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In pendenza di un arbitrato irrituale, la competenza per la nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. spetta al tribunale
Se  l’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti...

Se  l’arbitrato rituale ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, sicché lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, diversamente l’arbitrato irrituale non è in alcun modo un’ipotesi di esercizio di giurisdizione, poiché trova il proprio fondamento in un atto di investitura privata rispetto al quale non è possibile parlare di giurisdizione o competenza in senso tecnico, essendo demandata agli arbitri un'attività negoziale e non una funzione giurisdizionale. In questo senso, solo tra giurisdizione ordinaria e arbitrato rituale si può porre un problema di competenza, ma non tra giudice ordinario e arbitrato irrituale.

L’art. 80, co. 1, c.p.c., là dove individua nel "giudice che procede" il soggetto competente per la nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. in corso di causa, non può che intendersi riferito al giudice ordinario ovvero al collegio in arbitrato rituale, quali ipotesi di giurisdizione privata equiparata alla giurisdizione pubblica, ma non certo può intendersi riferito al collegio di arbitri in arbitrato irrituale, che non assume mai lo status di giudice ordinario, o ad esso equiparato in quanto chiamato a un accertamento meramente privatistico e a rilevanza esclusivamente contrattuale. Con la conseguenza che, in pendenza di un arbitrato irrituale, la competenza per la nomina del curatore speciale di cui all'art. 78 c.p.c. deve intendersi in ogni caso devoluta, ai sensi dell'art. 80 c.p.c., al tribunale. Pertanto, non può dirsi che la nomina del curatore speciale ex art. 78 c.p.c. fatta dal tribunale possa minare la validità della formazione del contraddittorio, tale da costituire un’ipotesi di nullità per violazione del litisconsorzio, in quanto essa è stata fatta da un giudice munito dell’investitura per farlo.

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Impugnazione della delibera negativa sulla nomina degli amministratori
In virtù della previsione di cui all’art. 2377, co. 8, c.c., nel giudizio di impugnazione di una deliberazione assembleare si...

In virtù della previsione di cui all'art. 2377, co. 8, c.c., nel giudizio di impugnazione di una deliberazione assembleare si verifica la cessazione della materia del contendere e non si può procedere alla dichiarazione di nullità o all’annullamento della deliberazione impugnata, quando risulti che l’assemblea dei soci, regolarmente riconvocata, abbia validamente deliberato sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata. A tal fine, la nuova deliberazione, emessa dall’assemblea nuovamente convocata e regolarmente costituita, deve avere lo stesso oggetto della prima e, quanto meno implicitamente, dalla stessa deve risultare la volontà dell’assemblea di sostituire la deliberazione invalida, ponendo in tal modo in essere un atto sostitutivo ovvero ratificante di quello invalido e una rinnovazione sanante con effetti retroattivi.

La verifica dell’esistenza dell’interesse ad agire postula la verifica della possibilità, per l’istante, di conseguire attraverso il processo il risultato che si è ripromesso, a prescindere dall’esame del merito della controversia e dalla stessa ammissibilità della domanda sotto altri e diversi profili; esso non può escludersi in presenza della possibilità di esperire azioni alternative di tutela della medesima situazione contro lo stesso o altro soggetto.

È vero che, sebbene non possa essere emessa una sentenza dichiarativa con effetto sostitutivo di una delibera positiva, ciò non significa che la sentenza con cui si accerti la sola invalidità della delibera negativa debba essere necessariamente priva di utilità, potendo avere l’utilità propria delle azioni di mero accertamento. Infatti, un’iniziativa giudiziale di tal tipo potrebbe presentare un’utilità ogniqualvolta lo statuto prevedesse una clausola tale da impedire la ripresentazione della proposta deliberativa rigettata, a ciò conseguendo la inammissibilità di una nuova votazione sulla stessa proposta solo nel caso di delibera negativa priva di vizi. In secondo luogo, una pronuncia sulla delibera negativa potrebbe essere utile anche al fine di avviare eventuali azioni risarcitorie nei confronti dei soci responsabili dell’abuso.

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Presupposti del conflitto di interessi rilevante ai fini dell’annullamento delle delibere del CdA di s.r.l.
Sussiste il conflitto di interessi rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 2475 ter, co. 2, c.c. allorquando, in relazione a una...

Sussiste il conflitto di interessi rilevante ai fini dell'applicazione dell'art. 2475 ter, co. 2, c.c. allorquando, in relazione a una determinata operazione, l’interesse della società e quello dell’amministratore sono orientati in direzioni opposte, di modo che alla realizzazione dell’uno segua, o possa seguire, il sacrificio dell’altro. I conflitti di interessi rilevanti sono quelli attuali in cui l’interesse portato dall’amministratore ha effettivamente inciso, in senso sfavorevole alla società, sul contenuto del contratto o dell’operazione decisa dall’organo amministrativo, senza che abbiano rilevanza i conflitti meramente potenziali in cui a un’astratta contrapposizione ex ante degli interessi (derivante, ad esempio, da una soggettiva coincidenza di ruoli ricoperti dall’amministratore in entrambe le società parti del contratto) non corrisponda un’effettiva condotta abusiva dell’amministratore tesa a perseguire il proprio interesse a scapito di quello sociale nella singola operazione.

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Istanza di sospensione di delibera assembleare sostituita con altra presa in conformità della legge e dello statuto
Non è accoglibile l’istanza cautelare di sospensione della delibera assembleare sostituita, ex art. 2377, co. 8, c.c. e art. 2479...

Non è accoglibile l'istanza cautelare di sospensione della delibera assembleare sostituita, ex art. 2377, co. 8, c.c. e art. 2479 ter, co. 4, c.c., da un'altra decisione dei soci coincidente nell'oggetto con quella impugnata e risultante, sulla scorta di una pur sommaria delibazione, conforme alla legge e allo statuto.

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Denunzia al tribunale: il provvedimento di revoca dell’amministratore è limitato ai casi più gravi
Il provvedimento di revoca dell’amministratore di cui all’art. 2409, co. 4, c.c., è da riservarsi ai “casi più gravi”, cioè...

Il provvedimento di revoca dell’amministratore di cui all’art. 2409, co. 4, c.c., è da riservarsi ai “casi più gravi”, cioè alle irregolarità gravissime. Il richiamo espresso solo ai “casi più gravi”, segna la latitudine oggettiva massima della fattispecie e, conseguentemente, consente, per i casi di irregolarità gravi ma non gravissime, una modulazione del provvedimento da adattare alla molteplicità e varietà delle situazioni che possono presentarsi.

Gli opportuni provvedimenti provvisori di cui all’art. 2409, co. 4, c.c. hanno per lo più natura inibitoria e quindi una portata non adeguata alle situazioni in cui non si tratta di inibire, ma di promuovere comportamenti corretti.

Il mutamento dell’organo amministrativo della società non comporta di per sé l’improcedibilità del ricorso ex art. 2409 c.c., atteso che l’attività di controllo giudiziario deve essere proseguita fino a quando non siano definitivamente dissipati i sospetti di gravi irregolarità.

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Trasformazione da s.p.a. a s.r.l. nelle more del procedimento ex art. 2409 c.c. azionato dai sindaci
Stante la struttura del procedimento di denunzia al tribunale per fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione che potrebbero arrecare...

Stante la struttura del procedimento di denunzia al tribunale per fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione che potrebbero arrecare danno alla società, finalizzato esclusivamente alla tutela della società stessa, l’eventuale mutamento o cessazione dei componenti degli organi sociali non impatta in alcun modo sulla prosecuzione del procedimento stesso. È infatti la stessa norma a stabilire che il procedimento deve essere sospeso, ma non concluso, se l’assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e sulle attività compiute (art. 2409, co. 3, c.c.) e che, se gli accertamenti e le attività compiute risultano insufficienti, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori al fine di ripristinare la regolarità della gestione sociale, prevenire ulteriori irregolarità e, nei casi più gravi, revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci (art. 2409, co. 4, c.c.). La ratio della disposizione è nota: il legislatore ha voluto impedire che la maggioranza possa interrompere il procedimento semplicemente cambiando l’organo amministrativo o quello di controllo. Pertanto, la trasformazione della società da s.p.a. a s.r.l. non dotata di organo di controllo in corso di procedimento di denunzia al tribunale non è di ostacolo alla prosecuzione dello stesso procedimento.

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Non rilevabilità d’ufficio della sussistenza di una clausola compromissoria
Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta della parti, la quale soltanto consente di derogare al...

Il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta della parti, la quale soltanto consente di derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., costituendo uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, co. 1, Cost., con la conseguente esclusione della possibilità d'individuare la fonte dell'arbitrato in una volontà autoritativa, e la necessità di attribuire alla norma di cui all'art. 806 c.p.c. il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento. Ma se è la volontà delle parti a costituire l'unico fondamento della competenza degli arbitri, deve necessariamente riconoscersi che le parti, così come possono scegliere di sottoporre la controversia agli stessi, anziché al giudice ordinario, possono anche optare per una decisione da parte di quest'ultimo, non solo espressamente, mediante un accordo uguale e contrario a quello raggiunto con il compromesso, ma anche tacitamente, attraverso l'adozione di condotte processuali convergenti verso l'esclusione della competenza arbitrale, e segnatamente mediante l'introduzione del giudizio in via ordinaria, alla quale faccia riscontro la mancata proposizione dell'eccezione di arbitrato. Sicché non può giustificarsi l'affermazione della rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza del giudice ordinario, la cui dichiarazione resta pertanto subordinata alla proposizione della relativa eccezione da parte del convenuto. Pertanto, a un soggetto vincolato da clausola compromissoria è sempre consentito adire il tribunale ordinario, il quale rimane competente a decidere la vertenza qualora il convenuto non proponga apposita e tempestiva eccezione, essendo impedito al giudice il rilievo d’ufficio della sussistenza di una clausola compromissoria.

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Azione di responsabilità esercitata dal curatore: onere della prova ed effetti della transazione pro quota
L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e dunque spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio...

L’azione sociale di responsabilità ha natura contrattuale e dunque spetta al fallimento allegare l’inadempimento, ovvero indicare il singolo atto gestorio che si pone in violazione dei doveri degli amministratori e dei sindaci posti dalla legge o dallo statuto, e il danno derivante da tale inadempimento, mentre è onere dei convenuti contrastare lo specifico addebito, fornendo la prova dell’esatto adempimento.

Devono rispondere in concorso con gli amministratori i sindaci che, omettendo i doverosi controlli sull’attività amministrativa e sulla regolarità degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e quindi omettendo di assumere le doverose iniziative in tal senso connesse all’incarico assunto, hanno consentito che l’organo gestorio continuasse l’attività imprenditoriale intrapresa a fronte di una sempre più evidente situazione di dissesto e di irregolarità della prosecuzione dell’attività.

La disposizione di cui all’art. 1304, co. 1, c.c., secondo cui la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori solidali giova agli altri che dichiarino di volerne profittare, si riferisce soltanto alla transazione stipulata per l’intero debito solidale e non è quindi applicabile quando la transazione è limitata al solo rapporto interno del debitore che la stipula.

La transazione pro quota è tesa a determinare lo scioglimento della solidarietà passiva rispetto al debitore che vi aderisce e, tenuto conto del fatto che essa non può né condurre a un incasso superiore rispetto all'ammontare complessivo del credito originario, né determinare un aggravamento della posizione dei condebitori rimasti a essa estranei, neppure in vista del successivo regresso nei rapporti interni, deve necessariamente pervenirsi alla conclusione che il debito residuo dei debitori non transigenti è destinato a ridursi in misura corrispondente all'ammontare di quanto pagato dal condebitore che ha transatto solo se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito.

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La competenza nella querela di falso proposta contro un provvedimento giurisdizionale
La disciplina relativa alla querela di falso in via principale non contiene alcuna disposizione speciale in tema di individuazione del...

La disciplina relativa alla querela di falso in via principale non contiene alcuna disposizione speciale in tema di individuazione del giudice territorialmente competente, con la conseguenza che trovano applicazione le regole generali. Nel caso in cui sia convenuto in giudizio il Ministero della Giustizia non risulta, in ogni caso, applicabile al caso di specie l’art. 30 bis c.p.c., perché: (i) la norma richiamata si applica esclusivamente quando sono parti del procedimento magistrati; (ii) la Corte costituzionale, dichiarando la parziale illegittimità costituzionale del primo comma, ha limitato l’applicazione della norma alle azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato; (iii) la Corte di Cassazione ha comunque escluso l’applicabilità dell’art. 30 bis c.p.c. in caso di querela di falso contro provvedimenti giurisdizionali.

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Perfezionamento della notifica e inammissibilità delle prove prodotte per la prima volta in appello
Il momento di perfezionamento per il destinatario della notificazione eseguita con le formalità dell’art. 140 c.p.c. è la data del...

Il momento di perfezionamento per il destinatario della notificazione eseguita con le formalità dell’art. 140 c.p.c. è la data del ricevimento della raccomandata informativa e, in ogni caso, la data di decorrenza del termine di dieci giorni dalla relativa spedizione; pertanto, in sostanza per la verifica dell’epoca di perfezionamento della notifica è necessario avere riguardo alla scadenza del termine di dieci giorni dalla spedizione della raccomandata informativa o alla data del ricevimento della stessa se anteriore. Fermo restando il fatto che, ai fini della valida ed effettiva conclusione del procedimento notificatorio, è sempre necessaria la prova dell’avvenuta ricezione da parte del destinatario della raccomandata informativa, essendo anche il perfezionamento della notificazione ex art. 140 c.p.c. nei confronti del destinatario costruito come fattispecie a formazione progressiva ove l’effetto provvisorio di perfezionamento alla data della spedizione della raccomandata informativa si consolida con l’effettivo ricevimento della stessa.

Per il deposito in appello di documenti già prodotti nel primo grado, la parte è onerata di dimostrare che gli stessi coincidono con quelli già presentati al primo giudice in osservanza degli adempimenti prescritti dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c. In difetto, è precluso al giudice dell'impugnazione l'esame della produzione, senza che rilevi la mancata opposizione della controparte, non trattandosi di salvaguardare il principio del contradditorio sulla prova, bensì di assicurare il rispetto della regola, di ordine pubblico processuale, stabilita dall'art. 345, co. 3, c.p.c.

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Recesso dal contratto preliminare di cessione di partecipazioni
Ai sensi di cui all’art. 1385 c.c., alla dazione a titolo di caparra confirmatoria di una somma di danaro o...

Ai sensi di cui all’art. 1385 c.c., alla dazione a titolo di caparra confirmatoria di una somma di danaro o una quantità di altre cose fungibili consegue l’attribuzione, alla parte non inadempiente, del diritto potestativo di sciogliersi dal contratto a fronte dell’inadempimento di non scarsa importanza e colpevole della controparte, nonché del diritto di ritenere la caparra qualora la parte non inadempiente l’abbia ricevuta, ovvero del diritto di ottenere il pagamento del doppio qualora la parte non inadempiente l’abbia corrisposta. Il diritto di recesso è una forma di risoluzione stragiudiziale del contratto, che presuppone pur sempre l’inadempimento della controparte avente i medesimi caratteri dell'inadempimento che giustifica la risoluzione giudiziale: esso costituisce null’altro che uno speciale strumento di risoluzione negoziale per giusta causa, alla quale lo accomunano tanto i presupposti (l’inadempimento della controparte) quanto le conseguenze (la caducazione ex tunc degli effetti del contratto). Il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra possono essere proposte anche nel caso in cui si sia già verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla legge (artt. 1454, 1455 e 1457 c.c.), dato che rientra nell'autonomia privata la facoltà di rinunciare agli effetti della risoluzione del contratto per inadempimento.

In tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittimi la dichiarazione di scioglimento del contratto, potendo il termine di adempimento reputarsi essenziale, ai sensi dell'art. 1457 c.c., solo quando, alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell'oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere che, decorso inutilmente il termine, l'utilità che essi intendevano conseguire dal contratto sia ormai perduta. L’essenzialità del termine per l’adempimento non può essere desunta solo dall’uso dell’espressione "entro e non oltre", riferita al tempo di esecuzione della prestazione, ma implica un accertamento da cui emerga chiaramente, alla stregua dell’oggetto del negozio o di specifiche indicazioni delle parti, che queste abbiano inteso considerare appunto perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi.

Nel sistema delineato dagli artt. 52 e 93 e ss. l. fall. qualsiasi ragione di credito nei confronti della procedura fallimentare deve essere dedotta, nel rispetto della regola del concorso, con le forme dell’insinuazione al passivo, con la conseguenza che la domanda diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se era stata formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria e può eventualmente essere proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore.

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