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Sulla natura aquiliana della responsabilità del liquidatore verso i creditori sociali ex art. 2495 c.c. e sul relativo riparto dell’onere probatorio
In aderenza con Cass. 521/2020, in tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali prevista...

In aderenza con Cass. 521/2020, in tema di liquidazione di società di capitali, la responsabilità verso i creditori sociali prevista dall'art. 2495 c.c. ha natura aquiliana, gravando sul creditore rimasto insoddisfatto di dedurre ed allegare che la fase di pagamento dei debiti sociali non si è svolta nel rispetto del principio della "par condicio creditorum". In particolare, quanto alla dimostrazione della lesione patita, il medesimo creditore, qualora faccia valere la responsabilità "illimitata" del liquidatore, affermando di essere stato pretermesso nella detta fase a vantaggio di altri creditori, deve dedurre il mancato soddisfacimento di un diritto di credito, provato come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell'apertura della fase di liquidazione, e il conseguente danno determinato dall'inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocarne la lesione, con riferimento alla natura del credito e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti; grava, invece, sul liquidatore l'onere di dimostrare l'adempimento dell'obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali e di averli pagati nel rispetto della "par condicio creditorum", secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all'epoca esistenti.

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Sui limiti alla proposizione di domande riconvenzionali da parte del ricorrente per decreto ingiuntivo e sulla responsabilità solidale di ciascuna società partecipante alla scissione per i crediti rimasti insoddisfatti
Il ricorrente per decreto ingiuntivo riveste la posizione sostanziale di attore, sicché anche all’esito dell’introduzione del giudizio di opposizione il...

Il ricorrente per decreto ingiuntivo riveste la posizione sostanziale di attore, sicché anche all'esito dell'introduzione del giudizio di opposizione il medesimo non può proporre domande riconvenzionali, con l'unica eccezione del caso in cui a seguito della riconvenzionale formulata dall'opponente la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione di convenuto ( in aderenza con Cass., Sez. Un., 27/12/2010, n. 26128 ).

Nell'ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, rivestendo la posizione sostanziale di attore l'opposto non può dunque avanzare domande diverse da quelle fatte valere con il ricorso monitorio, salvo che per effetto di domande riconvenzionali o eccezioni in senso stretto proposte dall'opponente determinanti un ampliamento dell'originario thema decidendum fissato dal ricorso ex art. 633 c.p.c. il medesimo venga a trovarsi a sua volta nella posizione processuale di convenuto, non potendo in tal caso al medesimo negarsi il diritto di difesa rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la (eventuale) proposizione di una reconventio reconventionis, che deve però dipendere dal titolo dedotto in causa o da quello che già appartiene alla stessa come mezzo di eccezione ovvero di domanda riconvenzionale" ( in aderenza con Cass., 25/2/2019, n. 5415 ).

L'art 2506 quater comma 3 c.c. subordina la facoltà di agire del creditore verso ciascuna società partecipante alla scissione alla circostanza che i crediti siano rimasti non soddisfatti dalla società cui fanno carico all'esito della scissione stessa, configurando in tal modo tra le società partecipanti alla scissione un vincolo di solidarietà non pura bensì sussidiaria caratterizzata dal semplice beneficium ordinis che presuppone la verifica dell'inadempimento della società cui fa carico il debito sulla base del progetto di scissione.

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Profili sostanziali sull’invalidità delle delibere assembleari per abuso di potere di maggioranza
La figura dell’abuso del potere di maggioranza non trova diretto fondamento nella legge, ma ha origini di matrice giurisprudenziale. Tale...

La figura dell'abuso del potere di maggioranza non trova diretto fondamento nella legge, ma ha origini di matrice giurisprudenziale. Tale profilo di invalidità è considerato integrato laddove la delibera risulti arbitrariamente e fraudolentemente volta al perseguimento di interessi divergenti da quelli societari, ovvero preordinata alla lesione degli interessi dei soci di minoranza. Così delineata, è l'unica ipotesi in cui al giudice è concesso un esame del merito della delibera societaria, andando oltre un controllo di mera legalità formale. In tali ipotesi formalmente non vi è violazione di alcuna disposizione di legge o di atto costitutivo, ma il principio di maggioranza, usato per l'approvazione delle delibere societarie, viene strumentalizzato a danno degli interessi della minoranza assembleare.

Orientamento ormai consolidato sostiene che l'abuso di potere costituisca una violazione della clausola generale di correttezza e buona fede contrattuale nell'esecuzione del contratto sociale, che trova fondamento negli artt. 1175 e 1375 c.c., sull'assunto che le delibere assembleari costituiscono fondamentali momenti esecutivi del contratto di società. Tali norme impongono che i soci informino il proprio operato ai suddetti principi, imponendo un impegno di cooperazione in base al quale ciascun socio deve tenere condotte "idonee a soddisfare le legittime aspettative degli altri membri della compagine societaria" (Cass. 11 giugno 2003, n. 9353)

In sostanza, una delibera può definirsi invalida per abuso del potere di maggioranza quando essa non trovi alcuna giustificazione nell'interesse della società, o perché tesa al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico con quello sociale, oppure perché espressione di un'attività fraudolenta dei soci di maggioranza preordinata a ledere i diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza. Tali requisiti evidenziati non sono richiesti congiuntamente, ma in alternativa.

In tema di onere della prova, il socio che assume l'illegittimità della deliberazione per abuso della maggioranza sarà tenuto a provare che la maggioranza, attraverso il deliberato impugnato, abbia perseguito interessi extrasociali, ovvero che questi interessi erano finalizzati a danneggiare la minoranza. Soprattutto sarà onere della parte impugnante dimostrare che alla base della decisione della maggioranza non vi fosse alcun interesse sociale e che alcun vantaggio per la società possa derivarne.

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Profili probatori nell’impugnativa della delibera di aumento di capitale per abuso della maggioranza
In tema di onere della prova nel caso di impugnativa della delibera di aumento di capitale per abuso della maggioranza,...

In tema di onere della prova nel caso di impugnativa della delibera di aumento di capitale per abuso della maggioranza, la giurisprudenza ritiene che - pur non risultando decisiva - assume una fondamentale importanza la difficoltà economica del socio a sottoscrivere detto aumento di capitale. In tale ipotesi, potrebbe essere dichiarata l'invalidità della delibera, qualora i soci di maggioranza fossero a conoscenza della situazione di difficoltà del socio di reperire i mezzi necessari per procedere alla sottoscrizione. Prospettandosi tale circostanza, si può ritenere che la decisione della maggioranza di aumentare il capitale avesse come obiettivo quello di pregiudicare il socio di minoranza, così pervenendo ad una pronuncia di invalidità.

Ai fini dell'annullamento di una delibera di aumento di capitale a pagamento perché ritenuta finalizzata esclusivamente alla riduzione proporzionale del peso della partecipazione del socio ricorrente, approfittando consapevolmente della sua difficoltà che non gli consentiva la sottoscrizione delle azioni di nuova emissione, il socio impugnante deve dimostrare:
- il fatto che, al momento della delibera, egli si trovava in una situazione di illiquidità tale da determinare una sproporzione rilevante tra la propria situazione finanziaria e l'importo di capitale da sottoscrivere;
- la consapevolezza che di tale condizione i soci i cui voti sono risultati determinati per l'approvazione della delibera;
- l'assenza di ragioni oggettive in grado di giustificare l'aumento di capitale nell'interesse della società (Trib. Bologna del 09.07.2009; Trib. Torino del 05.11.2015).

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La delibera di esclusione del socio: requisiti e ipotesi di invalidità.
La delibera assembleare di esclusione del socio dalla compagine sociale deve essere adeguatamente motivata; al contrario, non è previsto il...

La delibera assembleare di esclusione del socio dalla compagine sociale deve essere adeguatamente motivata; al contrario, non è previsto il medesimo obbligo per la conseguente comunicazione di esclusione.

Da tale assunto deriva che la comunicazione di esclusione del socio che risulti priva dell'indicazione dei motivi posti alla base della decisione adottata, può rilevare solamente sotto il profilo del termine previsto per l'impugnazione della delibera e non influisce, invece, sull'invalidità di quest'ultima.

 

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Azione di responsabilità nei confronti degli amministratori, eccezione di prescrizione ed onere della prova
L’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, a norma dell’art. 146 L. Fall., compendia...

L'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e dei sindaci di una società, a norma dell'art. 146 L. Fall., compendia in se le azioni spettanti ai soci ed ai creditori sociali ed è soggetta a prescrizione quinquennale.

Il termine di prescrizione decorre non già dalla commissione del fatto integrativo di tale responsabilità, bensì dal (successivo) momento in cui si manifesta l'insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei creditori.

L'onere della prova della preesistenza al fallimento dello stato di insufficienza patrimoniale spetta al soggetto (amministratore o sindaco) che, convenuto in giudizio a seguito dell'azione di responsabilità, ne eccepisca l'avvenuta prescrizione.

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Impugnazione della delibera di approvazione del bilancio per violazione dei principi di chiarezza e precisione
Il socio ha diritto ad ottenere l’intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole...

Il socio ha diritto ad ottenere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte in bilancio.

La deliberazione assembleare con cui è approvato il bilancio di esercizio che violi i precetti di chiarezza e precisione previsti dall'art 2423 , co. 2, c.c. è nulla non soltanto se la violazione determina una divaricazione tra il risultato effettivo dell'esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati (ivi compresa la relazione) non sia possibile desumere l'intera gamma delle informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte.

Se il socio, impugnando il bilancio, denuncia vizi afferenti ad una pluralità di poste diverse, egli propone contestualmente una pluralità di domande, con in comune il petitum ma con distinte causae petendi, corrispondenti a ciascuna delle poste contestate.

 

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In caso di scissione al socio dissenziente spetta il diritto di recesso che non può essere surrogato da forme di attribuzioni patrimoniali diverse
Ai sensi dell’art. 2473 c.c., il socio, ove non consenta alla deliberazione di scissione, ha «in ogni caso» diritto di...

Ai sensi dell’art. 2473 c.c., il socio, ove non consenta alla deliberazione di scissione, ha «in ogni caso» diritto di recedere dalla società. Trattasi di una ipotesi di recesso che non può essere eliminata né dallo statuto né dalla deliberazione di scissione e ciò anche nel caso in cui la delibera di scissione preveda, in luogo del recesso, l’attribuzione al socio dissenziente di quote proporzionali nelle società di nuova costituzione.

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Responsabilità dell’amministratore per costi extrasociali
Costituisce operazione illecita produttiva di danno il ribaltamento su una società decotta (poi fallita) di passività derivanti da un’impresa individuale...

Costituisce operazione illecita produttiva di danno il ribaltamento su una società decotta (poi fallita) di passività derivanti da un’impresa individuale dell’amministratore, che sarebbe stata chiusa di lì ad un anno. L’illiceità si configura sotto un duplice profilo: sia perchè funzionale all’interesse personale dell’amministratore di incamerare somme ed estinguere propri debiti verso la fallita e verso terzi, sia perché conclusa quando il patrimonio netto della fallita risultava negativo e la stessa, quindi, nulla avrebbe potuto acquistare. L’operazione così realizzata esula dal campo della tutela riservata alla libera iniziativa economica ma si iscrive, piuttosto, in un disegno specifico che mirava alla esternalizzazione del ramo produttivo a favore di una nuova società ed alla concentrazione di tutti gli elementi negativi dell’impresa in capo al soggetto già decotto, progressivamente spogliato del suo patrimonio, a danno proprio e dei suoi creditori.

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Contratto di trasferimento di azioni: clausola di revisione del prezzo e suoi effetti
La clausola di revisione del corrispettivo concordato per la cessione di azioni, che prevede integrazioni o diminuzioni di prezzo in...

La clausola di revisione del corrispettivo concordato per la cessione di azioni, che prevede integrazioni o diminuzioni di prezzo in relazione al diverso valore dell’indebitamento netto alla data del trasferimento delle azioni, da accertarsi mediante apposita audit in caso di disaccordo tra le parti, non implica un obbligo incondizionato di pagamento del prezzo stabilito, che escluda la ordinaria proponibilità delle eccezioni, e quindi, la sospensione del pagamento, in attesa della revisione del prezzo; non vi è pertanto ragione di escludere la possibilità dell’acquirente di avvalersi della eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.

Conseguentemente, in presenza di una variazione dell'indebitamento netto, che risulti assai superiore a quello utilizzato nella contrattazione come parametro per la determinazione del prezzo, la sospensione dell'adempimento delle obbligazioni a carico del compratore si giustifica, in via di eccezione, ex art. 1460 c.c.

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Mancata individuazione del termine per l’avveramento della condizione: intervento del Giudice in via suppletiva
Nei casi in cui le parti non abbiano provveduto ad individuare il termine ultimo entro il quale verificare l’avveramento della...

Nei casi in cui le parti non abbiano provveduto ad individuare il termine ultimo entro il quale verificare l’avveramento della condizione, spetta al Giudice intervenire in via suppletiva stabilendo se, alla luce delle caratteristiche e delle peculiarità della vicenda di volta in volta in esame, sia già o meno trascorso un termine congruo e ragionevole tale da poter ritenere definitivamente mancato l’avveramento della condizione.

Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, infatti, la carenza dell’indicazione di un termine entro il quale la condizione sospensiva o risolutiva debba verificarsi o mancare non comporta necessariamente un vincolo a tempo indeterminato delle parti, ben potendosi il termine desumere implicitamente dalle esigenze di tutela degli opposti interessi delle parti; con la conseguenza che, quando il rapporto giuridico sia sospensivamente condizionato al verificarsi di un evento del quale non sia indicato il termine entro il quale possa utilmente avverarsi, il contratto deve considerarsi inefficace per il mancato avveramento della condizione – senza che decorra l’esigenza della previa fissazione di un termine da parte del giudice – dal momento in cui sia decorso un lasso di tempo congruo entro il quale la condizione avrebbe dovuto avverarsi.

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Assegnazione di azioni in altre società e qualifica di emittente
L’operazione con cui una società assegni liberalmente ai dipendenti parte delle azioni detenute in una s.p.a. non è qualificabile come...

L’operazione con cui una società assegni liberalmente ai dipendenti parte delle azioni detenute in una s.p.a. non è qualificabile come «collocamento» e, pertanto, non è idonea a configurare la società le cui azioni siano così assegnate quale emittente azioni diffuse in misura rilevante fra il pubblico. Infatti, perché si possa parlare di «collocamento», è necessario che quest'ultimo sia posto in essere o dalla stessa società emittente o da chi ne detenga il controllo e, comunque, per un corrispettivo; solo in questo caso si può ritenere effettivamente perseguito quel ricorso al mercato dei capitali di rischio che – esso solo – può rendere il titolo dell’emittente «diffuso» fra il pubblico degli investitori.

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