può essere indentificato nell’intero importo versato, volto comunque a estinguere una passività societaria. Il danno andrà piuttosto quantificato in via equitativa in relazione all’entità della falcidia fallimentare e all’art. 185 c.p., anche alla luce di eventuali vantaggi dell’autore dei pagamenti, che per esempio abbia estinto debiti societari assistiti da proprie garanzie personali.

Se, alla luce del principio di insindacabilità del merito gestorio, non ogni atto dannoso per il patrimonio sociale è idoneo a fondare la responsabilità dell’amministratore che lo abbia compiuto, non tutte le violazioni di obblighi derivanti dalla carica comportano necessariamente una lesione del patrimonio sociale e, dunque, l’individuazione di un danno risarcibile. Non tutti i comportamenti illeciti degli amministratori danno luogo infatti a responsabilità risarcitoria, ma solo quelli che abbiano causato un danno al patrimonio sociale rendendolo incapiente, danno che deve essere legato da un nesso eziologico ai suddetti illeciti. L’irregolare e anche disordinata tenuta della contabilità integra una violazione dei doveri dell’amministratore, solo potenzialmente, ma non necessariamente, foriera di danno per la società. Eventuali irregolarità nella tenuta delle scritture contabili e nella redazione dei bilanci possono certamente rappresentare lo strumento per occultare pregresse operazioni illecite, ovvero per celare la causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, n. 4, c.c. e così consentire l’indebita prosecuzione dell’ordinaria attività gestoria in epoca successiva alla perdita dei requisiti di capitale previsti dalla legge; ma in tali ipotesi il danno risarcibile è rappresentato, all’evidenza, non già dalla misura del falso, ma dagli effetti patrimoniali delle condotte che con quei falsi si sono occultate o che, grazie a quei falsi, sono state consentite. Tali condotte dunque devono essere specificamente contestate da chi agisce per il risarcimento del danno, non potendo il giudice individuarle e verificarle d’ufficio.

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Sulla diligenza del contraente investitore professionale in presenza di false dichiarazioni
La diligenza del contraente di un accordo di investimento non può comprendere la presunzione di falsità delle dichiarazioni rese dalla...

La diligenza del contraente di un accordo di investimento non può comprendere la presunzione di falsità delle dichiarazioni rese dalla controparte, né necessariamente sostanziarsi in un obbligo di indagare la loro veridicità; di contro, il disporre di capacità di analisi professionali derivanti dalla qualità di investitore professionale, non trasforma in negligenza aver fatto affidamento sulla buona fede e correttezza altrui.

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Presupposti dell’abuso di dipendenza economica tra imprese
Nell’ambito della fattispecie dell’abuso di dipendenza economica tra imprese si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia...

Nell'ambito della fattispecie dell'abuso di dipendenza economica tra imprese si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare nei rapporti commerciali con un'altra impresa un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, e non è decisivo, che tale fattispecie sia prevista dal legislatore espressamente con riguardo solo alla fattispecie della subfornitura nelle attività produttive, poiché, per giurisprudenza costante, esso rappresenta un principio generale.

Nell'applicazione dell'art. 9 della l. n. 192 del 1998 vietante l'abuso di dipendenza economica tra imprese aventi un rapporto contrattuale è necessario, quanto alla sussistenza della situazione di dipendenza economica, indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia eccessivo, essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato; quanto invece all'abuso, è necessario indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante, mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui.

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Sequestro conservativo nei confronti dell’amministratore di fatto
Amministratore, o liquidatore, di fatto è colui che svolge i compiti precipui di tali organi, in maniera non sporadica; ma...

Amministratore, o liquidatore, di fatto è colui che svolge i compiti precipui di tali organi, in maniera non sporadica; ma la sistematicità dell’ingerenza è desumibile anche dalla rilevanza di singoli atti, di cui si possa attribuire la paternità all’amministratore di fatto; [nel caso di specie, il tribunale ha considerato sufficiente a rivelare l’esercizio, di fatto, dell’amministrazione l’avere il resistente redatto dei bilanci, tra cui quello finale di liquidazione, e portato gli stessi in assemblea per l’approvazione dei soci].

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Responsabilità dell’amministratore di fatto per condotte distrattive e responsabilità solidale dell’amministratore di diritto
L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione, e...

L’individuazione della figura del c.d. amministratore di fatto presuppone che la persona abbia in concreto svolto attività di gestione, e non anche meramente esecutive, della società e che tale attività abbia carattere sistematico e non si esaurisca nel compimento di taluni atti di natura eterogenea ed occasionale. La corretta individuazione della figura richiede l’accertamento dell’avvenuto inserimento nella gestione dell’impresa, desumibile dalle direttive impartite e dal condizionamento delle scelte operative della società, che si verifica quando le funzioni gestorie, svolte appunto in via di fatto, non si siano esaurite nel compimento di atti di natura eterogenea e occasionale, essendo la sistematicità sintomatica dell’assunzione di quelle funzioni.

Il soggetto che accetti di ricoprire la carica di amministratore di una società di capitali e poi consenta, con pieno assenso e consapevolezza, che a gestire l’impresa sociale sia di fatto un terzo, è sotto il profilo causale necessario compartecipe e sotto quello giuridico corresponsabile di ogni singolo atto di gestione che abbia lasciato compiere all’amministratore di fatto. Ove quest’ultimo arrechi un vulnus all’integrità del patrimonio sociale, la responsabilità in relazione a tale evento dannoso è pertanto ascrivibile, in via solidale, anche all’amministratore di diritto.

L’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. può essere esercitata entro cinque anni dalla cessazione dell’amministratore dalla carica mentre l’azione di responsabilità dei creditori sociali verso gli amministratori si prescrive sempre in cinque anni, ex art. 2949, co. 2, c.c., ma il termine decorre dal momento in cui si è verificata l’insufficienza del patrimonio sociale o, più precisamente, dal momento in cui questa insufficienza patrimoniale diviene oggettivamente conoscibile da tutti i creditori. Quanto all’azione dei creditori sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa.

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Sulla tempestività della convocazione assembleare e sull’abuso di potere nell’adozione di delibere assembleari
Deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti...

Deve presumersi che l’assemblea dei soci sia validamente costituita ogni qual volta i relativi avvisi di convocazione siano stati spediti agli aventi diritto almeno otto giorni prima dell’adunanza (o nel diverso termine eventualmente in proposito indicato dall’atto costitutivo); tale presunzione può essere vinta nel caso in cui il destinatario dimostri che, per causa a lui non imputabile, egli non abbia affatto ricevuto l’avviso di convocazione o lo abbia ricevuto così tardi da non consentirgli di prendere parte all’adunanza, in base a circostanze di fatto il cui accertamento e la cui valutazione in concreto sono riservati alla cognizione del giudice di merito.

L’abuso o eccesso di potere è causa di annullamento delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società – per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico a quello sociale –, ovvero sia il risultato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci maggioritari diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. Al di fuori di tali ipotesi, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera. Nel concreto, è dunque necessario dimostrare l’esercizio fraudolento ovvero ingiustificato del potere di voto, non potendo l’abuso consistere nella mera valutazione discrezionale del socio dei propri interessi, ma dovendo concretarsi nella intenzionalità specificamente dannosa del voto, ovvero nella compressione degli altrui diritti in assenza di apprezzabile interesse del votante.

L’esame del merito della delibera è ammesso solo in presenza di indici oggettivi che consentano di sospettare la violazione di vincoli imposti dall’ordinamento alla maggioranza; della prova di tali indizi è onerata la parte che assume l’illegittimità della deliberazione. Grava, cioè, sul socio di minoranza l’onere di provare che il socio di maggioranza abbia abusato del proprio diritto. Poiché l’abuso presuppone un controllo di merito del giudice, il socio di minoranza, oltre a provare la arbitraria e fraudolenta preordinazione della delibera da parte dei soci maggioritari, dovrà preventivamente fornire quei sintomi di illiceità, tali da consentire al giudice l’analisi delle motivazioni della delibera, per poter verificare se effettivamente abuso vi sia stato. La presenza del fine fraudolento, la cui prova può essere data anche induttivamente, dimostrando che lo scopo apparentemente perseguito dalla società è in realtà inesistente, costituisce non solo un sintomo del vizio della decisione impugnata, ma anche il limite alla tutela della minoranza.

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Sui motivi di impugnazione del lodo arbitrale irrituale
Nell’arbitrato irrituale, attesa la sua natura volta ad integrare una manifestazione di volontà negoziale sostitutiva di quella delle parti in...

Nell’arbitrato irrituale, attesa la sua natura volta ad integrare una manifestazione di volontà negoziale sostitutiva di quella delle parti in conflitto, il lodo è impugnabile soltanto per i vizi che possono vulnerare simile manifestazione di volontà, con conseguente esclusione dell’impugnazione per nullità prevista dall’art. 828 c.p.c. Pertanto, l’errore del giudizio arbitrale, deducibile in sede di impugnazione, per essere rilevante, deve integrare gli estremi della essenzialità e riconoscibilità di cui agli artt. 1429 e 1431 c.c., mentre non rileva l’errore commesso dagli arbitri con riferimento alla determinazione adottata in base al convincimento raggiunto dopo aver interpretato ed esaminato gli elementi acquisiti.

La violazione dei limiti del mandato conferito agli arbitri rileva ai fini della impugnazione del lodo ai sensi dell’art. 1429 c.c., cioè come errore che abbia inficiato la volontà contrattuale espressa dagli arbitri.

La parte che domanda l’annullamento del contratto per errore essenziale sulle qualità del bene ha l’onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulta, nonché l’essenzialità dell’errore e la sua riconoscibilità dalla controparte con l’uso dell’ordinaria diligenza, mentre la scusabilità dell’errore che abbia viziato la volontà del contraente al momento della conclusione del contratto è irrilevante ai fini dell’azione di annullamento, poiché deve aversi riguardo alla riconoscibilità dell’errore da parte dell’altro contraente.

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