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Sulla prova dell’assunzione del ruolo di amministratore di fatto
L’espletamento in via di fatto del ruolo di amministratore della società deve essere provato mediante fonti atte a dimostrare che...

L’espletamento in via di fatto del ruolo di amministratore della società deve essere provato mediante fonti atte a dimostrare che il terzo abbia assunto decisioni per la gestione della società, senza rivestire alcun ruolo che lo legittimasse a tanto. Rientrano in tale ambito le decisioni attinenti alla gestione dei rapporti con i dipendenti, con i terzi fornitori, con i fruitori dell’attività svolta dalla società, con le banche o comunque con soggetti in relazione con la società per i suoi fini istituzionali.

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Patti parasociali a fondamento di pretese monitorie
Le scritture private regolatorie dei rapporti fra i soci sono qualificate come patti parasociali e, a seconda del loro contenuto,...

Le scritture private regolatorie dei rapporti fra i soci sono qualificate come patti parasociali e, a seconda del loro contenuto, possono costituire titoli negoziali su cui fondare una pretesa monitoria. La lite che trova titolo nel patto parasociale rientra nella competenza della Sezione Specializzata in materia di Imprese ai sensi dell’art. 3 d. lgs. 27/6/2003, n. 168.

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Azione di responsabilità nei confronti degli eredi dell’amministratore deceduto
Nel caso di azione di responsabilità promossa ex art. 146 L.F. avverso un soggetto successivamente deceduto, questa non può proseguire...

Nel caso di azione di responsabilità promossa ex art. 146 L.F. avverso un soggetto successivamente deceduto, questa non può proseguire nei confronti degli eredi che abbiano rinunciato all'eredità, e ciò anche nel caso in cui la rinuncia avvenga in un momento successivo alla notifica della riassunzione del giudizio nei loro confronti, dovendo essere riconosciuta efficacia retroattiva a tale scelta ai sensi dell'art. 521 c.c..

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Sull’efficacia della clausola di liquidation preference non inserita nello statuto sociale
La clausola di liquidazione preferenziale (cd. “liquidation preference clause“) inserita in un accordo di investimento – e non replicata in...

La clausola di liquidazione preferenziale (cd. "liquidation preference clause") inserita in un accordo di investimento - e non replicata in alcuna disposizione statutaria - ha efficacia esclusivamente tra i sottoscrittori dell'accordo di investimento nel quale è stata inserita e non è opponibile, all'interno della società, ai soci non aderenti, nell'ambito della distribuzione dell'attivo di liquidazione, non avendo trovato tale clausola di liquidazione preferenziale collocazione nello statuto sociale; il bilancio finale di liquidazione che non abbia correttamente individuato il riparto dell'attivo ai soci deve essere dichiarato invalido.

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Prevalenza dell’eccezione di arbitrato sull’eccezione di incompetenza territoriale
La decisione sull’eccezione di arbitrato, implicando una scelta alternativa e reciprocamente escludente fra giustizia arbitrale e giustizia ordinaria, è pregiudiziale...

La decisione sull’eccezione di arbitrato, implicando una scelta alternativa e reciprocamente escludente fra giustizia arbitrale e giustizia ordinaria, è pregiudiziale rispetto alla questione relativa all’individuazione del giudice statale competente secondo i criteri di cui all’art. 38 c.p.c.

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Sul periculum in materia di sequestro conservativo di beni e crediti
L’esiguità patrimoniale dei debitori non integra il requisito di legge ex art. 671 c.p.c.: il rischio che la legge vuole...

L’esiguità patrimoniale dei debitori non integra il requisito di legge ex art. 671 c.p.c.: il rischio che la legge vuole evitare non è che il debitore non sia in grado di pagare, ma che la garanzia offerta dal suo patrimonio diminuisca per fatto volontario del debitore stesso (periculum soggettivo) o per fatto indipendente dalla sua volontà (periculum oggettivo).

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Illegittima prosecuzione dell’attività di impresa dopo la perdita del capitale sociale: calcolo del danno
I criteri di quantificazione del danno derivante da gestione non conservativa della società ex art. 2486 c.c. sono applicabili “salva...

I criteri di quantificazione del danno derivante da gestione non conservativa della società ex art. 2486 c.c. sono applicabili “salva la prova di un diverso ammontare”. Infatti, tanto il criterio c.d. “incrementale” quanto quello c.d. “differenziale” sono in sostanza equitativi, poiché non basati sulla prova oggettiva del pregiudizio provocato dalla prosecuzione dell’attività (come sarebbe se, consentendolo le scritture contabili, si procedesse secondo il criterio c.d. “analitico”, fondato sull’esame di ciascuna singola operazione compiuta nel periodo), bensì desunti da dati che non ne sono certa e diretta espressione, con il rischio che nel computo del danno risarcibile finiscano voci di debito non provocate dalla condotta illecita dell’organo di gestione, ma da atti di gestione anteriori. Il principio espresso dalla norma in esame, dunque, continua ad essere quello per cui il risarcimento dev’essere il più possibile aderente al danno provocato: solo se tale aderenza non può essere ottenuta è applicabile un criterio che, anziché far premio agli amministratori per la loro negligenza contabile, semmai la penalizza; ma ogni qual volta i criteri equitativi indicati dalla legge possono essere corretti nei loro effetti distorsivi, attraverso l’utilizzo di dati certi, non vi è motivo di non farvi ricorso, poiché essi valgono, appunto a fornire “la prova di un diverso ammontare”, maggiormente vicino alla realtà.

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Sospensione della delibera assembleare mediante ri-deposito dell’atto di citazione, inesistenza e nullità della delibera
La norma di cui all’art. 2378, co. 3, c.c prevede, per l’ottenimento del provvedimento di sospensione della delibera impugnata, il...

La norma di cui all’art. 2378, co. 3, c.c prevede, per l'ottenimento del provvedimento di sospensione della delibera impugnata, il deposito di un ricorso contestualmente al deposito dell'atto di citazione. Qualora l'istanza di sospensione venga avanzata mediante il ri-deposito del medesimo atto di citazione,  devono ritenersi comunque salvi gli effetti sostanziali e processuali dell’atto qualora questo contenga tutti gli elementi ed è stato anche ritualmente notificato, unitamente al decreto di fissazione di udienza, alla controparte.

La fattispecie dell'inesistenza della delibera assembleare sussiste solo quando la delibera assembleare di una società di capitali risulta assunta con la sola partecipazione di soggetti privi della qualità di socio.

Laddove l'art. 2479-ter, co. 3, c.c. contempla, tra i casi di nullità della delibera, il difetto assoluto di informazione, tale norma si riferisce esclusivamente al difetto assoluto di convocazione. Diversamente, quando la carenza non sia “assoluta” essendovi stata convocazione, ma sussiste un deficit informativo, il vizio potrà al più portare all'annullabilità, ma non alla nullità della delibera.

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Eccezione di postergazione del finanziamento soci opposta dalla società espromittente
La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al...

La clausola, contenuta in un contratto di cessione di quote, per cui la società acquirente si impegna a rimborsare al venditore, entro una certa data, il suo finanziamento alla società ceduta, non può essere dichiarata nulla per difetto del requisito di determinatezza. Se, difatti, l’oggetto dell’obbligazione si identifica nelle prestazioni che le parti sono vincolate ad eseguire, e questo si ritiene determinato laddove sia chiaro alle parti ciò a cui si obbligano, allora deve asserirsi che la clausola dia forma ad un’obbligazione avente ad oggetto una prestazione di dare una somma di denaro, determinata in quanto comprensibile alle parti, oltre che eseguibile mediante un procedimento di mera attuazione (senza, cioè, necessità di alcuna integrazione).

La clausola produce effetti da inquadrarsi nel genus delle modificazioni del lato passivo del rapporto obbligatorio e, specificatamente, nella fattispecie dell’espromissione, descritta dall’art. 1272 c.c. L’espromissione prende forma in un contratto fra il creditore espromissario ed un terzo espromittente, per il tramite del quale quest’ultimo spontaneamente si impegna, nei confronti del primo, a pagare un preesistente debito dell’obbligato originario espromesso, dovendo escludersi che siano giuridicamente rilevanti i motivi che hanno determinato l’intervento dell’espromittente. L’espromissione si differenzia dall’accollo, disciplinato dall’art. 1273 c.c.,  per la totale estraneità all’operazione negoziale del debitore originario espromesso. Nello schema dell’espromissione, il terzo espromittente subentra nella stessa posizione del debitore originario, potendo opporre al creditore  le eccezioni (c.d. comuni) che a quest’ultimo avrebbe potuto opporre il debitore originario, con esclusione delle eccezioni c.d. personali e di quelle che derivano da fatti successivi all’espromissione (art. 1272, comma 3, c.c.).

L’eccezione di postergazione pare rientrare tra quelle c.d. personali, essendo basata su atti e fatti strettamente dipendenti dalla natura di persona giuridica del soggetto finanziato, dalla sua situazione patrimoniale al tempo dei conferimenti posti in essere in suo favore, dal particolare rapporto giuridico di natura societaria esistente tra autore e destinatario del finanziamento. Non potendosi dunque ricomprendere l’eccezione in questione tra quelle c.d. comuni, ne discende che esclusivamente la società che ha contratto il finanziamento soci potrebbe astrattamente opporre al creditore la natura postergata del credito; tale facoltà non è invece riconoscibile in capo alla società espromittente.

Alla stessa conclusione si perviene avendo riguardo anche alla ratio sottesa all’istituto della postergazione, che è quella di conservare l’apporto economico dei soci a servizio dell’attività svolta dall’impresa sociale, al fine di evitare che il rischio correlato all’impresa, priva di adeguati mezzi propri, sia posto a carico dei creditori esterni alla società. Per il tramite dell’art. 2467 c.c., laddove ricorrano le condizioni dettagliate dal comma 2, si persegue l’intento di preferire, in sede di soddisfacimento del credito, i creditori sociali ai soci finanziatori, derivandone che i secondi possono essere rimborsati esclusivamente dopo il completo soddisfacimento dei primi. Al contrario, in relazione all’adempimento, da parte di un terzo, dell’obbligazione di rimborso del finanziamento eseguito dal socio, non si pone alcuna esigenza di salvaguardia del patrimonio della società beneficiaria - di fatto estranea al suddetto rapporto obbligatorio - a fini di tutela dei creditori sociali di quest’ultima, cosicché l’applicazione al caso di specie della disposizione di cui all’art. 2467 c.c. non presenta alcuna effettiva ragion d’essere.

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Responsabilità degli amministratori derivante dall’illegittima prosecuzione dell’attività di impresa
Il criterio che quantifica il danno da illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa è quello della differenza tra il patrimonio netto calcolato...

Il criterio che quantifica il danno da illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa è quello della differenza tra il patrimonio netto calcolato alla data del fallimento e alla data in cui l’attività avrebbe dovuto cessare. Poiché il patrimonio dell’impresa costituisce la misura del soddisfacimento dei creditori fallimentari, infatti, la diminuzione di valore di detto patrimonio rappresenta un danno per i creditori, ma anche per la stessa società, privata della prospettiva del rientro in bonis, una volta pagati i creditori, quando residui un attivo; e ciò ferma restando la risarcibilità dei danni riconducibili a singole condotte, laddove non siano assorbiti dall’incremento del passivo altrimenti calcolato. Vanno comunque dedotti quei costi che sarebbero stati sostenuti anche nella fase di liquidazione, previa riclassificazione dei dati patrimoniali in prospettiva liquidatoria, ossia compiendo sui bilanci le operazioni necessarie a valorizzare il patrimonio non più come strumento funzionale alla produzione del reddito d’impresa, ma come insieme dei cespiti da liquidare per il soddisfacimento dei creditori.

Salvo prova contraria, i componenti del consiglio di amministrazione hanno i medesimi poteri decisori e pertanto, in assenza di un operoso dissenso di taluno di essi rispetto alla gestione sociale, va applicata la regola della solidale responsabilità dei componenti dell’organo amministrativo collegiale. In questo senso, la redazione o l’approvazione del bilancio sono indici esterni della consapevolezza della situazione patrimoniale della società in capo a tutti gli amministratori, i quali hanno il dovere di avere costante conoscenza della situazione economico-finanziaria e patrimoniale della società.

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Decorrenza del termine di impugnazione della delibera di aumento di capitale di s.r.l.
In tema di società a responsabilità limitata, il termine per l’impugnazione delle delibere relative ad operazioni sul capitale, qualunque sia...

In tema di società a responsabilità limitata, il termine per l’impugnazione delle delibere relative ad operazioni sul capitale, qualunque sia il vizio fatto valere (nullità o annullabilità) è di novanta giorni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci, nonché, in forza del rinvio operato dall’art. 2479-ter c.c., ultimo comma, all’art. 2379-ter c.c., 1 comma, quello di centottanta giorni decorrente dall’iscrizione della stessa nel registro delle imprese, laddove sia stata adempiuta solo questa formalità e non l’altra.

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