Nei negozi aventi ad oggetto la cessione di titoli, l’oscillazione attiene ed inerisce proprio all’oggetto del contratto, con la conseguenza che il rischio di variazione del valore sottostante non investe il sinallagma negoziale, ma ne è la pietra miliare sulla base della consapevole accettazione del medesimo ad opera delle parti. Le oscillazioni del valore delle prestazioni determinante dall’andamento dei mercati rientrano senz’altro nella normale alea contrattuale. La struttura del contratto di put option, a prescindere dalla qualificazione del negozio quale aleatorio (con conseguente inapplicabilità, ex art. 1469 c.c., dell’istituto della risoluzione per eccessiva onerosità) ovvero commutativo (cui solo può essere riferita la disciplina ex art. 1467 c.c.), consiste nella dipendenza (o derivazione) del contenuto della prestazione di una delle parti dalla variazione di dati economici (il c.d. sottostante), sicché la variabilità dell’andamento del titolo appare di per sé inerente all’oggetto del contratto, in ogni caso, dunque, non legittimando la risoluzione per eccessiva onerosità alla stregua della disciplina di cui al secondo comma dell’art. 1467 c.c. Tale principio è certamente applicabile anche alle partecipazioni sociali di società non quotate tenuto conto che la variabilità del loro valore economico nel tempo costituisce caratteristica specifica di detta tipologia di bene, risentendo dell’attività gestionale della società e delle mutevoli condizioni di mercato. Se dunque, in linea generale, la redditività della società sulle cui quote verte la cessione risulta di per sé irrilevante ai fini della caducazione degli effetti del contratto, può affermarsi che va esclusa la risolubilità del negozio per eccessiva onerosità, laddove non sia dimostrato che la lamentata onerosità discenda da eventi di per sé straordinari e non prevedibili, in quanto diversi dalle normali oscillazioni di valore delle partecipazioni azionarie, la cui variabilità rappresenta appunto elemento connesso alla causa del negozio.