Nel caso di comproprietà di una partecipazione sociale, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune, cui compete in via esclusiva l’esercizio dei diritti amministrativi inerenti alla quota -quali il diritto di voto, l’impugnazione di una delibera assembleare e la partecipazione all’assemblea- nel rispetto delle istruzioni impartite dalla maggioranza dei comproprietari. Ne consegue che i contitolari della quota diversi dal rappresentante comune non sono legittimati a impugnare la delibera adottata con il voto di quest’ultimo, poiché solo al rappresentante comune compete l’esercizio di tutti i diritti sociali, siano essi patrimoniali, amministrativi o processuali.
Il semplice venir meno del rapporto di fiducia tra uno solo dei comproprietari della quota e il rappresentante comune non è sufficiente per configurare una violazione delle disposizioni in materia di mandato, occorrendo -a tal fine- che emerga una negligenza del mandatario con riguardo a tutti i comproprietari della quota.
Affinché possa configurarsi una situazione qualificabile come “abuso della maggioranza”, è necessario che l’agire del socio risulti diretto a perseguire un interesse personale in contrasto con quello sociale, tale da non arrecare alcun beneficio alla società, oppure che sia deliberatamente diretto in modo intenzionale e fraudolento a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli. L’onere di provare l’esistenza di una condotta abusiva ricade sul socio di minoranza, ma, al di fuori dell’ipotesi di esercizio “ingiustificato” o “fraudolento” del potere di voto ad opera dei soci di maggioranza, resta preclusa al Giudice qualunque verifica in merito alle ragioni che hanno condotto i soci di maggioranza a votare in un senso o nell’altro.