Ricerca Sentenze
L’utilizzibilità delle risultanze delle indagini preliminari in sede penale nel procedimento civile
Nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a...

Nell'ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, sicché il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove c.d. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali.

Leggi tutto
Invalidità della delibera di approvazione del bilancio per violazione del diritto di informazione del socio
La ratio dell’art. 2429 c.c. è quella di tutelare il diritto di partecipazione del socio all’assemblea di approvazione del bilancio,...

La ratio dell’art. 2429 c.c. è quella di tutelare il diritto di partecipazione del socio all’assemblea di approvazione del bilancio, esercitabile proficuamente a condizione che il titolare abbia avuto a disposizione un periodo di tempo ragionevole per l’esame completo del bilancio da approvare in sede assembleare. Il termine del quale deve disporre il socio per l’esame del bilancio prima dell’assemblea è definito dal legislatore in quindici giorni e la sua violazione, comportando un’illegittima compressione del diritto di partecipazione del socio, costituisce un vizio che di per sé rende annullabile la deliberazione di approvazione del bilancio.

Leggi tutto
Valore della minuta, preliminare di società e responsabilità precontrattuale
La puntuazione, o minuta, non ha in linea di massima carattere vincolante, ma solo una funzione storica e probatoria della...

La puntuazione, o minuta, non ha in linea di massima carattere vincolante, ma solo una funzione storica e probatoria della fase delle trattative contrattuali in quanto in essa le parti di solito intendono solo documentare l’intesa raggiunta su alcuni punti rinviando la conclusione del contratto al momento successivo nel quale avranno raggiunto l’accordo anche sugli altri. Non è escluso, tuttavia, che in concreto la minuta possa avere valore probatorio di un contratto già perfezionato quando contenga l’indicazione dei suoi elementi essenziali e risulti anche in base al comportamento successivo delle parti inteso a dare esecuzione all’accordo risultante da detta minuta, sempreché tale comportamento sia univoco e non consenta una diversa interpretazione, che le parti abbiano inteso vincolarsi definitivamente. A differenza del contratto preliminare, ove le parti si obbligano a prestare il loro consenso alla conclusione del contratto definitivo, i cui elementi essenziali e accidentali siano stati contestualmente precisati e i cui effetti si produrranno al momento della sua stipulazione, con la sottoscrizione della c.d. minuta o puntuazione di contratto le parti conservano la libertà di recesso dalle trattative, con il limite della responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 c.c.

La disciplina di cui all’art. 2932 c.c. mal si attaglia all’impegno assunto di costituire una nuova società (c.d. preliminare di società), presupponendo la vincolatività di un siffatto preliminare l’impegno avente contenuto dinamico all’esercizio in comune di attività economica, con implicazioni alquanto ampie e non preventivamente determinabili, non da ultimo in ordine anche alla fattiva collaborazione della parte inadempiente, sicché l’esecuzione dell’obbligo in forma specifica non offre, invero, alcuna garanzia quanto all’effettivo svolgimento dell’attività sociale e, anzi, potrebbe determinare la paralisi della società prima ancora che questa possa cominciare ad operare.

La responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. costituisce una responsabilità contrattuale da contatto sociale. La regola posta dall’art. 1337 c.c. non si riferisce alla sola ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative, ma ha valore di clausola generale. La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido o inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido e, tuttavia, risulti pregiudizievole per la parte vittima dell’altrui comportamento scorretto.

In tema di liquidazione del danno, la locuzione "perdita subita", con la quale l’art. 1223 c.c. individua il danno emergente, non può essere considerata indicativa dei soli esborsi monetari o di diminuzioni patrimoniali già materialmente intervenuti, bensì include anche l’obbligazione di effettuare l’esborso, in quanto il "vinculum iuris", nel quale l’obbligazione stessa si sostanzia, costituisce già una posta passiva del patrimonio del danneggiato, consistente nell’insieme dei rapporti giuridici, con diretta rilevanza economica, di cui una persona è titolare.

Leggi tutto
La validità di un atto transattivo avente ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali
L’accordo transattivo che ha ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali è validamente concluso se, da un lato,...

L'accordo transattivo che ha ad oggetto la cessione di crediti e quote sociali è validamente concluso se, da un lato, ha ad oggetto una res dubia e, cioè, se la controversia verta effettivamente su un rapporto giuridico avente carattere di incertezza e, dall'altro, se nell'intento di far cessare la situazione di dubbio i contraenti si facciano delle concessioni reciproche. Tali concessioni reciproche devono essere intese in correlazione con le reciproche pretese e contestazioni e non già ai diritti effettivamente spettanti a ciascuna delle parti.

Ai fini di dichiarare la nullità di un atto transattivo è necessario svolgere un'indagine volta a stabilire se l'assetto d'interessi complessivamente programmato dalle parti si ponga in contrasto con norme imperative; solo in tal caso, infatti, sussisterà un divieto di transigere che comporterà il ripristino della situazione allo stato di fatto e di diritto anteriore alla stipulazione del negozio transattivo.

Leggi tutto
Azione risarcitoria verso l’ente pubblico controllante per omesso controllo analogo nella gestione in house
Ciascuna società componente di un gruppo costituisce un soggetto giuridico distinto e dotato di autonomia patrimoniale perfetta che risponde unicamente...

Ciascuna società componente di un gruppo costituisce un soggetto giuridico distinto e dotato di autonomia patrimoniale perfetta che risponde unicamente con il suo patrimonio solo verso i suoi creditori: possono così configurarsi solo creditori di ogni singola società, garantiti esclusivamente dal patrimonio della loro debitrice, mentre persiste sempre il diaframma della personalità giuridica tra il socio di ciascuna società o ente componente il gruppo e i suoi creditori. Neanche la previsione dell’art. 2497, co. 3, c.c. in materia di responsabilità da abuso dell’attività di direzione e coordinamento, che riconosce al creditore sociale l’azione nei confronti dell’ente o della società dominante solo se non sia stato soddisfatto dalla società eterodiretta, può essere interpretata in modo tale da trarvi il fondamento normativo di una responsabilità sussidiaria della holding per il pagamento dei debiti della società dominata. La situazione non muta ove al vertice della struttura del gruppo si collochi un ente pubblico controllante di una società c.d. in house, dal momento che neanche il peculiare rapporto corrispondente al c.d. controllo analogo, indispensabile ai fini l’affidamento diretto dei servizi pubblici in deroga alla disciplina dell’evidenza pubblica, vale a determinare la dissolvenza dell’autonomia patrimoniale delle singole società del gruppo e meno che mai a creare la confusione tra i patrimoni del socio pubblico e delle diverse società del gruppo che solo potrebbe giustificare una responsabilità patrimoniale diretta dell’ente holder per le obbligazioni sociali contratte con i terzi dalle società controllate. Al riguardo è sufficiente evidenziare che nessuna previsione normativa consente di trarre una simile conseguenza dalla speciale relazione che si instaura tra il socio pubblico e la società in house in forza del c.d. controllo analogo. Una diversa conclusione, del resto, contrasterebbe con lo scopo stesso della disciplina legislativa che consente all’ente l’adozione della peculiare struttura organizzativa dei servizi pubblici mediante affidamento diretto alla società in house proprio per sfruttare il vantaggio della separazione del patrimonio sociale destinato all’attività della gestione dei servizi pubblici secondo criteri di economicità dal patrimonio comunale a fini di contenimento della spesa pubblica.

Il c.d. controllo analogo consiste nella particolare relazione statutaria o pattizia che lega il socio pubblico alla società in house riconoscendogli un complesso di poteri aggiuntivi straordinari, per lo più di carattere automatico, di ingerenza sulla gestione economica e finanziaria della società tale da assicurargli un controllo analogo a quello normalmente esercitato in regime di subordinazione gerarchica sui propri uffici. Il controllo analogo è, però, una fattispecie corrispondente al particolare rapporto statutario o pattizio tra l’ente pubblico socio e la società in house che, o è configurato come tale nello statuto e nei patti parasociali e allora assicura al socio pubblico un potere assoluto pressoché connaturato di ingerenza nella gestione sociale, o non esiste e allora il rapporto tra il socio pubblico e la società partecipata resta, una volta escluso l’effettivo esercizio di un’attività di direzione e coordinamento, un semplice rapporto di controllo societario. E, in tal caso, non è un controllo predicabile in termini di dovere di “vigilanza” sulla gestione o di obbligo di “ingerenza” nell’attività della partecipata, passibile di essere o meno assolto dal socio pubblico posto che il socio unico, in quanto tale, non ha obblighi o doveri di simile natura e meno che mai il dovere di ripatrimonializzare e rifinanziare la società in perdita, in modo tale da assicurare protezione dall’insolvenza ai creditori sociali.

L’azione risarcitoria proposta verso l'ente pubblico per “omissione del controllo analogo nella gestione in house” va ricondotta alla fattispecie della responsabilità aquiliana per c.d. lesione del credito ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Leggi tutto
Impugnativa della delibera e sopravvenuta carenza di interesse ad agire per il fallimento della società
In tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari della società, il sopravvenuto fallimento di quest’ultima comporta il venir meno dell’interesse ad...

In tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari della società, il sopravvenuto fallimento di quest'ultima comporta il venir meno dell'interesse ad agire per ottenere una pronuncia di annullamento dell'atto impugnato, quando l'istante non deduca e argomenti il suo perdurante interesse, avuto riguardo alle utilità attese dopo la chiusura della procedura fallimentare. Pertanto, rispetto alla delibera relativa all'autorizzazione all’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, il fallimento priva di qualsivoglia interesse il suo annullamento, tenuto conto che sarà il curatore fallimentare, nei modi e nei tempi previsti dalla legge, a valutare nella sua autonomia la sussistenza dei presupposti per agire nei confronti degli ex amministratori, previa autorizzazione del giudice delegato. Per cui alcun beneficio recherebbe l’eventuale pronuncia favorevole alla società attrice, né la sussistenza di una eventuale e astratta possibilità di ritorno della società in bonis può essere sufficiente a radicare in capo all’attrice un interesse concreto e attuale alla emissione di un provvedimento nel merito.

Leggi tutto
L’efficacia del giudicato penale nel processo civile di risarcimento del danno; i presupposti per l’azione di regresso tra condebitori solidali
Ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento...

Ai sensi dell’art. 651 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel processo civile di risarcimento del danno quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, mentre non ne ha con riferimento alle valutazioni attinenti agli effetti civili della pronuncia, che spettano esclusivamente al giudice civile.

Il patto di manleva è l’accordo con il quale un soggetto si impegna a sollevare la controparte dalle eventuali conseguenze patrimoniali dannose derivanti da un determinato evento o dal fatto di una delle due parti o di terzi; tale patto viene inquadrato tra i contratti tipici ex art. 1322 c.c., fonte di un autonomo rapporto giuridico sostanziale.

Ai sensi di cui all’art. 1299 c.c., a cui rimanda l’art. 2055 c.c. in tema di responsabilità solidale in caso di fatto dannoso, solo al debitore in solido che abbia pagato l’intero debito spetta il diritto di ripetere dai condebitori la parte di ciascuno di essi. La norma, dunque, richiede quale condizione per l’esercizio del diritto di regresso nei confronti degli altri condebitori che uno di essi abbia effettuato il pagamento dell’intero in favore del creditore. D’altra parte, il principio secondo cui la condanna del condebitore solidale, chiamato in causa in via di regresso, è ammissibile a condizione che l’altro condebitore abbia adempiuto l’obbligazione solidale opera soltanto quando il simultaneus processus sul credito principale giustifichi, in termini di economia processuale, la contemporanea pronuncia sul regresso, e sia definitivamente accertata, a carico del condebitore che chiede la condanna condizionata, la pretesa del credito.

Leggi tutto
Sulla revocatoria ordinaria di atti di trasferimento di partecipazioni sociali
L’azione revocatoria ordinaria rappresenta uno dei principali strumenti predisposti dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art....

L’azione revocatoria ordinaria rappresenta uno dei principali strumenti predisposti dall’ordinamento per la conservazione della garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. Tale strumento, infatti, ha solo la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c., la cui consistenza, per effetto dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, si sia ridotta al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l'azione espropriativa. In coerenza con tale sua unica funzione, l'azione predetta ove esperita vittoriosamente, non determina il travolgimento dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma semplicemente l'inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che l'abbia vittoriosamente esperita, per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell'atto l'azione esecutiva ai sensi degli artt. 602 e ss. c.p.c. per la realizzazione del credito.

L’art. 2901 c.c. richiede la sussistenza di un elemento oggettivo e di uno soggettivo. Quanto al primo (c.d. eventus damni), non è necessario che il debitore si trovi in stato di insolvenza, essendo sufficiente che l’atto di disposizione da lui posto in essere produca pericolo o incertezza per la realizzazione del diritto del creditore, in termini di una possibile o eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva. Infatti, l’eventus damni ricorre non soltanto quando l’atto di disposizione determini la perdita della garanzia patrimoniale del creditore, ma anche quando tale atto comporti una maggiore difficoltà ed incertezza nella esazione coattiva del credito. Ciò può verificarsi anche in caso di mera variazione qualitativa del patrimonio, tale da rendere più difficile la soddisfazione dei creditori. Quanto al secondo elemento, è necessario che il debitore fosse consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore dall’atto dispositivo in questione (c.d. scientia damni). In particolare, allorché l’atto di disposizione sia successivo al sorgere del credito, è necessaria e sufficiente la consapevolezza di arrecare pregiudizio agli interessi del creditore, essendo l’elemento soggettivo integrato dalla semplice conoscenza – a cui va equiparata la agevole conoscibilità – nel debitore di tale pregiudizio, a prescindere dalla specifica conoscenza del credito per la cui tutela viene esperita l’azione, e senza che assumano rilevanza l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica del creditore (c.d. consilium fraudis), né la partecipazione o la conoscenza da parte del terzo in ordine alla intenzione fraudolenta del debitore. Inoltre, quando si tratta di atto a titolo oneroso, è richiesta anche la consapevolezza del terzo acquirente del pregiudizio arrecato dall’atto alle ragioni creditorie. Tuttavia, anche in questo caso occorre distinguere a seconda che l’atto sia anteriore o posteriore al sorgere del credito. Nel primo caso, è necessario che l’atto dispositivo sia stato compiuto proprio in funzione del sorgere della futura obbligazione, allo scopo di precludere o rendere più difficile al creditore l’attuazione coattiva del suo diritto. Nel secondo caso, invece, è sufficiente la generica conoscenza – da parte del terzo contraente – del pregiudizio che l’atto a titolo oneroso posto in essere dal debitore possa arrecare alle ragioni dei creditori, non essendo necessaria la collusione tra il terzo e il debitore.

Ai fini dell'accoglimento dell'azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la titolarità di un credito eventuale, quale quello oggetto di un giudizio ancora in corso, fermo restando che l'eventuale sentenza dichiarativa dell'atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l'esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato.

Il momento storico in cui deve essere verificata la sussistenza dell’eventus damni è quello in cui viene compiuto l'atto di disposizione dedotto in giudizio e in cui può apprezzarsi se il patrimonio residuo del debitore sia tale da soddisfare le ragioni del creditore, restando, invece, assolutamente irrilevanti, al fine anzidetto, le successive vicende patrimoniali del debitore, non collegate direttamente all'atto di disposizione.

Leggi tutto
Individuazione della lex societatis nel diritto internazionale privato
Con riguardo alla questione della legge applicabile all’azione di responsabilità introdotta dalla socia di una società “limited” di diritto tanzaniano,...

Con riguardo alla questione della legge applicabile all’azione di responsabilità introdotta dalla socia di una società “limited” di diritto tanzaniano, in mancanza di specifiche convenzioni con la Tanzania, che non è stato membro dell’Unione Europea, la norma di conflitto applicabile per l’individuazione della legge che regola l’ente, la c.d. lex societatis, è l’articolo 25 della legge di diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218). Ai fini dell’individuazione della lex societatis, la norma richiamata stabilisce la regola generale secondo cui alla società si applica la legge dello Stato ove si è concluso il procedimento costitutivo dell’ente, in applicazione della c.d. teoria dell’incorporazione, e due eccezioni ispirate, invece, alla c.d. teoria della sede reale, secondo cui si applica la legge italiana (i) se la sede dell’amministrazione è situata in Italia ovvero (ii) se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti.

Il criterio di collegamento in questione ricalca quello del previgente art. 2505 c.c. relativo alle società c.d. pseudo straniere e viene inteso dalla dottrina per lo più in senso non restrittivo, privilegiando nell’applicazione della regola l’effettività della sede dell’attività di direzione dell’ente rispetto alle risultanze formali. Per il criterio di collegamento dell’oggetto principale dell’attività, dunque, al fine di stabilire se una società costituita all’estero abbia o meno la sede amministrativa in Italia è necessario avere riguardo alla situazione sostanziale ed effettiva senza limitarsi a quella formale o apparente. La prova dell’effettiva sede dell’amministrazione della società deve essere fornita dalla parte che pretende l’applicazione della legge italiana e deve essere oltremodo rigorosa, essendo l’individuazione del regime che regola la vita dell’ente in un complesso ordinamentale diverso da quello della sua costituzione potenzialmente gravida di conseguenze sull’operatività corrente della società. In particolare, deve essere provato attraverso elementi presuntivi che non ammettano equivoci il luogo in cui vengono assunte dall’organo amministrativo le decisioni sulla gestione e direzione dell’impresa (il luogo in cui, ad esempio, si tiene il CdA o vengono impartite le istruzioni e direttive al management o vengono conclusi i contratti dell’impresa) e ove viene materialmente svolta l’attività di amministrazione (ad esempio, la redazione e tenuta delle scritture contabili, l'esecuzione degli adempimenti fiscali e contributivi, la gestione del personale, ecc.).

Leggi tutto
Effetti del giudicato sostanziale
Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.), che, quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto...

Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.), che, quale riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto tra le parti per l'accertamento di merito positivo o negativo del diritto controverso, si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico e giuridico della pronuncia, con effetto preclusivo dell'esame delle stesse circostanze in un successivo giudizio, che abbia gli identici elementi costitutivi della relativa azione e cioè i soggetti, la causa petendi e il petitum.

Leggi tutto
Domanda di compenso per il ruolo di sindaco ed eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c.
Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni...

Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all'ufficio giudiziario.

I principi sull’onere della prova in materia di responsabilità si applicano anche in caso di eccezione ex art. 1460 c.c. di modo che l’eccipiente può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento o l’inesatto adempimento alle obbligazioni assunte dal creditore (di cui deve dedurre e dimostrare il fatto costitutivo), spettando, per contro, a chi ha agito in giudizio l’onere di provare di aver esattamente adempiuto alle medesime. In particolare, nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di inadempienze reciproche deve procedersi ad un esame del comportamento complessivo delle parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi e all'oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma contrattuale.

L’eccezione d’inadempimento può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto e non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto e l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati, e cioè, rispettivamente, la gravità e la dannosità dell’inadempimento dedotto.

In presenza di eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. da parte della società (o dal curatore nel caso di fallimento della società) spetta al sindaco il compito di provare il fatto estintivo di tale dovere, costituito dall’avvenuto esatto adempimento, e cioè di aver adeguatamente vigilato sulla condotta degli amministratori, attivando, con la diligenza professionale dallo stesso esigibile in relazione alla situazione concreta, i poteri-doveri inerenti alla carica (art. 2407, comma 1°, c.c.). E ciò con la necessaria precisazione che i sindaci non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione, vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie.

I doveri di controllo previsti a carico dei sindaci dall'art. 2403 c.c. devono estendersi alla legittimità sostanziale dell'attività degli amministratori della società e non possono ritenersi limitati alla mera constatazione della conformità formale di tale attività alle disposizioni di legge o agli astratti principi della contabilità. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c.c. è, in effetti, configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché, non è circoscritto all’operato degli amministratori, ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello concorrente dei creditori sociali: né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere-dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione.

Si è sostenuto che, con specifico riferimento al diritto del sindaco al pagamento del compenso, il diritto del professionista al compenso, se non implica il raggiungimento del risultato programmato con il conferimento del relativo incarico (e cioè la legittimità dell’intera gestione sociale e la sua conformità ai principi di corretta amministrazione: art. 2403, comma 1°, c.c.), richiede, nondimeno, che il giudice di merito accerti, in fatto, la concreta ed effettiva idoneità funzionale delle prestazioni svolte a conseguire tale risultato, essendo, in effetti, evidente che, in difetto, pur in difetto di una responsabilità contrattuale del professionista a tal fine incaricato, non potrebbe neppure parlarsi di atto di adempimento degli obblighi contrattualmente assunti dallo stesso e giustifica, quindi, il rifiuto del committente, a norma dell’art. 1460 c.c., al pagamento, in tutto o in parte, del compenso (in ipotesi) maturato.

L’eccezione d’inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere, di conseguenza, opposta dal cliente (o dal curatore del relativo fallimento) al professionista (come il sindaco) che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale quando le prestazioni svolte dallo stesso, a prescindere dal mancato conseguimento del risultato perseguito, non sono state, per la negligenza con cui sono state eseguite, oggettivamente funzionali, in tutto o in parte, alla soddisfazione degli interessi del primo, così come dedotti, per volontà delle parti o (come nel caso dei sindaci) della legge, nel contratto di prestazione d’opera professionale tra loro intercorso ed abbiano, di conseguenza, negativamente inciso sulla realizzazione (o possibilità di realizzazione) degli stessi.

Il compito essenziale dei sindaci, infatti, è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma del diritto societario ha esplicitato e che già in precedenza potevano ricondursi all'obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell'atto costitutivo, secondo la diligenza professionale prevista dall'art. 1176, comma 2°, c.c., e cioè di controllare in ogni tempo che gli amministratori, alla stregua delle circostanze del caso concreto, compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale. Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d'inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è, tuttavia, necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l'intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.

Il giudizio circa il corretto adempimento da parte del sindaco ai propri doveri istituzionali verso la società postula: (i) la prova del compimento da parte del sindaco opposto di tutte le attività proattive di natura ispettiva, consultiva e di controllo della legittimità sostanziale dell’operato degli amministratori, rientranti nella cd. vigilanza in senso stretto, volte a rilevare e prevenire potenziali atti di mala gestio compiuti dagli organi sociali, e, al contempo, (ii) nel caso di rilevati atti di negligente amministrazione, la prova positiva del tempestivo espletamento delle opportune attività reattive di segnalazione e sollecitazione degli organi competenti, al fine di evitare ovvero di contenere il prodursi di un danno a carico della società o dei soci di essa.

L'eccezione di inadempimento può essere dedotta per la prima volta in sede giudiziale, quand'anche non sia stata sollevata in precedenza per rifiutare motivatamente l'adempimento chiesto ex adverso, non ponendo l'art. 1460 c.c. alcuna limitazione temporale o modale alla sua esperibilità, salva l'ipotesi di termini differenziati di adempimento, né essendo l'esercizio della facoltà di sospendere l'esecuzione del contratto, a fronte del grave inadempimento della controparte, subordinato ad alcuna condizione né, in particolare, alla previa intimazione di una diffida o ad alcuna generica contestazione dell'inadempimento, l'eccezione stessa.

Leggi tutto
logo