In tema di concorrenza sleale, l’imitazione servile di prodotti altrui è illecita ai sensi dell’art. 2598 n. 1 c.c. solo in dipendenza della sua idoneità a creare confusione con i prodotti e con l’attività di concorrente, senza che l’illiceità dell’imitazione non confusoria possa farsi derivare dall’inclusione di essa nello schema tipico della concorrenza sleale previsto dal n. 3 dell’art. 2598 c.c., atteso che tale norma di chiusura non racchiude ipotesi complementari rispetto a quelle contemplate nei nn. 1 e 2, ma casi alternativi e diversi, ciascuno dotato di connotazione sua propria. Una relazione di continenza non è, in particolare, ravvisabile nel rapporto fra concorrenza sleale per imitazione servile e concorrenza sleale per imitazione contraria alla correttezza professionale (rispettivamente nn. 1 e 3 dell’art. 2598 c.c.), atteso che, nel difetto dei requisiti dell’uno, quale la capacità individualizzante del prodotto imitato, il riscontro dell’altra richiede, comunque, la presenza di elementi ulteriori (in particolare la non conformità del fatto a correttezza professionale e la sua idoneità ad arrecare nocumento).