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Trattamento di fine mandato quale elemento eventuale del compenso dell’amministratore di s.r.l.
In tema di trattamento economico dell’amministratore, il trattamento di fine mandato non costituisce un accessorio del compenso, che sia dovuto...

In tema di trattamento economico dell’amministratore, il trattamento di fine mandato non costituisce un accessorio del compenso, che sia dovuto per legge, ma una gratifica del tutto eventuale, che può essere riconosciuta allo stesso solo in forza di una libera contrattazione delle parti e, quindi, di una volontà positivamente espressa in tal senso.

Affinché si pervenga a una declaratoria di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., ovvero ex art. 337, co. 2, c.p.c., è necessario che la questione sottoposta al giudice preventivamente adito sia in rapporto di pregiudizialità necessaria con quella oggetto del secondo giudizio. La prima questione deve, pertanto, costituire un antecedente logico giuridico rispetto alla decisione della causa della quale si chiede la sospensione, di talché questa non può essere definita senza prima pervenire ad una decisione sulla causa pregiudicante. La nozione di pregiudizialità ricorre quando una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo o comunque elemento della fattispecie di un’altra situazione sostanziale, sicché occorre garantire uniformità di giudicati, perché la decisione del processo principale è idonea a definire in tutto o in parte il tema dibattuto. Quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposta soltanto ai sensi dell’art. 337, co. 2, c.p.c. Tale disposizione, a differenza dell’art. 295 c.p.c., presuppone una valutazione discrezionale in capo al giudice, valutazione che deve necessariamente avere ad oggetto la plausibile controvertibilità della decisione di cui venga invocata l’autorità in quel processo.

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Responsabilità degli amministratori da omesso versamento delle imposte e delle ritenute previdenziali e tributarie
Gli amministratori hanno l’obbligo di pagare i debiti tributari e previdenziali né potrebbero sostenere di non essere a conoscenza dell’esistenza...

Gli amministratori hanno l’obbligo di pagare i debiti tributari e previdenziali né potrebbero sostenere di non essere a conoscenza dell’esistenza degli stessi, i quali derivano dall’andamento della gestione alla quale attendono. Il rapporto di causalità tra il mancato pagamento e la maturazione, sulle somme dovute, di interessi, sanzioni ed oneri è in re ipsa. Del tutto irrilevante in relazione al mancato pagamento delle imposte è la circostanza che la società operi nei limiti di una gestione meramente conservativa ai sensi dell’art. 2486 c.c., in quanto i limiti di gestione non esonerano certo gli amministratori dal pagare i debiti sociali o, quantomeno, dal presentare agli enti finanziari e previdenziali competenti un piano di rientro onde evitare il lievitare della somma dovuta per l’applicazione di interessi, sanzioni e altri oneri.

L’eccezione di prescrizione è eccezione in senso proprio e stretto, ossia non rilevabile d’ufficio dal giudice, come stabilito dall’art. 2938 c.c. e deve, pertanto, essere proposta nella comparsa costitutiva, da depositare almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione dei termini, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 166 c.p.c.

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Iscrizione del trasferimento di quote di s.r.l. nel Registro delle Imprese e diritto di voto
Costituisce principio generale desumibile dalla specifica disciplina dell’efficacia delle vicende traslative della titolarità della quota sociale, prevista dall’art. 2470, co....

Costituisce principio generale desumibile dalla specifica disciplina dell’efficacia delle vicende traslative della titolarità della quota sociale, prevista dall’art. 2470, co. 1 e 2, c.c. in funzione delle esigenze di certezza e trasparenza dell’organizzazione dell’ente, che, ai fini della corretta individuazione del soggetto legittimato all’esercizio dei diritti sociali nell’ambito endo-societario e, in particolare, all’esercizio del potere di voto in assemblea, rilevi solo l’iscrizione nel Registro delle Imprese del trasferimento, a prescindere dal momento in cui si sia prodotto l’effetto traslativo fra le parti o dalla conoscenza che ne avesse l’organo sociale.

La specifica disciplina dell’art. 2470, co. 1, c.c., secondo cui il trasferimento della partecipazione sociale ha effetto nei confronti della società solo dal momento del deposito dell’atto traslativo per l’iscrizione nel Registro delle Imprese, comporta di per sé che in ambito endo-societario la qualità di socio di s.r.l. vada attribuita specificatamente ai soggetti il cui atto di acquisto della partecipazione risulti iscritto nel Registro delle Imprese, senza che tale qualità possa quindi essere contestata, sempre a fini endo-societari, dagli organi sociali in riferimento a vicende di cessione pur realizzatesi tra i soci (o tra i soci e terzi) uti singuli ma non iscritte nel Registro delle Imprese.

La disciplina dell’art. 2470 c.c., co. 1, c.c., in quanto ispirata da esigenze di trasparenza e certezza delle situazione dominicali o organizzative connesse alla partecipazione sociale e genericamente riferita all’effetto del trasferimento della partecipazione sociale nei confronti della società include, in via di interpretazione estensiva, tutte le vicende della quota sociale traslative o costitutive, volontarie o forzose, che incidano con carattere di realità sulla disponibilità della partecipazione e sull’esercizio dei diritti ad essa connessi, oltre che tutte le vicende della partecipazione che, comunque, ammettano all’esercizio dei diritti sociali un soggetto diverso dal titolare. L’interpretazione estensiva della norma richiamata non collide, infatti, con il principio di tassatività delle iscrizioni nel Registro delle Imprese ed è funzionale alle esigenze di pubblicità e certezza delle vicende delle partecipazioni sociali che incidono sensibilmente sull’organizzazione dell’ente.

Anche l’acquisizione a seguito di vendita forzata della partecipazione sociale e la nomina di un custode, ai sensi dell’art. 520 c.p.c., legittimato all’esercizio del diritto di voto in luogo del socio debitore, sono vicende che devono essere iscritte nel Registro delle Imprese affinché possano avere efficacia nei confronti della società. E che anche ai fini della corretta individuazione del soggetto legittimato all’esercizio del diritto di voto in assemblea relativamente alla quota sociale espropriata, debba farsi esclusivo riferimento alle risultanze del Registro delle Imprese in ordine al soggetto che al momento della sua convocazione o riunione rivestiva la qualità di socio o la qualità di un diverso soggetto legittimato ad esprimerlo, ai sensi dell’art. 2471 bis c.c. e dell’art. 2352 c.c.

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Scopo informativo del deposito del progetto di bilancio di s.r.l.
L’obbligo del deposito del progetto di bilancio e del relativo fascicolo nei quindici giorni precedenti la data dell’assemblea convocata per...

L'obbligo del deposito del progetto di bilancio e del relativo fascicolo nei quindici giorni precedenti la data dell'assemblea convocata per l'approvazione, di cui agli artt. 2429 e 2478-bis c.c., è funzionale al diritto di piena informazione da parte dei soci chiamati in assemblea a votare il bilancio predisposto dagli amministratori. Spetta alla società convenuta, sollevata la contestazione di inadempimento della relativa obbligazione, dimostrare l'esatto adempimento.

Qualora la società convenuta non adempia esattamente al deposito del progetto di bilancio, lo scopo informativo risulta comunque pienamente soddisfatto quando il socio sia venuto a conoscenza, già prima dell’assemblea, del contenuto del bilancio sul quale è chiamato a votare e ne abbia esaminato il contenuto, così che la mancata contestazione, in sede assembleare, dell’osservanza del termine integra un comportamento concludente del socio che dimostra la sua rinuncia al deposito durante i quindici giorni che precedono la convocazione.

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Principio di libertà delle forme ed esercizio del diritto di prelazione nella cessione di quote di s.r.l.
Nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione di quota di s.r.l. è...

Nei rapporti tra le parti, in forza del principio di libertà delle forme, la cessione di quota di s.r.l. è valida ed efficace in virtù del semplice consenso manifestato dalle stesse, non richiedendo la forma scritta né ad substantiam, né ad probationem. La forma di cui all’art. 2470 c.c. rileva solo ai fini dell’opponibilità nei confronti della società. Ne deriva che, in presenza di un contratto di opzione di acquisto di quote di una s.r.l., che conferisca ad una parte la facoltà di accettare la proposta di vendita formulata dalla controparte, il momento del definitivo effetto traslativo è segnato dall’accettazione dello stipulante, non essendo richiesta né l’adozione di una forma particolare né la stipulazione con un unico atto di cessione ed in un unico contesto temporale [nel caso di specie, due soci titolari dell’intero pacchetto societario avevano espresso chiaramente una volontà di dismissione della propria quota in contrasto con l’esercizio del diritto di prelazione sulla quota dell’altro].

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Contratto di associazione in partecipazione e risoluzione per inadempimento
Al contratto di associazione in partecipazione si applica la disciplina della risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., essendo tale...

Al contratto di associazione in partecipazione si applica la disciplina della risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., essendo tale contratto inquadrabile nella categoria dei contratti di scambio, in quanto caratterizzato dal sinallagma tra l’attribuzione di una quota degli utili derivanti dalla gestione dell’affare o dell’impresa, da parte dell’associante, e l’apporto patrimoniale da parte dell’associato. In tale senso, costituiscono grave inadempimento l’inerzia o il mancato perseguimento da parte dell’associante dei fini a cui l’attività di gestione dell’affare è preordinata ove protratti oltre ogni ragionevole limite di tolleranza, così come la mancata predisposizione del rendiconto.

Il principio espresso dall’art. 1458, co. 1, c.c., secondo cui gli effetti retroattivi della risoluzione non operano per le prestazioni già eseguite, riguarda i contratti ad esecuzione continuata o periodica, ossia soltanto quelli in cui le obbligazioni di durata sorgono per entrambe le parti e l’intera esecuzione del contratto avviene attraverso coppie di prestazioni da realizzarsi contestualmente nel tempo. Pertanto, ad essi non può ricondursi il contratto di associazione in partecipazione, con il quale l’associante attribuisce all’associato, come corrispettivo di un determinato apporto unitario, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari, trattandosi, a differenza del contratto di società, di un negozio bilaterale, che crea un singolo scambio fra l’apporto e detta partecipazione.

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Azione di responsabilità promossa dal curatore fallimentare ed eventuale concorso dell’amministratore di fatto
Nel contesto dell’azione di responsabilità promossa dal curatore ex art. 146 l.f., sussiste una presunzione iuris tantum di decorrenza del...

Nel contesto dell’azione di responsabilità promossa dal curatore ex art. 146 l.f., sussiste una presunzione iuris tantum di decorrenza del termine di prescrizione quinquennale ex art. 2394 c.c. dalla dichiarazione di fallimento, spettando all’amministratore convenuto dare la prova contraria della diversa data anteriore d’insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale. La prova di tale insorgenza deve pur sempre avere ad oggetto fatti sintomatici di assoluta evidenza.

La figura dell’amministratore di fatto ricorre per la sola circostanza dello stabile esercizio di funzioni gestorie, non soltanto quando la nomina alla carica amministrativa risulti irregolare, ma anche in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società. Per essere rilevanti, le attività gestorie (svolte concretamente) devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale.

Qualora una società di capitali subisca, per effetto dell’illecito commesso da un terzo, un danno, ancorché tale danno possa incidere negativamente sui diritti attribuiti al socio dalla partecipazione sociale, nonché sulla consistenza di questa, il diritto al risarcimento compete solo alla società e non già anche a ciascuno dei soci, in quanto l’illecito colpisce direttamente la società e il suo patrimonio e obbliga il responsabile a risarcirne il danno, costituendo l’incidenza negativa sui diritti del socio nascenti dalla partecipazione sociale un effetto indiretto di detto pregiudizio e non conseguenza immediata e diretta dell’illecito.

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Criteri per l’individuazione dell’amministratore di fatto
In tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della...

In tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza. Per essere rilevanti, al fine di giungere a qualificare un soggetto quale amministratore di fatto, le attività gestorie (svolte concretamente) devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale.

A prescindere dalle investiture formali, si avrà un amministratore di fatto qualora si abbia l’esercizio in concreto di un’attività di amministrazione intesa come un insieme di atti coordinati sul piano funzionale dalla unità dello scopo; attività svolta senza subordinazione, e quantomeno sul piano di un rapporto paritario di cooperazione - se non di superiorità - con il soggetto investito formalmente dei poteri amministrativi.

Una volta integrato il presupposto oggettivo della funzione concretamente esercitata che fa del terzo gestore un amministratore di fatto, sono a lui applicabili in via diretta le norme che disciplinano l’attività degli amministratori di una società di capitali.

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La disciplina applicabile alla revoca dell’amministratore nominato dallo stato o da enti pubblici
L’atto della nomina ex art. 2449 c.c. ha una natura essenzialmente privatistica, in quanto si fonda sul contratto di società,...

L’atto della nomina ex art. 2449 c.c. ha una natura essenzialmente privatistica, in quanto si fonda sul contratto di società, difettando nella fattispecie il potere pubblico, e ad esso si applica la disciplina di cui all’art. 2383, co. 3, c.c.

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Natura, validità ed efficacia dei patti parasociali
I patti parasociali sono contratti atipici aventi carattere complementare e collaterale al contratto di società e sono diretti alla stabilizzazione...

I patti parasociali sono contratti atipici aventi carattere complementare e collaterale al contratto di società e sono diretti alla stabilizzazione degli assetti proprietari ovvero alla governance della società, quest’ultima intesa come “complesso delle attività svolte dagli organi societari”. Tali strumenti consentono, infatti, di neutralizzare ovvero temperare il conflitto che spesso sorge tra l’interesse personale del singolo socio, ovvero di gruppi di soci, e quello della società e possono essere stipulati in qualunque forma, tra soci ovvero anche tra soci e terzi estranei alla società.

L’introduzione degli artt. 2341 bis e 2341 ter c.c. ad opera del legislatore della riforma del 2003 ha avuto un duplice effetto: da un lato, quello di conferire dignità giuridica a tali accordi (della cui validità in passato si dubitava), e, dall’altro, di tipizzare taluni patti in funzione della loro idoneità a fornire alla società stabilità negli assetti proprietari o nel governo della società. L’art. 2341 bis c.c. disciplina espressamente i patti aventi ad oggetto l’esercizio del diritto di voto (cc.dd. sindacati di voto), quelli volti a limitare il trasferimento delle partecipazioni sociali (cc.dd. sindacati di blocco) e quelli aventi ad oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influenza anche dominante sulla società (cc.dd. sindacati di concertazione). Tale previsione normativa, lungi dal fornire una definizione di questa espressione dell’autonomia negoziale, è finalizzata a operare una selezione di tali patti (non sono previsti ad esempio i patti di consultazione, né quelli sull’acquisto di azioni) rispetto ai quali vi sia un interesse protetto al contenimento della durata e all’informazione di terzi. Infatti, per le convenzioni parasociali espressamente menzionate nella norma è prevista una durata massima di 5 anni e una particolare forma di pubblicità, ex art 2341 ter c.c. Come sancito dalla legge delega, però, le norme codicistiche che disciplinano i patti parasociali si applicano limitatamente alle s.p.a. e alle società che le controllano.

L’affermarsi di pratiche di affari sempre piu’ evolute, che richiedono versatilità e duttilità, hanno contribuito al ricorso frequente anche a forme atipiche di patti parasociali, cui, pertanto, trova applicazione la disciplina generale in materia di contratti. I patti parasociali (e, in particolare, i cc.dd. sindacati di voto) sono, nella loro composita tipologia (che non consente, pertanto, la riconduzione ad uno schema tipico unitario), accordi atipici, volti a disciplinare, in via meramente obbligatoria tra i soci contraenti, il modo in cui dovrà atteggiarsi, su vari oggetti, il loro diritto di voto in assemblea. Il vincolo che discende da tali patti opera, pertanto, su di un terreno esterno a quello dell’organizzazione sociale (dal che, appunto, il loro carattere parasociale e, conseguentemente, l’esclusione della relativa invalidità ipso facto), sicchè non è legittimamente predicabile, al riguardo, né la circostanza che al socio stipulante sia impedito di determinarsi autonomamente all’esercizio del voto in assemblea, né quella che il patto stesso ponga in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare (operando il vincolo obbligatorio così assunto non dissimilmente da qualsiasi altro possibile motivo soggettivo che spinga un socio a determinarsi al voto assembleare in un certo modo), poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto.

Talvolta, tali patti sono confezionati anche secondo lo schema della promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c. e ciò accade, allorquando, ad esempio, uno o più soci si impegnano nei confronti di altri soci o di terzi a ottenere una condotta di uno o più amministratori, spesso determinata per relationem, mediante rinvio alle decisioni assunte in sede parasociale dalla maggioranza dei soci sindacati o dall’organo direttivo del patto.

Ai fini, poi, della configurazione di tali accordi, non è essenziale che tutti i partecipanti rivestano la qualità di socio e che il patto parasociale, in forza del quale taluni soci si impegnano a eseguire prestazioni a beneficio della società, integri la fattispecie del contratto a favore di terzo ai sensi dell’art. 1411 c.c., del quale sono legittimati a pretendere l’adempimento sia la società, quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati a che l’obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte.

Non sussiste alcuna preclusione a che la convenzione parasociale venga sottoscritta oltre che dai soci anche da terzi, purché l’oggetto del patto sia l’assunzione di obbligazioni in relazione all’esercizio dei diritti sociali all’interno della società. Nessuna norma preclude a un terzo di prendere parte al patto parasociale, non essendo previste limitazioni soggettive, atteso che l’intesa deve vertere sostanzialmente sull’esplicazione dei diritti sociali all’interno della compagine societaria interessata.

Nessun precetto obbliga al fatto che la volontà assembleare si formi soltanto nel consesso assembleare (a tal proposito, emblematici sono gli istituti del voto per rappresentanza e per corrispondenza). Sono inderogabili le regole formali del procedimento assembleare (convocazione, votazione, verbalizzazione, ecc.), ma non quelle relative alle modalità di formazione della volontà dei soci. Pertanto, se i criteri di nomina degli amministratori o la formazione della volontà dell’organo consiliare sono prestabiliti all’esterno, rispettivamente, dell’assemblea sociale o del CdA, ciò non assume conseguenze particolari sulla compagine societaria o sull’ordinamento societario, semprechè non si configuri un conflitto con l’interesse sociale.

Il patto parasociale vincola il parasocio ad assumere un certo comportamento all’interno della vita societaria, ma lo stesso non assume un obbligo coercitivo in tal senso. Il socio conserva comunque il diritto alla libera partecipazione alla formazione della volontà assembleare e, quindi, può liberamente decidere di non rispettare il sindacato di voto, né tantomeno l’adempimento può essere suscettibile di esecuzione in forma specifica. Il mancato rispetto del patto parasociale lo esporrà inevitabilmente alle conseguenze dell’inadempimento, ma non condiziona sempre e comunque l’esercizio dei propri diritti sociali. D’altra perte, il patto con cui alcuni soci si accordino per votare in una certa maniera non costituisce di per sé una violazione del principio della libertà di voto poiché i soci sono comunque liberi di disporre del proprio voto, né il patto di per sé pone in discussione il corretto funzionamento dell’organo assembleare sotto il profilo di una alterazione della corretta formazione della maggioranza poiché al socio non è in alcun modo impedito di optare per il non rispetto del patto di sindacato ogni qualvolta l’interesse ad un certo esito della votazione assembleare prevalga sul rischio di dover rispondere dell’inadempimento del patto.

[Nella specie, il Tribunale ha dichiarato la nullità parziale di una clausola del patto che stabiliva un quorum di approvazione del 70% in relazione a qualsiasi delibera assembleare per contrarietà al disposto dell’art. 2369, co. 4, c.c. – ai sensi del quale lo statuto non può imporre maggioranze più elevate per l’approvazione del bilancio e per la nomina e revoca delle cariche sociali – senza che ciò determinasse l’estensione di tale nullità parziale alle altre disposizioni del patto parasociale, le quali non erano contrarie a norme imperative o elusive di norme o principi dell’ordinamento].

Perché un soggetto sia considerato amministratore di fatto della società, le attività gestorie dallo stesso poste in essere devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale; sempre che detto esercizio non sia giustificabile in base ad un rapporto lavorativo subordinato e/o autonomo con la società, per cui l’interessato verta in una posizione di subordinazione o soggiaccia a poteri di direttiva dell’amministratore di diritto. Non è richiesta la riferibilità degli atti compiuti all’intero spettro delle attività amministrative, risultando sufficiente un intervento incisivo e non occasionale, che, in quanto idoneo a influenzare le scelte imprenditoriali in settori chiave, sia tale da improntare di sé l’operato complessivo della società. In quest’ottica, pur dovendosi riconoscere che un siffatto condizionamento non può non trasparire nei rapporti con i terzi, deve altresì escludersi la necessità che esso si traduca nel diretto compimento di atti a rilevanza esterna, risultando invece sufficiente che le determinazioni riguardanti la gestione sociale siano riconducibili alla volontà dell’amministratore di fatto, eventualmente anche in concorso con l’amministratore di diritto, il quale non deve necessariamente rivestire il ruolo di mero prestanome.

Ai fini della riduzione ad equità della clausola penale ex art. 1384 c.c., l’apprezzamento dell’eventuale eccessività della penale per inadempimento suppone – si tratti di richiesta di parte o di iniziativa d'ufficio – che le circostanze rilevanti per il giudizio di sproporzione comunque emergano dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, quale risultante ex actis, senza che il giudice possa ricercarlo d’ufficio. L’intervento di riduzione ad equità presuppone che la manifesta eccessività della penale sia valutata tenendo conto dell’interesse che il creditore aveva all’adempimento.

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Diritto dell’amministratore di società di capitali alla percezione del compenso
Il principio di cui all’art. 2389 c.c., secondo il quale gli amministratori di s.p.a. hanno diritto ad un compenso per...

Il principio di cui all’art. 2389 c.c., secondo il quale gli amministratori di s.p.a. hanno diritto ad un compenso per l’attività svolta per conto della società, è applicabile analogicamente anche agli amministratori di s.r.l.

L’ammontare del compenso spettante all’amministratore di società di capitali per l’opera prestata è stabilito all’atto della nomina o dall’assemblea con successiva ed autonoma deliberazione e, in difetto di tali manifestazioni formali, deve essere giudizialmente determinato su domanda dell’amministratore, anche mediante liquidazione equitativa, in applicazione dell’art. 1709 c.c., rimanendo prive di effetti eventuali altre forme di determinazione, tra cui l’accordo orale eventualmente intervenuto fra amministratore e socio di maggioranza, con conseguente attribuzione del carattere di indebito oggettivo al compenso corrisposto, sulla base di un simile accordo, in mancanza del fatto costitutivo previsto dalla legge.

Non esiste un compenso minimo degli amministratori, tanto è vero che essi possono accettare di essere retribuiti in modo oggettivamente inadeguato al lavoro svolto, anche se, in tali ipotesi, vi deve essere il loro consenso, ancorché tacito. Del resto, il diritto al compenso degli amministratori è disponibile e, come tale, può costituire oggetto di rinuncia, pure tacita, purché inequivoca. Ed invero, in tema di compenso in favore dell’amministratore di una società di capitali, che abbia agito come organo, legato da un rapporto interno alla società, e non nella veste di mandatario libero professionista, la facoltà dell’amministratore di insorgere avverso una liquidazione effettuata dall’assemblea della società in misura inadeguata, per chiedere al giudice la quantificazione delle proprie spettanze, viene meno, vertendosi in materia di diritti disponibili, qualora detta delibera assembleare sia stata accettata e posta in esecuzione senza riserve.

Ai fini della determinazione giudiziale del compenso dell’amministratore, il giudice può avvalersi di una pluralità di criteri, tra cui la situazione societaria, la resa economica, l’impegno dell’amministratore, i criteri adottati in precedenti esercizi, il compenso corrente nel mercato per analoghe prestazioni in relazione a società di medesime dimensioni [nel caso di specie, il Tribunale ha applicato gli artt. 15 ss. della tabella C ex d.m. 140/2012 disciplinanti il compenso spettante ai commercialisti per le attività di amministrazione, consulenza e redazione bilancio].

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Azione esercitata dal curatore fallimentare: responsabilità dell’amministratore e del socio di s.r.l.
L’amministratore di società a responsabilità limitata è responsabile in relazione ad ogni accadimento che investa il valore dell’attivo non rinvenuto...

L’amministratore di società a responsabilità limitata è responsabile in relazione ad ogni accadimento che investa il valore dell’attivo non rinvenuto dal fallimento e pertanto ha l’obbligo giuridico di fornire la dimostrazione della destinazione dei beni presenti nel patrimonio, con la conseguenza che dalla mancata dimostrazione può essere legittimamente desunta la prova della loro distrazione od occultamento.

Giacché l’art. 2476, co. 8 c.c. postula un legame di solidarietà passiva tra amministratore e socio, il socio non amministratore, responsabile della decisione o dell’autorizzazione a compiere un determinato atto dannoso, può esser chiamato a rispondere per danni cagionati alla società o a terzi soltanto se sia configurabile anche una responsabilità dell’amministratore.

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