L’estinzione della società configura un fenomeno di tipo successorio in ordine ai rapporti facenti capo alla stessa, tale per cui i debiti sociali, non liquidati in tale sede o sopravvenuti, non si estinguono (in quanto ne deriverebbe un ingiustificato sacrificio del diritto del creditore sociale) ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione se, pendente societate, erano limitatamente responsabili o illimitatamente, nel caso contrario; si trasferiscono altresì ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore il cui mancato esperimento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato (Cass. civ., Sez. unite, n. 6071 del 2013).
Il fenomeno successorio si realizza anche in caso di cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese ex art. 2490 c.c., co. VI, disposizione che rinvia espressamente agli effetti sanciti dalla norma generale sulla cancellazione della società di capitali di cui al 2495 c.c.
Quanto all’azione esercitata dal creditore nei confronti della società – e, di riflesso, sul socio beneficiario di una illecita distribuzione degli utili –, incombe sul creditore che agisce in giudizio l’onere di provare l’effettiva distribuzione dell’attivo e la riscossione di una quota di esso da parte del socio, trattandosi di elementi della fattispecie costitutiva del diritto azionato.
In relazione all’azione del creditore nei confronti del liquidatore, quest’ultimo, secondo l’orientamento maggioritario, risponde in via aquiliana (lesione del diritto di credito del terzo); talché, l'onere probatorio relativo alla sussistenza di tali elementi grava sul creditore. Peraltro, il liquidatore di una società estinta può essere chiamato a rispondere nei confronti del creditore insoddisfatto solo a condizione che si dimostri l’esistenza, nel bilancio finale di liquidazione, di una massa attiva che sarebbe stata sufficiente a soddisfare il suo credito e che è stata, invece, distribuita ai soci, oppure di una condotta colposa o dolosa del liquidatore stesso cui sia imputabile la mancanza di tale massa attiva.
In tema di danno risarcibile dagli amministratori nell’ipotesi di azione di responsabilità esercitata nei loro confronti dal curatore fallimentare ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 146 l.fall., qualora il danno sia rappresentato da debiti tributari, il danno sussiste per tutte quelle componenti accessorie del debito che si sarebbero potute evitare con una gestione diligente.
Quindi, rileva non il mancato pagamento dell’imposta, che rimane un inadempimento che genera un debito al pari degli altri debiti concorsuali (al netto di un eventuale pagamento preferenziale) ma, invero, la mala gestio degli amministratori, che consiste nell’aggravarsi di tale debito, causalmente connesso ad una condotta negligente ed imprudente della gestione, vuoi per non avere pagato l’imposta quando ve ne era la possibilità, vuoi per avere fatto maturare ulteriori accessori tributari, non chiedendo il proprio fallimento pur avendone un obbligo penalmente sanzionato.
Il contratto preliminare, riguardante la cessione di quote societarie, con il quale le parti deroghino pro futuro al prezzo contenuto nel definitivo riveste natura di contratto dissimulato. Tale volontà deve desumersi dal tenore letterale della scrittura, inerendo essa ad un elemento essenziale del contratto che debba risultare per iscritto e operando, conseguentemente, la limitazione della prova testimoniale di cui all’art. 2722 c.c.
Il debitore convenuto è tenuto a dimostrare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi del titolo che sia contenuto in un contratto dissimulato, dovendo il creditore che agisca per l’adempimento, per la risoluzione o per il risarcimento solamente dimostrare l’esistenza dello stesso.
La mancata comparizione della parte regolarmente convocata all’incontro di mediazione davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa ma, comunque, concorre alla valutazione del materiale probatorio già acquisito.
Se le quote e l’intero patrimonio di una società consortile a responsabilità limitata sono stati oggetto di sequestro penale, successivamente convertito in misura di prevenzione patrimoniale, ai fini di confisca, ex art. 22 del d.lgs. 159/2011, qualsivoglia domanda di pagamento che trovi causa o titolo in eventi precedenti alla nomina dell’Amministrazione giudiziaria è di competenza del Giudice delegato alla misura cautelare secondo il procedimento di verifica dei crediti delineato dagli artt. 52, 57, 58 e 59 del d.lgs. 159/2011.
Ai fini della valutazione da parte del giudice sulla sospensione cautelare della delibera assembleare impugnata ex art. 2378 c.c., i presupposti richiesti per la concessione di tale misura cautelare tipica sono la rilevazione, sia pure a livello di fumus (e cioè di probabilità), di un vizio invalidante e del periculum in mora, il cui accertamento richiede, in concreto, la comparazione tra il pregiudizio che l’opponente potrebbe subire per effetto dell’esecuzione di una delibera invalida e quello che potrebbe patire la società per effetto della sospensione di tale esecuzione. In sostanza, affinché la delibera possa essere cautelarmente sospesa, è necessario che il giudice accerti: a) che effettivamente, sia pure a livello di fumus, la delibera/decisione impugnata sia inficiata da vizi di legittimità che ne comporterebbero l’annullabilità ovvero la nullità; b) che l’opponente, per effetto della mancata sospensione, finirebbe per subire un danno illecito superiore a quello che legittimamente subirebbe la società ove la sospensione fosse viceversa, accordata (periculum in mora).
Dichiarata la cessazione della materia del contendere, in quanto la impugnata delibera con cui si disponeva l’esclusione del socio attore è stata revocata dalla società convenuta in data successiva alla istaurazione del rapporto processuale, la determinazione delle spese di lite avviene sulla scorta del principio della soccombenza virtuale, giudizio che può essere svolto solo sulla scorta degli atti depositati con valutazione sommaria.
Non è di competenza della Sezione Specializzata in materia di impresa la controversia relativa a un ente pubblico non economico che non esercita attività di impresa, quale l’organo istituito con Regolamento Regionale per l’autodisciplina e l’autogoverno di una professione il cui compito è custodire l’Albo professionale ed intervenire presso gli enti e le organizzazioni competenti per migliorare le condizioni professionali (nella specie il Collegio Regionale dei maestri di sci della regione Calabria).
Il mancato adempimento dell'obbligo di convocare l'assemblea per la ricapitalizzazione di una s.r.l. ex art. 2482 ter c.c. non integra di per sé una responsabilità dell'amministratore nei confronti del creditore sociale insoddisfatto, atteso che, ove l'amministratore avesse ottemperato all'obbligo richiamato, i soci avrebbero potuto scegliere, in luogo della ricapitalizzazione, l'alternativa loro offerta dalla legge di sciogliere la società, cui sarebbero comunque conseguite l'incapienza del patrimonio sociale e, quindi, l'infruttuosità di qualsiasi tentativo di escussione del creditore.
Non può essere accolta la domanda giudiziale di esclusione del socio di s.r.l. per ipotesi non previste in maniera specifica dallo statuto ai sensi dell'art. 2473 bis c.c. (nel caso di specie il socio di maggioranza chiedeva l'esclusione dell'altro socio adducendo che l'esclusione era giustificata dalla condanna del socio a una pena detentiva di rilevante entità con conseguente emissione dell’interdittiva antimafia nei confronti della società).
La domanda cautelare di revoca dell’amministratore di una s.r.l., intrapresa dal socio ex art. 2476, comma 3, c.c., è strumentale alla sola azione di responsabilità prevista dal primo comma del medesimo articolo. Ne discende pertanto che, ai fini dell’accoglimento della domanda cautelare, deve verosimilmente emergere non solo la probabile ascrivibilità all’amministratore (da revocare) delle condotte di mala gestio lamentate, ma anche la portata lesiva di dette condotte e la probabile sussistenza, in base a conferente specifica allegazione, di un concreto ed attuale pregiudizio al patrimonio della società, potenzialmente suscettibile di aggravamento, con la permanenza in carica dell’amministratore.
Secondo giurisprudenza consolidata la revoca cautelare dell’amministratore può essere richiesta non soltanto nel contesto di una già promossa azione di responsabilità (secondo lo strumento tipico previsto dal terzo comma dell’art. 2476 c.c.), ma anche ante causam, ovvero prima dell’instaurazione della causa di merito, in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
L’esistenza di un conflitto di interessi tra la società ed il suo amministratore non può essere fatta discendere genericamente dalla mera coincidenza nella stessa persona dei ruoli di amministratore di contrapposte parti contrattuali, ma deve essere accertata in concreto, sulla base di una comprovata relazione antagonistica di incompatibilità degli interessi di cui siano portatori, rispettivamente, la società ed il suo amministratore.