In tema di denominazioni di origini protette, spetta al giudice nazionale accertare la sussistenza del presupposto dell’evocazione, per tale intendendosi il collegamento che si instaura tra prodotti di apparenza analoga e con denominazioni di vendita che presentino una similarità fonetica e visiva (salvo il caso in cui tale similarità sia dipesa da circostanze fortuite).
L’indagine condotta dal giudice è tesa a chiarire, in primo luogo, se il nome del prodotto incorpora una parte della denominazione protetta; poi se il consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, sia indotto a pensare, come immagine di riferimento, alla denominazione protetta.
In proposito, la Corte di Giustizia UE ha chiarito che il rischio di confusione (ingenerato dall’affinità dei prodotti nel consumatore medio) non è necessariamente un elemento costitutivo della fattispecie di evocazione, ben potendo quest’ultima ricorrere allorché un operatore del mercato sfrutti indebitamente la rinomanza dell’indicazione geografica protetta.